La qualità del gesto sportivo è un qualcosa di difficilmente definibile, non è facilmente standardizzabile né tanto meno analizzabile e soggetta a speculazione scientifica, è per questo che lo studio del movimento è destinato a rimanere un’arte e non potrà mai essere una vera e propria scienza anche se il corso di studi dedicato al movimento hanno deciso di chiamarlo “Scienze motorie”.
Un notevole passo indietro nello studio delle cosiddette “Scienze Motorie” è avvenuto circa 40 anni fa quando con la digitalizzazione di tutto si è provato a digitalizzare pure l’attività motoria. La digitalizzazione potrà andare bene in banca o in posta dove può tornare molto utile agli impiegati per risparmiare tempo ma non è stata certamente utile nello studio del movimento dove ha finito per far passare in secondo piano gli aspetti qualitativi del movimento andando ad analizzare con follia scientifica solo una miriade di parametri quantitativi. E’ come, con un esempio maldestro, se si fosse iniziato a valutare l’arte secondo aspetti quantitativi. Per carità, le opere d’arte hanno pure un peso, delle dimensioni, delle caratteristiche fisiche che sono in qualche modo “quantificabili” ma se lasciamo perdere l’aspetto qualitativo dell’arte abbiamo perso quasi tutto.
Diciamo che con la digitalizzazione del movimento si è provato a semplificare una cosa che era molto complessa. Il tentativo doveva acquisire credibilità perché vi erano sotto degli aspetti economici, quando ci si è accorti che non aveva alcun senso insistere per quella strada ormai da un punto di vista del marketing si era aperta un’opportunità e così non si è più tornati indietro. Siamo arrivati al giorno d’oggi che c’è gente che si allena con delle applicazioni. Praticamente sono modelli matematici elaborati dal computer che ti suggeriscono un tipo di preparazione che secondo chi se li inventa (attenzione che dietro al computer c’è sempre un essere umano, il computer non si inventa mai nulla è solo un povero esecutore ed il computer autonomo che si inventa le cose esiste solo nei film americani…) sarebbero addirittura individualizzati per le esigenze del singolo fruitore.
Il motivo finale per cui non si abbandona questa strada, tanto per cambiare è il business. C’è un business dell’attività motoria digitalizzata, si fanno con prodotti ipertecnologici tante cose che andrebbero fatte molto meglio ed in modo più intelligente senza nessun prodotto ipertecnologico. La causa iniziale appunto fu il tentativo di semplificare qualcosa che ci si era resi conto che era terribilmente complessa ed in quella presa di coscienza stava il punto più alto dello studio del movimento. A quel punto ci si trovava di fronte ad un bivio: affrontare questa complessità oppure fuggirne rinnegandola. Il primo tentativo di fuga in realtà non fu la digitalizzazione dello studio del movimento bensì l’elaborazione dei protocolli di intervento farmacologico su vasta scala. Per quel modo di operare hanno fatto pagare dazio circa mezzo secolo dopo allo sport russo che ha avuto l’unico torto di aprire per primo una pista che poi tutti hanno battuto. Viene da chiedersi a chi faranno pagare la digitalizzazione dell’attività motoria visto che è una pista che hanno iniziato a percorrere in tutto il mondo solo poco dopo la diffusione del doping di stato.
A prescindere da queste considerazioni curiose e osservato che non bisogna poi essere dei luminari per comprendere come l’informatizzazione del movimento sia una bufala pazzesca, è opportuno chiedersi se non possa esistere un linguaggio semplice per speculare attorno alla teoria del movimento, laddove cioè gli scienziati hanno lasciato spazio alla medicina e chi “vende” il movimento ha dato molto spazio alle macchine ed ai prodotti ipertecnologici.
In effetti non è facile usare un linguaggio semplice per descrivere le cose complesse e una mia proposta in tal senso sarebbe che almeno lasciassimo perdere tutte quelle parole di inglese che infarciscono i discorsi di attività motoria in Italia. In Italia per parlare di attività motoria usiamo l’italiano, facciamo già abbastanza caos con l’italiano, non c’è bisogno di usare anche l’inglese per aumentare il grado di incomprensione. Sembra quasi che con l’adozione esagerata di termini in inglese si sia trovato l’espediente per mascherare il fatto che da quando abbiamo iniziato ad analizzare il movimento solo nei suoi aspetti quantitativi e computerizzabili abbiamo perso una grande occasione per tentare di capirci un po’ di più.
In effetti se un aspetto è misurabile è molto più facile poterlo inquadrare e darne riferimenti quantitativi, quando non è misurabile ne parliamo in termini qualitativi forse anche sbagliando ma non lo possiamo comunque trattare con la stessa “agilità” con la quale trattiamo l’aspetto quantitativo e misurabile. In teoria del movimento, per esempio, si riesce a misurare molto bene la forza. E’ una componente semplice della prestazione sportiva che si presta ad essere misurata con una certa precisione. Con studi di biomeccanica riusciamo e misurare in qualche modo pure certi gesti non troppo complessi e così, per esempio, nell’analisi della prestazione di un velocista in atletica leggera potremmo osservare che questo ha migliorato di molto le doti di forza con esercitazioni di palestra che sono facilmente codificabili, poi con uno studio biomeccanico potremmo scoprire che non ha modificato la tecnica di corsa, a quel punto andando a verificare che la prestazione sportiva non è migliorata potremmo dedurne che ci sono sfuggiti alcuni aspetti qualitativi che hanno impedito che il miglioramento in forza fosse tradotto in un miglioramento sulla prestazione in corsa. Li chiamiamo qualitativi perché ci sfuggono e non sono facilmente misurabili ma magari potremmo anche misurarli e non chiamarli più aspetti qualitativi. Potremmo scoprire, per esempio, che so, che è aumentata la densità muscolare e che questa produce attriti diversi e se fossimo in grado in qualche accidenti di modo di misurare la resistenza al movimento provocata da questa nuova densità muscolare potremmo anche quantificare l’entità del danno in peggioramento di prestazione che va a limitare il vantaggio ottenuto da una maggior disponibilità di forza.
Insomma gli aspetti che condizionano la prestazione sportiva sono veramente tantissimi e se ci limitiamo ad analizzare semplicemente quelli che sono effettivamente misurabili non andiamo ad incrementare di molto le possibilità di evolvere e raffinare il processo di allenamento.
Facendo un esempio con le corse di resistenza, sempre in atletica, molto tempo si è speso studiando la relazione fra valori di ematocrito del sangue e prestazione sportiva. Molte volte si è visto che a fronte di variazione quasi terrificanti dell’ematocrito sono corrisposte variazioni di rendimento significative ma non della stessa importanza della variazione dell’ematocrito, allora anche lì potremmo immaginare che ci sono degli aspetti che potremmo chiamare qualitativi della composizione sanguigna che vanno comunque ad alterare la prestazione sportiva a prescindere dalla quantità di variazione dell’ematocrito e così, per esempio, potremmo scoprire che un sangue più viscoso, ancorché più ricco in emoglobina può avere anche degli inconvenienti oltre che dei vantaggi.
Purtroppo ciò che non si può misurare quasi sempre ha la stessa importanza di ciò che riusciamo a misurare e talvolta anche di più. Non considerare questi aspetti della prestazione sportiva semplicemente perché non sono misurabili non ha senso. In ogni caso dovremmo mettere a punto un lessico per trattare anche questi argomenti e usare termini in inglese sarà senz’altro il peggior modo di procedere. Chiamiamoli in italiano “aspetti qualitativi della prestazione sportiva” per inquadrarli e poi tentiamo pian piano di analizzarli per poter dar loro anche un nome meno generico, se saranno misurabili per poter passare nel novero degli aspetti quantitativi o se resteranno non misurati, condannati ad essere circondati da un alone di mistero, questo conta fino ad un certo punto, ma almeno facciamo in modo che se ne possa disquisire.
Che senso potrà avere un’applicazione che ti codifica in modo computerizzato la preparazione quando andremo a sviscerare davvero gli aspetti qualitativi del movimento? Probabilmente zero ed allora finalmente capiremo che abbiamo perso decenni con giocattoli utili solo a dare ossigeno al mercato. Il conflitto fra il mercato e la teoria del movimento è insanabile e mille termini in inglese non possono camuffarlo. C’è la necessità di usare un linguaggio più semplice possibile per parlare di questioni che sono terribilmente complesse, parlarne è certamente utile per affinare il processo di allenamento, altrimenti riduciamo tutta la preparazione a questioni affrontabili con esami di laboratorio ma a quel punto ci avremo perso di sicuro qualcosa rischiando di procurarci una grande miopia. Lo sport, per fortuna, si spiega meglio sul campo che non in un laboratorio.