UMILTA’ SCIENTIFICA

Una volta ho letto che un modo ragionevole per trattare il nemico è “…tendergli una mano perché cambi…” e questa affermazione mi ha fatto un po’ sorridere perché è vero che è sempre meglio e più civile che aggredirlo e dargli un pugno ma è comunque tenere una posizione conflittuale continuare ad insistere sul fatto che è un nemico e soprattutto mettersi in una condizione poco umile dicendo “Sei tu che devi cambiare…”.

Io non è che sia nemico delle federazioni sportive ma sarei un ballista di prima categoria se non ammettessi che sono su posizioni diametralmente opposte nel vedere lo sport. Sportivamente potrei anche dire che sono un nemico, come minimo un rivale nella pubblicizzazione di un certo modo di intendere lo sport. Scientificamente devo avere l’umiltà di sostenere che anche se il mio punto di vista è inconciliabile con quello delle federazioni sportive non posso sapere chi ha ragione. E’ chiaro che spero di avere ragione, sarei semplicemente un cretino a sostenere una posizione che so a priori che è sbagliata, sarebbe interessante che ci fosse anche un certo dibattito scientifico, sincero e schietto su tali questioni.

A ben vedere il mio vero nemico è il CONI, non sono le federazioni sportive perché queste eseguono solo gli ordini, in pratica le linee direttive sono decise dal CONI nel momento in cui organizzano la distribuzione dei finanziamenti  in base al rendimento sportivo nell’alto livello dei vari settori. La federazione che produce più campioni ha migliori finanziamenti  è chiaro che, per sopravvivere, la federazione deve produrre un certo numero di campioni. Solo il lavoro di base anche se è il più importante, il più decisivo per la salute della popolazione, non è garanzia di ottenimento dei fondi per proseguire l’attività. Puoi lavorare anche male ma se produci campioni sei in una botte di ferro perché gli sponsor accorrono e i rimborsi non vengono a mancare.

Premesso che è su questa cosa che non sono assolutamente d’accordo perché i fondi del CONI sono comunque danaro pubblico e non mi pare giusto che il danaro pubblico sia investito per produrre i campioni quando ai campioni ci pensano già i grandi sponsor e soprattutto quando lo sport di base versa in condizioni economiche deficitarie e la scuola non ce la fa assolutamente ad organizzarlo ed a farsene carico, mi piacerebbe poi che esistesse un autentico dibattito scientifico su ciò che è più opportuno fare per produrre campioni visto che è di questi che c’è stramaledetto bisogno per produrre ricchezza nello sport.

Ed è su questo secondo aspetto che io do battaglia ed in modo “sportivo” e spero anche umile sostengo un indirizzo metodologico che meriterebbe di essere analizzato attentamente.

Quando andiamo ad incentivare il giovane talento, che non è ancora un campione assoluto ma poco ci manca, andiamo a compiere un intervento che da un punto di vista probabilistico potrebbe sembrare la strada più breve per produrre il campione vero che interessa agli sponsor, quello che produce record, che fa funzionare la televisione, lo sport spettacolo e che il mercato chiede in una logica commerciale abbastanza insulsa quanto facile da leggere.

Moralmente, in un’ottica di sport educativo e per la salute non è certamente la strada migliore ma di quello non gliene frega niente a nessuno, con la morale non si tengono in piedi i bilanci delle federazioni e se il sistema adottato è quello della produzione dei campioni bisogna adattarsi a questo sistema.

Ma io aggiungo che anche da un punto di vista tecnico questo modo di agire, che quasi di sicuro è la via più breve e forse anche più sicura per produrre campioni, da un punto di vista quantitativo se non anche da un punto di vista qualitativo, a lungo andare è una scelta perdente. Se hai un solo saltatore in alto da 2 metri e 40 e non ne hai neanche uno da 2 metri e 30 è chiaro che quando quello da 2 metri e 40 si fa male fai fatica a rimpiazzarlo. Ma se hai 10 saltatori da 2 metri e 30, anche se non ne hai nessuno da 2 e 40 puoi dire che il tuo settore dell’alto funziona alla grande perché anche se non ti porta a nessuna medaglia nell’immediato prima o poi ti porterà delle medaglie quasi di sicuro grazie all’evoluzione tecnica di uno di quei dieci da 2.30 anche se non si sa chi sarà. E cosi a ritroso se non hai un gran numero di saltatori da 2.20 (e devono essere più di quelli che fanno 2 e 30…) non puoi avere garanzie di riempimento di questo serbatoio. Insomma se la base è sana il risultato di vertice viene fuori in modo consequenziale.

Ora a sedici anni il rischio non è di perdere il ragazzino che salta già due metri che nel suo ambiente è già coccolato, vezzeggiato e trattato come un futuro campione bensì di perdere quel povero diseredato che allenandosi né più né meno di quello che fa 2 metri salta ancora a malapena 1 metro e 60, fa una fatica assurda a scuola a tenere il ritmo ed è seriamente tentato di mollare un’ attività sportiva che gli da poche soddisfazioni e che gli costa 8 o 10 ore di allenamento alla settimana se non di più. E’ questo per conto mio il talento da incentivare e anche se non lo possiamo chiamare talento perché potenzialmente come lui ce ne sono centinaia è comunque un talento da un punto di vista psicologico perché si è già rotto le scatole negli allenamenti come quello che salta due metri ed in più non ha avuto nessuno a dirgli che di sicuro diventerà un grande campione. Se adottiamo solo il criterio probabilistico ci troveremo con un solo campione ed una marea di ragazzi che hanno abbandonato l’attività sportiva precocemente. “Ma è quasi sicuro che quello che fa 1.60 fra dieci anni a malapena salterà 2 metri…” Va benissimo, c’è quell’alta probabilità ma io dico che se quelli che fanno 1.60 sono tanti (e possono esserlo) ed insistono tutti (e possono insistere tutti se sono adeguatamente incentivati) fra quelli è probabilissimo che venga fuori un talento da 2.30 grazie ad una maturazione più fortunata di quella degli altri e non solo ma anche il pirla che già a sedici anni faceva 2 metri se non è troppo caricato ed invece stimolato con un ambiente adeguato attorno avrà più possibilità di emergere perché capisce che è bello saltare anche 1 metro e 90 e se per sbaglio qualcosa andrà male nel suo processo di maturazione sportiva potrà comunque confrontarsi anche con gente umana che non lo taglia fuori alla prima sconfitta. Insomma, dare importanza alla base fa bene sia al talento nascosto che fin che è giovane non sappiamo nemmeno chi sarà, sia al talento già rivelato che se viene tenuto un po’ più con i piedi per terra cresce meglio, più responsabilizzato e capace di subire le sconfitte senza drammatizzazioni. Il compito dell’altista giovane che fa già due metri è proseguire l’attività perchè statisticamente, proprio perché è già capace di grandi risultati avrà  molte occasioni per troncare la carriera anzitempo. La statistica infatti ci racconta che il più delle volte il numero uno viene fuori non da quelli che saltavano pochissimo da piccoli ma nemmeno da chi era già il numero uno a sedici anni.

Sono ipotesi di lavoro, non ci sono dati certi ma comunque sappiamo che non ci sono degli standard minimi da rispettare in gioventù per poter emergere in tempi successivi. Jim Ryun a 14 anni era negato per la corsa ed andava più piano del sottoscritto ed a 19 anni era già un talento di livello mondiale. Adesso c’è un ragazzo norvegese che a 17 anni corre già come i più forti atleti del mondo. Teoricamente questo fra qualche anno dovrebbe lasciarli tutti per strada senza fatica ed io gli auguro che accada proprio così però è pure probabile che fra dieci anni si trovi fra le scatole uno che in questi giorni è li che è indeciso se mollare l’atletica o andare avanti. Senza portare sfortuna a nessuno io faccio il tifo proprio per quel pirla che sta facendo fatica a scuola, non ha nessuno che gli dice che deve assolutamente insistere ed è garantito che se si troverà a fare uno sprint finale fra dieci anni magari per vincere le Olimpiadi del 2028 contro questo infinito talento norvegese se la giocherà ad armi pari. In ogni caso auguro al talento norvegese di non vincere quella gara con cento metri di distacco perché in quella evenienza lui avrà stravinto ma l’atletica avrà un po’ perso…