Ho una mia ricetta contro il bullismo a scuola: è quella di trasferire la competizione dall’ambiente scolastico a quello sportivo. Qualcuno obietta che così non si fa altro che trasferire il bullismo sullo sport ma io non sono convinto che sia così nel senso che il campo sportivo è l’ambiente naturale della competizione, dell’agonismo, è l’ambiente dove è giusto e fisiologico scatenare questi impulsi e quest’azione non genera stress come può generare invece nell’ambiente scolastico.
Senza giustificare nessun atteggiamento da bulli, contro i quali mi pare sensato essere severi senza troppe attenuanti, c’è da ammettere che i nostri giovani sono abbastanza stressati e pure un po’ alienati e presi in giro. Per mascherare il fatto che sono attesi da un futuro molto difficile diamo in pasto loro una scuola molto competitiva e li distraiamo da quelli che saranno i problemi concreti del mondo del lavoro. E’ come se sottintendessimo che siccome la competizione dopo sarà elevatissima devono iniziare adesso a sgomitare per prendere le migliori posizioni nel mondo della scuola. Ma non è così perché non c’è nessuna correlazione diretta fra inserimento nel mondo del lavoro e rendimento scolastico.
La scuola dovrebbe servire ad inventare un nuovo mondo del lavoro più razionale e più svincolato dalle logiche di mercato, invece non fa altro che scimmiottare quel modello esasperando la competizione e avvalorando la tesi che i buoni posti di lavoro sono solo per una ristretta cerchia di eletti. Invece in un paese evoluto i posti di lavoro sono buoni per tutti, non c’è sfruttamento e c’è pure lavoro per tutti. Se partiamo dal presupposto che uno scenario del genere non potrà esistere e dunque bisogna allenarsi a sgomitare è chiaro che i giovani cercano delle vie di fuga e non vogliono affrontare questa realtà, preferiscono restare nel loro mondo parallelo di telefonini e realtà virtuale.
Abbiamo paura che i giovani possano cambiare la società e non diamo loro gli strumenti per farlo quando invece c’è proprio la necessità che loro si rimbocchino le maniche per rifondare questa società che su questo modello non funziona più. E’ importantissimo che possano maturare per capire ciò che va cambiato ed invece li teniamo eterni bambinoni per inserirli a tutti gli effetti in questo sistema creato dagli adulti.
Non può esistere bullismo in un rapporto di reciproca collaborazione fra insegnante e allievo, può esistere se l’insegnante viene visto come il capo che ha già risolto i suoi problemi esistenziali e l’allievo come la vittima che dovrà certamente seguire la strada indicata dal capo. Ma questa via porta anche ad atteggiamenti ben peggiori perché il capo in un’ottica del genere può anche essere visto come un alienato e allora il vero capo non è lui ma quel giovane che per status sociale può permettersi il lusso di non seguire le indicazioni del capo.
Insomma se io allievo lavoro “con” il mio insegnante e lavoro su una strada che non so dove potrà portarmi perché se è davvero creativa lo è sia per me che per il mio insegnante, lavoro con entusiasmo e trasmetto questo entusiasmo anche al mio insegnante che si sente sempre a scoprire qualcosa di nuovo. Se invece lavoro “contro” il mio insegnante in un atteggiamento difensivo dove l’unica cosa che conta è il mio “piazzamento” in classifica scolastica che verrà rigidamente determinato dai giudizi dell’insegnante allora lavoro su uno scatolone vuoto che è un’enorme presa in giro sia per me che per l’insegnante. Atteggiamenti di bullismo e quotidiana paranoia sono il minimo che possano scaturire da una filosofia di tale tipo.
La scuola competitiva non funziona, non produce cultura, produce solo stress e non è creativa. Se il mondo del lavoro vuole solo questo tipo di scuola vuol dire che è un mondo del lavoro sbagliato che deve essere rifondato e dove il modello competitivo deve lasciare spazio a quello della solidarietà sociale. Non esiste uomo senza principi morali, non esiste progresso tecnologico a base di soli tecnicismi. L’era del computer, se non disciplinata da principi morali, può essere la peggior era che ci sia anche se ci permette di tenere tutto sotto controllo e consente di immagazzinare una quantità impensabile di informazioni in pochi istanti, anzi, soprattutto per quello.
La genuinità del vissuto del campo sportivo deve dare ossigeno alla scuola che deve restare quel posto dove si va per imparare e non per competere. Addirittura la scuola dovrebbe dare le informazioni per vivere con più serenità anche la propria pratica sportiva invece che creare dei vincoli che la possono far diventare ansiogena. Ci sono giovani che vogliono ottenere risultati sportivi di primo livello in tenera età perché così potranno giustificare con maggior efficacia eventuali deficit di rendimento scolastico. Ma un ragazzo deve competere nello sport per il gusto di competere e non per la necessità di ottenere quei risultati che possano giustificare il suo impegno sportivo. Se ragiona così è già un professionista dello sport in tenera età quando invece dovrebbe ancora “giocare”con lo sport e sentirsi autorizzato a praticarlo senza dover dimostrare nulla a nessuno.
Siamo la società degli esami, esami in ogni ambito, verifiche, necessità di dimostrare efficienza dappertutto. Ad una società del genere è giusto reagire e dire: “Va bene, grazie, le faremo sapere…”.