Questo è un articolo di teoria dell’attività motoria e lasciate perdere tutte le definizioni di altre teorie del riconoscimento in filosofia etc, anche se forse vi sembrerà di trovare più filosofia che altro (e pure di quella straccia…) anche in questo articolo.
Di scientifico non c’è nulla, puro empirismo, elucubrazioni possibiliste partendo da una cosa concreta che è la teoria dell’esasperazione dell’errore in biomeccanica.
Teoria dell’esasperazione dell’errore o della “devianza” perché questa, in effetti è una strampalata ma abbastanza precisa critica a quella teoria della quale, peraltro, si vuole decantare la forte attualità e non nascondere assolutamente la potenziale efficacia non ancora sufficientemente sperimentata e dimostrata sul campo.
Nella teoria dell’esasperazione dell’errore si parte da un presunto errore di un dettaglio nella tecnica di corsa e si va a lavorare su questo dettaglio per vedere se si può “correggerlo” (parola un po’ pesante questo “correggere”) o comunque metterlo a punto per ottenere qualcosa di un po’ più valido nello schema di corsa. Io scrivo di tecnica di corsa per stare su qualche cosa nella quale mi destreggio abbastanza facilmente ma la teoria dell’errore è applicabile anche in altri ambiti dell’attività motoria.
C’è un problema di lessico e si evidenzia subito nel momento in cui definiamo “errore” una cosa che in realtà non si sa proprio se si possa definire tale. Non tanto, almeno, fintanto che non è stata analizzata ed indagata con un po’ di pazienza. Partiamo dal presupposto che abbiamo evidenziato un “errore” solo perché tale evento è una discordanza, una devianza, rispetto ad un ipotetico modello generale. Siccome un vero modello generale non esiste, dobbiamo avere l’umiltà di ammettere che quello potrebbe benissimo non essere un “errore” bensì una presunta anomalia o devianza che, alla fine dei conti, ci può anche stare benissimo in qual particolare gesto sportivo. Il campione è sempre un’anomalia e pertanto, se dovessimo rinnegare tutte le anomalie, non faremmo altro che liberarci in un colpo solo di tutti i campioni. Per dirla con un esempio, Dick Fosbury, invece che il pioniere di una tecnica di salto in alto che ha fatto sì che il mondiale dell’alto arrivasse fino a 2 metri e 45 centimetri, sarebbe un atleta che saltava in modo sbagliato, se non fosse che i risultati ti danno sempre ragione, al di là di quelle che sono le idee accettate dai teorici.
Per cui di questa valida teoria siamo già a criticare una parola pesante che è la parola “errore”. Potremmo ridefinirla “teoria dell’esasperazione della devianza” appunto come è stata ridefinita da alcuni ma anche più semplicemente “teoria dell’accentuata variazione di alcuni aspetti della tecnica di corsa”. Non è poi tanto semplice ma insomma si capisce dove si vuole andare a parare. Al di là che si parli di errori o meno, di anomalie o devianza si vuole mettere a fuoco su alcuni dettagli della tecnica di corsa per vedere se si scoprono soluzioni più adeguate all’atleta che stiamo seguendo.
Ci stiamo battendo sulla parole ma non abbiamo cambiato la sostanza. Uno dice “Voglio cambiare quell’aspetto lì perchè per conto mio è un errore” l’altro risponde “Non so se è un errore ma comunque andiamo a vedere cosa succede modificando quel dettaglio” e ci si trova abbastanza d’accordo sulla soluzione che è comunque studiare attorno a quel particolare dettaglio che è stato identificato come potenziale accidenti da sistemare.
Secondo alcuni tale teoria può funzionare (ed anche se non sono d’accordo sulle premesse sono poi d’accordo sull’approccio metodologico perché pressoché identico sarà il modo di intervenire) perché al di là dell’evidenziazione di presunti errori o devianze portare dei “rumori” al proprio schema di corsa è sempre buona occasione per acquisire nuove informazioni ed affinare la tecnica di corsa facendola evolvere verso soluzioni più efficaci.
Anche qui ci battiamo sul lessico: uno parla di errori, l’altro di devianze, un altro ancora dice che non sono né errori né devianze ma è sensato portare dei “rumori”, delle variazioni alla tecnica di corsa perché così si può farla evolvere dando possibilità di acquisizione di nuove informazioni.
Io porto in campo un nuovo concetto, si potrebbe dire un nuovo “rumore” usando il linguaggio di alcuni teorici, io spero che non sia solo “casino” usando il mio linguaggio atterrante che però spero che sia più chiaro possibile.
Fermo restando che ritengo giusto indagare su questi aspetti biomeccanici che possiamo chiamare errori o devianze o come cavolo si vuole e premesso che bisogna essere abili nell’individuare gli aspetti veramente importanti di questi con riguardo alla tecnica di corsa perchè se, per esempio, stiamo ad elucubrare sulla posizione corretta del dito mignolo nella tecnica di corsa potremmo anche perdere tempo e basta, ritengo che i processi di apprendimento e di acquisizione di nuove informazioni possibili con questa tecnica siano realizzabili solo grazie ad un processo di “ri-conoscimento” più che grazie ad un processo di apprendimento vero e proprio.
Non vorrei cacciarmi in un ulteriore gioco di parole ma ritengo che l’apprendimento non sia altro che un vero processo di ri-conoscimento. Sto sempre trattando di attività motoria e di nient’altro, non ho alcuna ambizione di allargarmi ad altri ambiti del sapere.
Sostengo che le informazioni acquisibili su uno schema motorio precostituito possano essere innestabili sullo stesso solo se avviene un processo di riconoscimento delle informazioni. Secondo alcuni, se così fosse, non ci sarebbe mai apprendimento perché non faremmo altro che “incamerare” come possibile solo ciò che già conosciamo. Io sostengo la gradualità dell’apprendimento perché ritengo che questo sia “impilabile” (come una vera e propria torre di quelle che usano i bambini piccoli per imparare a costruire…) solo se questo processo di riconoscimento è costante e non toglie continuità alla variazione. Continuità nella variazione. Questo è un concetto un po’ complesso. A mio parere una variazione è discontinua se è netta, non riconoscibile e strappa sul modello di partenza. In sintesi se vuoi cambiare un dettaglio in fretta non cambi proprio nulla perché il tuo organismo non la recepisce come una variazione possibile. Continuità di variazione significa che la variazione pur essendo concreta, altrimenti non potrebbe portare a nessuna nuova informazione, è riconoscibile e si può innestare sul vecchio modello. Torno a fare l’esempio delle torri dei bambini: una base si innesta sulla parte di torre preesistente, l’altra sarà d’appoggio per il pezzo futuro. Se la base non è idonea, non è “riconoscibile” dall’altro pezzo di torre non si aggancia nulla e… la torre casca.
Cosa vuol dire tutto ciò parlando di tecnica di corsa altrimenti si rischia di non capire nulla e ci si perde solo sulla teoria? Portare dei “rumori” vuol dire dare nuovi stimoli e questi stimoli possono essere utili sia che siano stati portati su qualcosa che già funzionava e tanto meglio se sono stati portati su qualcosa che non funzionava. Chiaro che il tecnico che ha la capacità di individuare gli stimoli migliori è quello che giungerà prima a dare un aiuto concreto. Gli stimoli validi sono quelli che verranno “ri-conosciuti” dall’atleta ed in questo ri-conosciuti con la lineetta in mezzo vado anche a storpiare il significato della parola per farmi comprendere meglio. L’informazione di corsa è già conosciuta, fa già parte delle possibilità motorie dell’atleta, viene provata, riprovata e conosciuta meglio, “ri-conosciuta”, conosciuta un’altra volta in modo un po’ diverso. Il processo di riconoscimento non è mai identico e questa può sembrare filosofia pura. In realtà noi continuiamo a cambiare e seppure lentamente ci “ri-conosciamo” in modo sempre diverso, sia perché è cambiato l’osservato che perché è cambiato l’osservatore (in questo caso l’osservato è il gesto che non può mai ripetersi perfettamente uguale e l’osservatore è l’atleta stesso che non può mai percepire nello stesso modo perché è in continua lenta evoluzione, se poi aggiungiamo come ulteriore osservatore anche l’allenatore si aggiunge un ulteriore fattore di modificazione della percezione). Sarebbe sufficiente che cambiasse uno solo dei due elementi per rendere il processo di riconoscimento impossibilmente identico tutte le volte, cambiano tutti e due pedissequamente (sia il gesto tecnico che la sua percezione), figuriamoci quanto questa eventualità sia impossibile.
Si può obiettare che stando così le cose è inutile portare rumori, stimoli nuovi, perché comunque la tecnica di corsa si evolverà sempre e, seppur lentamente, sarà sempre condannata a modificarsi. Prendiamo per buona questa “condanna” che è autentica e tentiamo di incanalarla secondo le esigenze di ottimizzazione della preparazione. Vogliamo che il riconoscimento del modello di corsa avvenga secondo modalità che sono le più efficaci possibili. Sappiamo che se la variazione è troppo violenta, non da continuità sul modello precedente, viene rifiutata e non viene riconosciuta, se è troppo blanda è ciò che avviene tutti i giorni anche senza che noi ci affanniamo ad inventarcene di nuove e sempre più efficaci, dobbiamo studiare, all’interno delle variazioni possibili e quindi “ri-conoscibili” quelle che possono dare gli adattamenti migliori.
Siamo partiti dalla teoria dell’errore, abbiamo detto che è una teoria certamente efficace. Non sappiamo se in realtà tratta di errori o semplicemente di aspetti biomeccanici che meritano di essere chiariti. Siamo abbastanza certi che una varietà di “rumori” può portare a nuovi stimoli per migliorare la tecnica di corsa. Secondo il sottoscritto (e sottolineo secondo il sottoscritto…) per una fantomatica teoria del “ri-conoscimento”che se non c’è sono costretto ad inventarmela per spiegare una cosa che sui libri non c’è scritta ma sul campo in modo empirico si evidenzia, è opportuno che questi stimoli non siano troppo innovativi ma possano essere riconosciuti in quello che è il bagaglio delle informazioni motorie del soggetto che li va a provare.
Forse è proprio questo il motivo per cui la teoria dell’esasperazione dell’errore è vincente: dire di ingigantire un dettaglio che è già presente nell’azione di corsa di un certo atleta vuol comunque dire partire da un qualcosa che lui già conosce, da questo punto di partenza potrà attaccare qualche altra casella di quel grande puzzle che è il quadro del gesto motorio. Quale sia quella casella lo si può scoprire solo a patto di lente indagini con molti tentativi. Se il tecnico che segue quell’atleta è un buon tecnico i tentativi potranno essere un po’ meno. Alla fine il vero maestro è quello che ti fa risparmiare tempo. Se io fossi capace di scrivere come si deve questo concetto sarei riuscito ad esprimerlo con molte meno righe…