SULLO STATO DI NECESSITA’ “PERCEPITO”

Il Prof. Bragagnolo, all’ISEF di Verona, disquisiva sullo stato di necessità come elemento fondamentale per capire la motivazione dell’atleta verso un determinato risultato sportivo.

Spero non in ritardo su una disputa che penso che sia molto utile approfondire, io aggiungo che è importante valutare lo stato di necessità “percepito” più ancora che quello reale e concreto.

Mi spiego: il Prof. Bragagnolo era persona pragmatica e concreta e citava eclatanti esempi di atleti costretti da cause ambientali al risultato sportivo, gli atleti dell’est europeo e quelli dei paesi africani, i primi nella necessità di trovare una qualsiasi forma di libertà che in quei paesi non esisteva se non nella possibilità di produrre exploit sportivi in tutto il mondo, i secondi addirittura nella necessità di affrontare bisogni primari, negati nei loro luoghi d’origine da condizioni sociali impossibili.

Più filosofeggiante e meno concreto, forse perché immerso in una realtà virtuale che è tipica dei nostri tempi, io ritengo che sia importante anche riconoscere una necessità fittizia per comprendere la motivazione di un soggetto.

Nel dettaglio: la pratica sportiva può essere anche fondamentale per la salute di tutti e ciò può anche essere documentato con studi scientifici al di sopra di ogni sospetto, ma se tale necessità non è percepita concretamente non va a bersaglio sulla motivazione al movimento.

Al contrario, il telefonino  di ultima generazione o l’auto di lusso possono anche essere del tutto ininfluenti sulla qualità di vita di una persona (o addirittura condizionanti in termini negativi) ma se il loro possesso viene percepito come condizione necessaria per ambire a livelli superiori di benessere psico fisico, allora si aprirà una caccia sfrenata al telefonino di ultima generazione oppure al mega SUV in grado di balzare su tutti i marciapiedi della città con l’agilità di un fuoristrada e con la classe di una limousine.

Chi ha fame ha fame e basta, chi non ha fame può avere necessità che anche se non sono concrete e motivate da autentici bisogni fisiologici possono comunque determinare in modo netto certi comportamenti sociali.

E così i giovani d’oggi non sentono la necessità di affrontare con il dovuto impegno una sana pratica sportiva ma percepiscono la necessità di perdere ore ed ore sui social a curare le loro pubbliche relazioni virtuali. La necessità vera non è più quella fisiologica, falsamente differibile (perchè quando presenta il conto lo fa in modo drammatico) ma quella virtuale che è falsamente “non” differibile, impellente, urgente e assolutamente improcrastinabile. E bisogna ammettere che, almeno da un punto di vista psicologico, lo è davvero.

Quando un  giocatore di calcio fa una finta e con questa siede letteralmente il difensore avversario che si sposta su un lato lasciando campo libero, poco conta che quel movimento di anticipazione sia seguito da un altro movimento ben preciso. La finta ha già prodotto il suo effetto autentico e tangibile e messo fuori causa l’avversario.

E così poco conta che i telefonini di ultima generazione o i SUV di lusso che funzionano con il carburante del secolo scorso non siano effettivamente efficaci per migliorare la qualità di vita dell’individuo perché la “finta” ha comunque prodotto una risposta. Viviamo una serie di stati di necessità indotti che molte volte non sono concreti ma sono autenticamente percepibili ed in questo acquisiscono una loro concretezza reale.

Quando una persona sogna di essere inseguita da una tigre può svegliarsi sudata ed affannata come se l’evento fosse accaduto davvero. Il fatto che quella tigre fosse impossibilitata a raggiungere il sognatore nella realtà tangibile è un fatto che si può raccontare solo a posteriori perché il sognatore calato nuovamente in quella situazione continuerà a scappare. Siamo in una situazione dove discernere fra mondo reale e mondo virtuale è diventato un po’ difficile. Nel dubbio scappiamo ed inseguiamo come se tutto fosse autentico quando forse a volte converrebbe fermarsi ad analizzare la realtà. E se poi la tigre è vera?

Purtroppo la tigre a volte deve essere considerata proprio vera e riesco a dimostrarlo anch’io con il mio sito dove nonostante continui ad occuparmi di aspetti abbastanza essenziali dell’attività motoria e dello sport legati per lo più alla salute vera degli sportivi vengo bersagliato da domande di persone che continuano a chiedere la formula magica per dimagrire oppure per diventare più grossi a seconda dei gusti.

Allora io sostengo che la tigre è anche vera perché se mi offrissi in pasto a questi probabilmente avrei un numero di lettori spropositato e potrei permettermi di diffondere questo sito anche grazie al contributo di inserzionisti che certamente accorrerebbero per distribuire la loro pubblicità.

Invece io continuo ad insistere sul fatto che la tigre sia finta e continuo a trattare argomenti che a volte risultano incomprensibili anche se sono drammaticamente concreti perché la sedentarietà potenzialmente patologica riguarda circa venti milioni di italiani alla faccia dei telefonini e dei SUV necessari a farci vivere bene.

Probabilmente le bugie a fin di bene vanno anche accettate, c’è che io non ce la faccio a raccontarvi che il vostro problema di movimento è che dovete variare la percentuale di massa magra su quella grassa. Il vero problema di movimento è che milioni di italiani sono abbindolati dal movimento “business”, non vanno a piedi, non vanno in bici e continuano a non chiedere la rete di piste ciclabili della quale avremmo vera e concreta necessità su tutto il territorio nazionale per ricominciare a respirare e pure per rilanciare l’economia.