Come dovevasi dimostrare. Il tribunale di Bolzano dice che il marciatore Schwazer non si è dopato, che come minimo l’accusa di doping deve essere rivista alla luce di particolari determinanti per poter formulare il giudizio di colpevolezza e all’istituto mondiale dell’antidoping non gliene frega proprio nulla.
Non è che non gliene freghi proprio nulla, è che non può tornare sui suoi passi perché altrimenti casca il palco.
E dunque la sacralità dell’istituto dell’antidoping non può essere messa in discussione. L’istituto dell’antidoping non sbaglia mai, quando sappiamo che in tema di sport di alto livello sbaglia probabilmente fra il 70 e l’80 per cento delle volte che fa un controllo perché non ha possibilità di fare di meglio.
Sono danari pubblici, è questo il problema e se dobbiamo continuare a spenderli per tenere immacolato il candore dello sport di alto livello è un po’ triste perché c’è bisogno di impianti sportivi per lo sport di base non di bufale spaziali per proteggere lo sport di alto livello che si protegge da sé.
Schwazer è colpevole, colpevole di aver rotto le scatole. Lo sport è questo e non può certamente essere cambiato da un solo atleta che tenta di spiegare cose che è meglio che non siano spiegate.
Resto del parere che se invece di un finto antidoping che serve solo per pigliare gli amatori pazzi scatenati che giocano a scimmiottare i grandi campioni si facesse davvero un’autentica campagna di informazione per tentare di demedicalizzare un pochino lo sport di alto livello sarebbe una gran cosa. Stando così le cose non solo lo sport di alto livello è eccessivamente e pericolosamente medicalizzato ma è pure protetto da un antidoping che non funziona, o meglio funziona solo per lo sport amatoriale che non ha bisogno di strutture faraoniche per essere controllato e gestito con coscienza.