SITUAZIONE ORMONALE E RENDIMENTO SPORTIVO

Straordinariamente questo non è un articolo sul doping o sui farmaci nello sport ma, al contrario, un’osservazione su come si possa sopravvivere nello sport anche senza servirsi dei farmaci a patto di essere dotati di una pazienza ed un’attenzione sovrumana nel valutare alcune cose molto importanti nella preparazione.

Sgombro il campo dall’incubo doping in poche righe per tentare poi di spiegare il complesso atteggiamento di chi vuole rifiutarlo senza rinunciare all’ambizione a risultati di vertice.

Già oltre 60 anni fa i sovietici hanno indicato una strada poi seguita in tutto il mondo (per quello sono convinto che le sanzioni sul doping ai russi siano assurde: stanno facendo pagare loro colpe del secolo scorso quando adesso fanno tutti di molto peggio…) che considerava proprio la situazione ormonale dell’atleta. Il monitoraggio della situazione ormonale consentiva una certa programmazione nel processo di allenamento e metteva al riparo da sorprese che potevano rallentare l’evoluzione sportiva. Loro dicevano che usavano la scienza e noi la stregoneria e con i risultati hanno dimostrato che purtroppo quel tipo di scienza era vincente nello sport.

Io aggiungo che se tutti avessimo continuato ad usare la stregoneria quell’atteggiamento al giorno d’oggi non potrebbe più essere definito stregoneria e le tecniche di allenamento si sarebbero evolute decisamente di più di quanto non abbiano fatto in questo ultimo mezzo secolo.

La scienza ha vinto, si sono imposti i “protocolli” medici, i farmaci hanno dilagato in modo impensabile ed il fatto che tutto ciò sia lecito perché sotto rigoroso controllo medico non mi entusiasma particolarmente. Inoltre rifiuto il concetto, per pura testardaggine e non per consapevolezza scientifica, che lo sport senza farmaci al giorno d’oggi sia troppo pericoloso per l’atleta. Lo è se l’allenatore non si rende conto che la velocità dei progressi ottenuti senza farmaci non può essere la stessa che si ha con una preparazione supportata dai farmaci. Un atleta normale ottiene i suoi migliori risultati in quasi tutte le discipline attorno ai 27-28 anni se non dopo e non attorno ai 21-22 se non prima.

Allora, da buon stregone, dico perché quella che è ritenuta “stregoneria” avrebbe potuto essere definita “metodologia dell’allenamento” se molti si fossero rifiutati di accettare i “protocolli medici”.

E’ chiaro che un’astrazione mi è necessaria, non sto parlando della realtà ma di una cosa che avrebbe potuto essere e di una cosa che in modo utopistico potrebbe essere in un futuro se i tecnici del movimento diventeranno finalmente più importanti dei medici nella preparazione sportiva.

L’astrazione, che richiama all’utopia, è che l’atleta possa essere lasciato libero di maturare nei suoi normali tempi di maturazione e, soprattutto, che possa pure essere contemplata l’ipotesi che non diventi un campione. Astrazione un po’ folle perché praticamente tutti gli atleti che dedicano una montagna di tempo all’attività sportiva hanno la presunzione di averne alla fine un ritorno economico e dunque puntano a risultati di vertice.

Ulteriore precisazione per rimanere nel campo dell’utopia non impossibile. L’atleta in questione che segue la strada senza farmaci dovrebbe essere un atleta con un’organizzazione di vita tale per la quale anche se il grande risultato non arriva non c’è un problema di sussistenza perché i soldini gli arrivano già da un’altra attività che non è lo sport. Un professionista “non professionista” come una volta, in tempo di pionierismo, ce n’erano molti.

Questa cosa, che apparentemente può apparire impossibile, in realtà se messa in campo é quasi un vantaggio sulla condizione psicologica del professionista vero che tante volte deve avere al suo seguito pure lo psicologo dello sport. Il professionista “non professionista” che giunga al grande risultato o meno campa lo stesso, per certi versi non ha nemmeno bisogno dello psicologo dello sport al seguito perché la sua non è una necessità e, al più, può avere il vezzo anche lui di servirsi di uno psicologo per vedere se serve a qualcosa.

Il problema fondamentalmente è tecnico perché la scoperta dei sovietici non era una fesseria: la condizione ormonale dell’atleta altera il processo di allenamento e l’acquisizione degli elementi di progresso in modo determinante, se ignoriamo questa cosa commettiamo un infinità di errori e allora sì possiamo essere definiti solo degli stregoni.

Su questa base dobbiamo tener presente che ci sono dei picchi ormonali durante i quali è molto facile appoggiare mattoni nella costruzione sportiva ed altri momenti nei quali anche se è opportuno continuare ad allenarsi non è pensabile poter avere la stessa velocità nella collocazione di questi mattoni.

Se la prima reazione (e sto parlando di tantissimi anni fa) fu quella di andare ad indagare sull’andamento di questi picchi (e così il banalissimo studio dei cicli del testosterone) vi lascio immaginare quale fu la seconda mentre un atteggiamento più curioso non lo lascio per niente immaginare ma voglio proprio descriverlo.

Tutto sommato può anche non fregarcene niente di studiare in laboratorio le curve di alcuni ormoni molto importanti, questo se abbiamo scartato a priori l’ipotesi di intervenire in modo esogeno. Il quesito che dobbiamo porci, invece, e questo come tecnici dobbiamo tentare di affrontarlo in modo molto preciso, è che tipo si esercitazioni possono essere fatte in momenti di condizione ormonale sfavorevole e quale altro tipo di esercitazioni sono opportune in fase ormonale ideale.

Non c’è dubbio che una messa a punto specifica che punta direttamente alla costruzione della forma sportiva possa essere ostacolata da una condizione ormonale deficitaria. Allora si tratterà, pazientemente, di attendere altri momenti per alcuni allenamenti molto delicati e capire con cosa si può andare avanti nel frattempo.

Perché certi momenti non sono idonei per l’allenamento specifico? Mi tocca scomodare l’automobilismo. Pensate al pilota che si deve allenare ad affrontare una certa curva dell’autodromo. Quel giorno che doveva allenarsi per quello la macchina per qualsiasi accidente, non rende come dovuto e non riesce ad entrare in curva alla velocità alla quale avrebbe dovuto arrivare per preparare quella curva. E’ inutile stare a perder tempo su una situazione che poi non sarà quella che si verifica in gara. Semmai potrò concentrarmi su un’altra curva dove le velocità prodotte sono quelle che nonostante tutto quel giorno la mia vettura in quello stato riesce a produrre. Per cui risparmio tempo rimandando un compito che quel giorno non si riesce ad affrontare e mi concentro sul compito che quel giorno posso fare e pure esaurire per lasciare tempo a disposizione per l’altro compito in futuro.

Con i farmaci si può semplificare questo tipo di problemi perché la macchina va sempre e può affrontare tutti i punti del tracciato. Ma ho già scritto che questo non è un articolo sul doping e/o sui farmaci e pertanto bisogna soffermarsi sulla necessità di capire come sta l’atleta quel giorno.

Dal mio punto di vista l’indagine di laboratorio non è essenziale perché intervenendo con il solo allenamento che sia carente un ormone o un altro tutto sommato non me ne frega niente. Può anche essere che la situazione ormonale sia del tutto a posto ma che l’atleta quel giorno lì non renda per tutt’altri motivi, magari perché è appena stato mollato dalla morosa. E’ qui che diventiamo stregoni, artisti e a tratti pure preti (o psicologi a seconda dei gusti) e non troviamo la risposta su nessun libro (in realtà i preti dicono sulle Sacre Scritture). Dobbiamo aver la capacità di capire quando è il momento giusto per proporre una certa seduta di allenamento all’atleta in base a tantissime cose, alcune delle quali, è è bene sottolinearlo, non sono indagabili nemmeno in laboratorio e pertanto il tecnico immerso in tali compiti come minimo sarà ben allenato contro la miopia da scienziato. Bisogna avere il colpo d’occhio immediato, quello che inquadra bene tutta la situazione e che ci suggerisce dove andare a parare.

Detta così può sembrare una metodologia da mondo delle favole, un qualcosa che non è ancora stato inventato. Eppure un tempo molti tecnici su questo spirito c’erano e chi è abbastanza stagionato può testimoniarlo.

Ai giovani, per provare a capire questo spirito, suggerisco la visione del film “Momenti di Gloria” che non è una cosa molto del futuro se è vero che è ambientato nel 1924. In particolare la figura del tecnico professionista Sam Mussabini non mi pare molto il soggetto che si affida allo psicologo dello sport per alcuni problemi o alla medicina per altri e, nella parte finale del film, dopo il successo ottenuto dal suo atleta dice semplicemente: “Adesso vai e fatti la tua fottuta vita”, non dice: “Adesso ti mando dallo psicologo dello sport perché sei in un momento delicato…”.

Forse abbiamo bisogno di uno sport fatto un po’ meno di protocolli e con un po’ più Sam Mussabini. Ma come il Sam Mussabini dell’epoca era tenuto fuori dalla stadio anche l’eventuale Sam Mussabini di adesso non sarebbe ben visto perché gli sponsor hanno bisogno di certezze non di favole permeate da aloni di magia, stregoneria e romanticherie varie.

Io comunque uno di quei cappelli che si spaccano con un pugno, se lo trovo ai banchetti, me lo compro e se volete sapere perché guardatevi il film, vecchio pure lui, del 1981, ma ne vale la pena.