Se comandasse lo sport io sarei più contento. Forse non sono l’unico. Invece comanda lo spettacolo. Attenzione che comanda lo spettacolo dappertutto, non solo nello sport, anche nella politica ed in molte altre cose che hanno a che fare con la nostra normale esistenza. Comanda l’esteriorità.
In un sistema governato dalla pubblicità l’esteriorità è essenziale, ciò che si presenta bene ha molte più possibilità di essere “venduto”, piazzato bene sul mercato. Resta da capire se poi è effettivamente molto importante essere “venduti” e piazzati bene sul mercato.
Per conto mio lo spettacolo dovrebbe comandare a teatro, in televisione, ma non nello sport e nella politica. A teatro l’importante è che il pubblico si diverta, se l’attore ha recitato bene e ha fatto divertire il pubblico che lui si sia divertito o meno non conta. Conta che abbia fatto divertire il pubblico. Accade che l’attore entri in simbiosi con il pubblico ed è contento solo se il pubblico si è divertito. Praticamente si fa divorare dalla sua professione e si sente gratificato per quanto ha funzionato con il pubblico.
Purtroppo anche nello sport molto spesso è così. Il campione è una specie di gladiatore, si massacra di allenamento e fa divertire il pubblico. Se il pubblico si è divertito anche l’atleta è contento, anche se si è massacrato, anche perché il pubblico che si diverte paga.
Nella politica il giochino è simile. Il politico serve in modo “spettacolare” (fondamentale che si sappia bene in giro…) il suo elettore, questo paga votando e se da un punto di vista esteriore tutto funziona la cosa va avanti anche se nella sostanza non succede nulla perché è tutta apparenza ma in concreto il politico fa molto meno di ciò che dice di fare.
Dunque c’è un’esteriorità, sostenuta da televisione, pubblicità e contenuti che si fanno passare anche sugli stramaledetti telefonini, arma micidiale del nostro del nostro tempo, che si autogenera e condiziona svariati aspetti della nostra esistenza.
Se comandasse lo sport nella sua essenza io sarei molto più contento ma sarebbe una cosa davvero rivoluzionaria, forse troppo rivoluzionaria. Decreterebbe il primato della sostanza sull’esteriorità, il trionfo della concretezza a scapito del frivolo. In quel caso crollerebbe il sistema della pubblicità svuotato nella sua essenza e le televisioni dovrebbero chiudere o rivedere completamente il loro modo di stravolgere l’informazione. Quanto ai telefonini probabilmente non esisterebbero più oppure continuerebbero ad esistere solo per quel poco che hanno davvero motivo di esistere, non certamente per devastare la vita delle persone ed essere usati diverse ore al giorno.
Lo sport nella sua essenza ti dice che l’importante è la salute, che l’importante è che stai bene e ti diverti, se poi il pubblico che assiste alle tue gesta eroiche si diverte, tanto meglio, altrimenti quello non è assolutamente un problema, il pubblico può soffermarsi tranquillamente ad osservare qualcuno di più divertente.
E’ chiaro che un concetto di sport del genere è un concetto stravolto. Le televisioni, come detto, rischiano di chiudere, la spesa per l’assistenza sanitaria scende in modo considerevole, e questo, anche se è brutto da scrivere, non fa comodo a tutti. Mica tutti ci marciano sulla nostra salute, molti marciano sulla nostra “non salute”.
Alla fine questo sarebbe uno sport davvero potente, quasi prepotente, uno sport che stravolge la società nei suoi pilastri fondanti. Se lo sport comanda su sé stesso, rischia di finire per comandare l’intera società. Il miglior modo per tenere lo sport in un ambito di sopportabilità per questo sistema è assoggettarlo alle regole dello spettacolo. Pertanto lo sport ci sta bene fin tanto che è sport spettacolo perché alimenta questo sistema, non ci sta più bene quando è solo sport per la salute perché lo scardina. Togliamoci dalla testa l’idea che questo sia un sistema fondato sulla salute dei cittadini. A chi governa l’economia che i cittadini siano sani o meno non interessa, l’importante è che siano ottimi consumatori. Se sono ottimi consumatori il resto non conta.
A me piace lo sport sostanza, quello dove lo spettacolo non conta, quello dove tutti i cittadini si sentono protagonisti, quello dove se c’è una scuola che non consente di praticare sport si cambia la scuola e non lo sport. Quello che se c’è una professione che non ti lascia vivere perché devi solo lavorare, si cambia il modo di lavorare invece di subire continuamente ed essere relegati al ruolo di telespettatori che lo sport lo possono guardare al massimo in televisione ma non hanno certamente tempo per praticarlo dal vivo.
La rivoluzione dello sport è una rivoluzione troppo clamorosa, troppo grande è pura utopia e non potrà mai essere innescata.
La Rivoluzione Francese in confronto non è nulla, un episodio locale. In ogni caso a scuola si studia la Rivoluzione Francese perché se qualcuno studia la rivoluzione dello sport, magari sul campo più che sui libri, lo bocciano. E questa è una cosa che, anche se portata avanti per sostenere il primato dell’esteriorità, ha comunque una sua concretezza innegabile. Difficile pure da scalfire.