SDRAMMATIZZARE, NON SOLO SULL’ATTIVITA’ AGONISTICA

Nel nostro inno nazionale c’è un passaggio, piuttosto discutibile, nel quale si sente “Siam pronti alla morte…”. L’inno essenzialmente lo sentiamo quando ci sono manifestazioni sportive internazionali nelle quali partecipiamo come nazione e sentire questa cosa ripetuta ci fa pensare che anche gli atleti siano pronti alla morte pur di tenere alto l’onore della bandiera.

Mi spiace essere dissacrante e parlare male di quell’inno che tantissimi italiani amano alla follia ma per conto mio che siamo pronti alla morte è una gran balla e lo è come sportivi ma anche come cittadini. Nessuno di noi è pronto alla morte e non lo siamo come sportivi ma nemmeno come cittadini in rispetto ad un amor di Patria che se vogliamo è un concetto anche piuttosto arcaico e discutibile.

L’amor di Patria può essere anche un valore interessante ma quando diventa ingrediente per giustificare le guerre allora deve giustamente messo in discussione perché per esempio il sottoscritto, e spero di non essere l’unico, sostiene che la pace sia più importante della Patria. Non c’è Patria senza pace, non c’è ideale di Patria che ci salvi dalle atrocità della guerra e possa giustificarla. Se l’unico modo per evitare le guerre è fare un’unica Patria facciamo un’ unica Patria, non un’unica Europa che è già contestata prima di essere davvero unica, ma un’ unica Patria così non ci sono più neri e bianchi, russi e americani ma solo uomini di buona volontà che lottano per la pace.

Purtroppo il concetto è di religione più che di filosofia e allora se pensiamo che in tempi nemmeno troppo remoti ci siamo inventati le guerre di religione si può capire che siamo un po’ distanti dal risolvere il problema.

Mi sia consentita una precisazione che da molti è ritenuta semplicemente blasfema: io penso che il concetto di religione stessa sia in antitesi con il concetto di guerra e pertanto, sempre a mio parere, tutte le religioni di questo mondo hanno tutto da perderci a sostenere un concetto di religione “migliore delle altre” che deve essere spinta a tutti i costi per conquistare il mondo. Ogni religione va bene e ognuno sarà giustamente orgoglioso e felice della propria religione se sono funzionali ad un concetto di pace che deve essere il principio fondante di tutte le religioni.

Da qui allo sport il balzo è veramente notevole ma visto che nello sport esistono anche i balzi è giusto affrontarlo.

Nessuno sportivo può essere pronto alla morte per una competizione sportiva e, se lo è, è semplicemente un cretino perché morire per una vittoria in una competizione sportiva è una follia insostenibile.

Pertanto, ripeto, l’inno di Mameli durante le competizioni sportive fa semplicemente sorridere, non siamo per niente pronti alla morte, non lo siamo come sportivi e non lo erano nemmeno i nostri nonni quando andavano a salvare la Patria, tanto è vero che molti di loro bevevano grappa per pensarci di meno.

Cosa vuol dire tutto ciò tradotto nell’ambito sportivo?

Tante cose, in primo luogo che non si può rischiare la salute e pertanto il concetto di doping nello sport dovrebbe essere risolto da questa presunzione. Non è accettabile, ai nostri tempi, un concetto di “sportivo gladiatore” che si immola per lo spettacolo e rischia la propria vita per fare in modo che la qualità dello spettacolo sia alta e possa soddisfare il popolo.

Purtroppo il concetto di doping è molto vasto e la persistenza (anzi al sempre maggior diffusione) di questo dipende essenzialmente dal fatto che ormai una nutrita schiera di benpensanti sostiene che un’attività agonistica di alto livello senza farmaci sia pura follia ed anzi è proprio perché lo sportivo non può essere considerato un gladiatore che deve essere “aiutato” nella sua pratica sportiva da farmaci che possano mitigare lo stress di una preparazione sportiva sempre più ai limiti del fisiologico.

E’ per questo che ultimamente non si può più chiamarlo doping perché ti querelano e si può solo chiamarla assistenza medica che è indubbiamente di alto livello perché nonostante un uso sempre più massiccio di farmaci non risulta positivo ai controlli quasi nessuno degli atleti assistiti. Anzi, al contrario, quando viene pigliato positivo a qualche sostanza strana qualche atleta sprovveduto è quasi sempre un personaggio che non ha assistenza medica e che probabilmente usa i farmaci in modo saltuario e non comunque sistematico.

Il discorso doping è un discorso troppo lungo, è un discorso politico e sul tormentone principale in ambito nazionale che è quello dell’atleta altoatesino Alex Schwazer, torturato dalla giustizia sportiva perché da solo ha provato a scoperchiare il pentolone, mi piace citare il presidentissimo (persona che ritengo abbastanza attendibile e coerente) della Fidal che testualmente ha affermato: “Sul caso Schwazer, prima di farvene un’ opinione andate a studiarvi le carte processuali…” tappando la bocca in un amen ai buontemponi che si sono preoccupati di dire che lui era l’atleta baro che, unico fra pochi, ha usato alcune sostanze e poi, non contento (e semplicemente idiota se fosse vero, a quel punto…) ci ha riprovato di nuovo sapendo benissimo di essere controllato giorno e notte, praticamente perseguitato dall’antidoping.

Il problema di Schwazer è che stato unico solo nella sua ostinazione a non voler passare per demone in un mondo di santi e così, pigliato positivo la prima volta, ha cominciato a rompere le scatole in un mondo dove l’ipocrisia regna sovrana.

La questione in ambito sportivo è qui più filosofica che religiosa e allora non dovrebbero esserci guerre. Lo sport serve per vivere meglio e non per servire la Patria. Su questo concetto non dovrebbero esserci dubbi.

Se questo è vero allora la parola “sdrammatizzazione” deve diventare la parola numero uno di un’attività agonistica che, quanto utile, a volte è fin troppo mitizzata e stravolta nei suoi valori. La competizione sportiva non è una guerra, é competizione e basta. Dire gioco forse è limitante. E’ un gioco “profondo”, un gioco sofisticato dove ci si investe una quantità molto elevata di emozioni ed io stesso affermo che “..se anche la scuola va male o in ambito lavorativo c’è qualcosa che non quadra… l’importante è che l’attività sportiva vada bene e sia gradevole e quella mi rende piacevole la vita”.

Attenzione che qui ho citato uno dei miei concetti più blasfemi: arrivo a dire che l’attività sportiva sia più importante della scuola e del lavoro (e la cosa più grave è che ne sono convinto…) ma l’argomentazione che vi porto a sostegno di tale tesi non è ignorabile: si lavora per vivere e non si vive per lavorare, pertanto se il lavoro è talmente pesante che provoca uno stress grave, io sostengo che un giovane (ma per assurdo anche un “non giovane”) abbia il diritto di concentrarsi sulle vicende dell’attività sportiva per rilassarsi e per diluire quello stress grave che gli proviene dall’ambiente di lavoro.

La sdrammatizzazione che dobbiamo imparare nello sport va trasferita al mondo del lavoro e al mondo della scuola. C’è gente che si spara perché perde il lavoro. Qui torniamo ai principi religiosi. Se pensiamo che il lavoro sia più importante della vita vuol dire che c’è anche un problema di sentimento religioso. Scusatemi la battuta idiota ma se il lavoro è il principio assoluto allora vuole dire che “Non c’è più religione…”.

La sacralizzazione del lavoro produce effetti devastanti nella società e può prestare il fianco a fenomeni di schiavismo. Se lavorare è più importante che vivere allora si lavora anche a paghe da fame, non perché quelle paghe consentano una vita dignitosa ma perché l’importante è lavorare.

Sono sempre stato abbastanza contrario al reddito di cittadinanza ma il motivo per il quale è stato eliminato penso che sia l’unica cosa buona che aveva combinato. Il reddito di cittadinanza è stato fatto eliminare da quegli imprenditori che per colpa della sua presenza non riuscivano più a trovare manovalanza a prezzi stracciati. In una parola il reddito di cittadinanza stava mettendo in crisi gli imprenditori, quindi stava bloccando l’economia e quindi è stato eliminato.

Allora visto che il reddito di cittadinanza è stato sconfitto come deterrente per combattere la prepotenza degli imprenditori occorre un principio di sdrammatizzazione ancora più forte. Non è facile perché se non mangi non mangi ma la dignità di dire “Licenziami pure che non mi sparo e qualcosa di meglio lo trovo” dovrebbe essere di tutti.

Sono cose per certi versi drammatiche ed in effetti sono anche vere battaglie, l’assurdo è che non possiamo drammatizzarle e trasformarle in vere guerre se vogliamo tentare di risolverle.

L’imprenditore che si impone e ti fa abolire il reddito di cittadinanza per poterti schiavizzare ancora non va decapitato, va semplicemente mandato a quel paese (dove andrà a schiavizzare qualcun altro…) se proprio dobbiamo sopportarlo non va drammatizzato l’umiliante rapporto di lavoro che ti propone come non deve essere drammatizzata l’attività sportiva che usi come strumento per sopportare quel lavoro umiliante. Errore gravissimo l’attribuire eccessivo valore al danaro dando sempre più importanza al lavoro e sempre meno allo sport (che ti costa molto in termini di tempo libero). Fare sport deve essere divertente, dovrebbe essere un diritto ed è drammaticamente importante. Per quello va sdrammatizzato, altrimenti a vent’anni molli tutto e ti concentri solo su lavoro che può essere molto deprimente e concettualmente errato da un punto di vista fisiologico.

Sdrammatizzare è importante: è la fisiologia che ce lo richiede…