Sto attendendo con ansia la segnatura delle famigerate “casette” che dovrebbero rivoluzionare il traffico urbano ma mi sa che dovrò attendere per più di una vita. In questa, anche se mi mantengo bene, non mi prendo il corona virus, sopravvivo agli incidenti stradali e alle innumerevoli patologie portate dall’inquinamento, penso comunque che non ce la farò. Pare che salvino gli incentivi per le bici e, piuttosto di niente è già qualcosa anche quello, ma io ritenevo che la mossa decisiva fossero proprio le geniali casette, per sancire, una volta per tutte che il ciclista è importante, salva la società e non è soltanto quello che affossa questo tipo di economia che deve essere affossata al più presto prima che lei affossi noi.
Intanto cos’era la “casetta” (e mi tocca scrivere “cos’era” perché mi sa che se la sono già dimenticata). La casetta era un’idea geniale, consistente in una segnatura stradale di rispetto, per dare la precedenza ai ciclisti agli stop, far vedere che esistono e far venire pure voglia ha chi ha fretta (e nel nostro paese sono molti, purtroppo troppi, cittadini perché siamo perennemente immersi nello stress) di passare dall’auto alla bici per il semplice motivo che se le bici vanno avanti allora le auto devono mettersi diligentemente in coda, e sottolineo diligentemente, avvallando il concetto che in città la norma non è l’auto bensì la bici. Nessuna discriminazione razziale, chi ha disabilità tali o impedimenti tali da essere costretto ad usare l’auto può continuare ad usarla ma deve semplicemente fare i conti con le bici e considerarle davvero e non per finta come succede adesso. Dunque rispetto per le disabilità ma non possiamo fare in modo che queste disabilità prevarichino i diritti di chi non le ha, altrimenti ci mettiamo tutti a fare i disabili e continuiamo ad usare le auto come se nulla fosse.
Questo tipo di rivoluzione al momento non è passata e non poteva passare in un paese che da alcuni viene definito “autocratico” dove il senso della parola è storpiato e per autocrazia non si ritiene il vero concetto della parola, bensì, in modo molto più curioso, il dominio dell’auto.
Ho intitolato, come spesso accade, questo articolo con un titolo che pare che non c’entri un fico secco ed invece c’entra eccome perché la storia della “casetta” che rischia di finire male non è che la punta dell’iceberg di tutta una serie di cambiamenti auspicati ma che purtroppo non si verificheranno dopo questo flagello.
Guardate lo stile delle pubblicità alla televisione per capire se questo non è l’andazzo. Sono tutti protesi ad inseguire un ideale di “normalità”, a sbandierare il ritorno a ciò che si faceva prima. Che la quarantena sia riuscita in meno di due mesi a ripulire l’aria dell’intero pianeta (addirittura il nuvolone cinese dava segni di cedimento…) non se n’è accorto nessuno. Continuiamo con le fette di prosciutto davanti agli occhi. Che le disuguaglianze sociali e la pessima distribuzione del lavoro fossero problemi che esistevano già prima del corona virus non se ne ricorda nessuno. Pare che questa pandemia abbia sortito come gli effetti di una enorme vaccinazione di massa. Siamo tutti vaccinati contro la voglia di cambiamento. L’abbiamo provato e abbiamo sviluppato gli anticorpi contro il mostro del cambiamento. Non li abbiamo contro il corona virus che probabilmente non ha colpito nemmeno il 10% della popolazione mondiale ma li abbiamo contro il cambiamento che per oltre due mesi ha invaso le menti della maggior parte della popolazione del pianeta.
E’ più che lecito immaginare che il modello di attività fisica per la salute torni ad essere “Schede, palestra ed aminoacidi” perché questo era il modello con i lustrini creato prima dalla società dei consumi e non avendo inventato nel frattempo un altro modello più razionale sì tornerà a ripigliare quello di prima pari pari.
“Schede, palestra e aminoacidi” è l’aberrazione del movimento perché con le cosiddette “schede” ridicolizzi il ruolo dell’esperto di attività motoria che rischia di apparire un tecnico informatico invece che un tecnico del movimento, con l’immagine della palestra super attrezzata dai più importanza alle macchine da palestra che ai consigli del tecnico che dovrebbe darti i numeri per uscire dalla palestra più in fretta possibile e confermi il ruolo di istruttore di palestra a soggetto che “fa funzionare la macchine” più che investirlo della responsabilità di soggetto che studia l’allievo e scopre le strategie per metterlo in grado di muoversi meglio possibile. Infine con la splendida idea dell’integratore alimentare confermi la mercificazione del tutto dando ossigeno pure al business delle case farmaceutiche che, come negli anni ’60 ci sparavano vitamine a tutto spiano per farci tenere i ritmi del boom economico, adesso ci propinano gli aminoacidi perché purtroppo per loro, dopo mezzo secolo, si è diffusa l’opinione che riempirsi inutilmente di vitamine è solo un’idea idiota per affaticare i reni (strano che per traslazione non ci si renda conto che anche abusare di aminoacidi di sintesi non sia un’altra idea altrettanto idiota).
Siamo nella società dell’iperproduzione e c’è da lavorare tantissimo per riconvertirla. Non manca lavoro perché è tutto da rifondare. Sembra un paradosso ma c’è da lavorare tanto per produrre di meno. Dove produrre di meno non è solo una conseguenza di nuove necessità ma addirittura un obiettivo se non vogliamo affossare del tutto il pianeta in pochi decenni.
Mi fanno ridere quelli che sostengono chi il corona virus è stato un prodotto della Cina per far girare le cose a suo vantaggio. Ma se la Cina è l’industria del mondo! Ormai la Cina produce la maggior parte delle cose (molte delle quali anche inutili…) che alimentano i mercati mondiali, che interesse può avere a diffondere una pandemia che ha chiaramente fatto capire che siamo sulla strada sbagliata? Può darsi che ce la facciamo a sconfiggere questo mostro che per certi versi pare anche più tonto di quello che si poteva pensare, se lo isoli muore da solo, ma c’è un altro mostro che sarà ancora più difficile da contrastare ed è quello dell’iperproduzione che ci sta portando verso sistemi sempre più ingestibili.
Il corona virus ha dimostrato che ci sono problemi seri sui quali lavorare, farsi prendere dalla pigrizia e voler ricostruire tutto come prima per fare più in fretta possibile sarebbe un errore imperdonabile.