Il tormentone è sempre quello: bisogna capire se l’importante è praticare sport oppure vincere. Se l’importante è vincere allora il risultato possibile è uno solo, la vittoria, il trionfo. Però visto che siamo in periodo olimpico, sarebbe opportuno dire che l’importante è partecipare e non vincere e da un punto di vista razionale e pure scientifico è proprio vero che è così perché se vogliamo migliorare il livello medio di salute della popolazione è importante che più gente possibile faccia sport e pure come si deve, non tanto per fare o per far finta di fare sport. Quanto alle vittorie faranno bene agli sponsor ed alle tasche di chi le consegue ma non sono necessarie né per far andare avanti lo sport né per migliorare il livello medio di salute dei praticanti e nemmeno per aumentare l’entusiasmo verso la pratica sportiva ed il perché di ciò non è nemmeno molto difficile da spiegare.
Curiosamente le Olimpiadi, quella manifestazione sportiva sulla quale aleggia il famoso “L’importante è partecipare” decubertiniano è anche quella manifestazione dove qualche presunto favorito si dispera di più se non riesce a giungere al successo. Si accetta di perdere un campionato regionale, un campionato nazionale o un titolo continentale, addirittura un titolo mondiale, non si accetta di perdere un titolo olimpico adducendo la più cretina delle motivazioni. “Adesso mi occorrerà attendere altri 4 anni…” come se tutto ciò che avviene nei quattro anni fra un’ Olimpiade e l’altra non contasse nulla. L’Olimpiade è certamente una manifestazione sportiva importantissima, in molti sport decisamente la più importante anche se non in tutti, ma non è certamente l’unica manifestazione nella quale si può praticare sport a livello agonistico e nella quale vincere può essere particolarmente gratificante.
L’importante è partecipare in tutto lo sport e non solo alle Olimpiadi e, per assurdo, se uno sportivo partecipasse solo alle Olimpiadi senza praticare sport negli anni non olimpici non farebbe nemmeno un buon servizio al suo fisico. Al contrario, per rendere gradevole l’attività sportiva in modo continuo e non solo nell’annata delle Olimpiadi bisogna mettersi degli obiettivi razionali anche negli altri anni per non rendere troppo pesante l’obiettivo olimpico che può comunque sfuggire anche al più preparato e talentuoso degli atleti.
E qui bisogna fare una distinzione fra necessità degli sponsor e necessità dell’individuo che sono quasi sempre divergenti. Per lo sponsor l’importante non è che lo sportivo si diverta e stia bene ma è importante che vinca. Allora è importante che vinca molto anche in annata non olimpica e da questo punto di vista contribuisce a tenere in piedi lo sport anche al di fuori delle Olimpiadi. Per lo sportivo è importante vincere e divertirsi anche al di fuori dalle Olimpiadi non per far piacere allo sponsor ma proprio per creare occasioni di partecipazione, oltre al mitico evento olimpico.
Atterro sulla solita scuola che riguarda ovviamente i giovani ma il concetto va esteso ai praticanti dello sport di tutte le età. Non è che lo sport vada praticato solo se porta a certe prestazioni altrimenti rischia di portare via tempo prezioso alla scuola, che poi in tempi successivi sarà riconvertito nel “portar via troppo tempo al lavoro”. E non è che, tornando alle Olimpiadi, un atleta possa essere considerato tale solo se ha qualche possibilità di partecipare alle Olimpiadi.
Allora entra in campo l’aspettativa di risultato che è fondamentale, più del risultato stesso, per motivare alla pratica agonistica.
E’ importante che l’aspettativa di risultato non sia troppo elevata altrimenti rischia di gustare l’entusiasmo verso lo sport. Quell’atleta che pratica sport come si deve solo fintanto che culla l’illusione di poter trasformare la sua pratica sportiva in una professione parte decisamente con il piede sbagliato.
Questa cosa avviene soprattutto nel periodo della scuola quando per il giovane atleta è effettivamente ancora tutto possibile ed è una cosa potenzialmente stressante anche perché il giovane invece di trovarsi a vivere due esperienze di crescita, la scuola e lo sport, si trova a vivere due esperienze di stress dove il rendimento è la cosa più importante, nella scuola e pure nello sport. Errato l’atteggiamento di quello studente che a scuola è una specie di professionista della scuola e al campo sportivo un vero dilettante. Errato l’atteggiamento di quello studente che subisce la scuola in modo passivo e poi scarica tutto l’entusiasmo in modo passionale e quasi patologico nello sport, ancora più errato l’atteggiamento di quel giovane che in modo affannoso tenta di ottenere il massimo rendimento in entrambi gli ambiti in modo eroico creando le premesse per una vita al limite dello stress.
La scuola deve insegnare e lasciare spazio allo sport e, cosa molto importante ma che nella scuola italiana non avviene quasi mai, deve far capire che al giovane è consentito praticare sport con continuità e buon impiego di tempo anche se i risultati agonistici non sono per nulla esaltanti.
Qui c’è un vero cane che si morde la coda che purtroppo la scuola italiana non è in grado di fermare. Il ragazzo si rende conto che una pratica agonistica affrontata con vero impegno e non in modo superficiale porta via molto tempo. Visto che porta via molto tempo il ragazzo si crea elevate aspettative di risultato per andare a giustificare questo grande impiego di tempo quando non dovrebbe giustificare proprio nulla perché per ogni ragazzo dovrebbe essere un diritto praticare sport come si deve e non solo i più performanti.
La grande aspettativa di risultato va ad inficiare la capacità divertirsi perché se, come spesso accade, la portata del risultato effettivamente ottenuto è inferiore a quella del risultato auspicato si crea una situazione ansiogena e potenzialmente stressante nei confronti dell’attività sportiva.
Questa cosa accade facilmente perché è già proprio dall’ambiente scolastico che si parte con alte ambizioni di rendimento senza ammettere che quanto appreso a scuola in circa trenta ore di frequentazione settimanale, se fatto in modo sincero e non imparando le cose a memoria per superare le varie verifiche, dovrebbe essere più che sufficiente per formare in modo ottimale lo studente. A questo punto si potrebbe tranquillamente rompere quella conflittualità che spesso esiste fra attività scolastica ed attività sportiva e, con lo stesso spirito si potrebbe andare ad informare un’attività sportiva che non sia quella dove l’importante è prendere la medaglia alle Olimpiadi ma quella dove è importante praticare sport con impegno anche a 20-25 anni e non solo fino a sedici quando sono ancora possibili i sogni di gloria.
In breve i sogni di gloria che sono tanto belli e raccomandabili per ogni adolescente non devono essere l’unica molla per lo sport agonistico altrimenti quando finiscono (e purtroppo possono finire anche piuttosto presto) rischiano di creare lo sportivo di vent’anni che fa lo sport con lo spirito di un quarantenne con la panza.
Ad ogni frutto la sua stagione, un giovane di 20-25 anni la pratica sportiva la deve fare con entusiasmo anche se non va alle Olimpiadi non con le aspettative di risultato di un grande campione ma nemmeno con quelle di un quarantenne con la panza altrimenti vuol dire che c’è stato un pericoloso e precoce salto nel buio. Salto nel buio che non è specialità olimpica e questo a scuola lo devono insegnare come il fatto che attendersi risultati troppo elevati non fa bene da nessuna parte e non è per niente divertente.