Mi è stato detto che l’ultimo articolo invece che scomodare l’etica potevo semplicemente titolarlo “Ricchi e poveri” ed è la solita manfrina sui ricchi che comandano in quanto ricchi e condizionano inesorabilmente anche l’esistenza dei poveri. Con riferimento allo sport io non la vedo semplicemente così e comunque intitolando “Ricchi e poveri” mi espongo al sospetto che voglia mettermi a trattare anche di musica visto che questo è il nome di un noto gruppo musicale italiano che ha esportato la musica italiana all’estero. Niente di tutto ciò, non mi occupo assolutamente di musica, tento solo di vedere perché, con riferimento allo sport, a mio parere la questione è un po’ più complessa che non una semplice disputa fra ricchi e poveri.
Intanto le analogie: è vero che i ricchi nello sport sono molto meno dei poveri e che comandano più dei poveri. E’ vero che muovono flussi finanziari macroscopici soprattutto con riferimento al fatto che non sono poi in tanti. Pochi che muovono grosse cifre. Dall’altro lato tanti che devono fare i conti con risorse che riferite ad una popolazione decisamente vasta sono cronicamente deficitarie. Se fosse solo per questo si potrebbe tranquillamente dire che lo sport ripresenta le stesse dinamiche della vita di tutti i giorni. Ma ci sono dei fatti che mi illudono sull’ipotesi che lo sport possa dare una possibilità in più ai nullatenenti, ai diseredati.
Partiamo dall’aspetto della salute che è il più importante per la qualità della vita. L’atleta che corre i 100 metri in 10″ netti è molto più ricco di quello che corre in 10″4 ma non è detto che sia più sano, anzi la maggior parte delle volte ha dei problemi di tipo medico che quello che corre in 10″4 non ha nemmeno, certamente ha bisogno di un tipo di assistenza medica molto più accurata di quello che corre in 10″4. Questo fa dire agli esperti che già una certa ingiustizia nasce lì. L’atleta che corre in 10″0 può rendere al massimo anche in virtù di un’assistenza medica molto costosa che non può essere garantita anche a quello che fa 10″4 o 10″6 (a seconda dello stato di salute delle casse di una certa federazione sportiva). Io sposto il mio punto di osservazione su un livello molto più terra terra. La grande differenza di salute è quella che intercorre fra l’atleta (chiamiamolo “atleta” e se fa sport mi pare giusto chiamarlo atleta anche se è scarso e poco performante) che corre in 15″ e quello che corre in 18″ o 20″ i 100 metri. Chi comincia a fare sport si mette quasi subito su un livello di salute che è in modo apprezzabile più sù di quello di chi non fa sport ed è un sedentario cronico. 15″ o 20″ sui 100 metri sono la stessa identica cosa dal punto di vista dell’economia del risultato ma non dal punto di vista della salute. Se corri i 100 metri in 15″ vuol dire che un minimo di salute ce l’hai. Se li corri in 20″ è possibile che tu sia almeno un po’ sano ma potresti pure esserlo anche meno del solito soprattutto se fino a qualche anno prima eri in grado di correre la stessa distanza in 15″ o anche meglio.
Quando parliamo di salute questi non sono cavilli e se la differenza fra correre in 15″ e 20″ può distinguere il soggetto artrosico da quello non artrosico è certamente una differenza importante. Poi scopriremo che l’artrosi ce l’ha anche chi corre in 15″ ma la sta senz’altro affrontando con più determinazione di chi in pochi anni ha lasciato andare a remengo le proprie capacità prestative.
Queste sono tutte cose scontate, il mio ragionamento un po’ complesso è un altro. Io sostengo che nello sport dei poveri la grande differenza può essere fatta da un certo tipo di atteggiamento piuttosto che un altro. Si tratta di smontare una cultura dell’idolatria di tipo arcaico che ancora oggi aleggia un po’ troppo sulle gesta degli atleti di vertice. Si definiscono leggendarie le gesta degli atleti di vertice quando molte volte quelle leggendarie sono proprio quelle di atleti non di vertice.
Se comprendiamo che fra 10″0 e 10″4 a volte la differenza può essere un tipo di assistenza medica anziché un’ altra comprendiamo che di leggenda dietro a queste cose ce n’è piuttosto poca. O meglio chi corre in 10″4 senza assistenza medica è almeno tanto leggendario quanto chi corre in 10″0 grazie ad uno staff medico concentrato su questa prestazione.
Il nesso fra questo livello di comprensione e l’attività di chi corre le stesse distanze in cinque o dieci secondi di più non è fantasia. Lo spettatore estasiato molte volte è talmente estasiato che si dimentica di verificare le sue capacità prestative, la sua capacità di correre la stessa distanza del campione in un tempo piuttosto che un altro diventa un argomento di serie “b” che non merita assolutamente di essere trattato come gesto sportivo.
Abbiamo bisogno di telespettatori disincantati perché questi sono potenziali sportivi veri che hanno capito che il loro 15″ sui 100 per certi versi è più importante del record del mondo e la nazione va avanti più grazie a quel modesto risultato che grazie al nuovo fantastico record del mondo. Il record del mondo sostiene l’economia dello sport, il 15″ sui 100 è un indice di salute del cittadino comune.
Non è un discorso nuovo questo nel mio intendere lo sport e quando scrivevo che il livello di evoluzione sportiva di un determinato paese lo misuri più in base al numero di atleti che corrono i 100 metri in 11″ o che saltano in alto più di due metri o che gettano il peso a 15 metri piuttosto che in base al numero di medaglie vinte alle Olimpiadi in queste discipline intendevo dire proprio quello. Esteso, il concetto va proprio ad includere che è importante che un individuo sano di mezza età riesca a correre anche i 100 in 15″. Poi se salta in alto un metro e 30 centimetri o un metro e dieci perché la sua tecnica di salto è disastrosa quello è un discorso abbastanza ininfluente ma insomma il concetto è che il telespettatore prima di essere telespettatore deve essere sempre uno sportivo.
E così non mi interessa sapere che diecimila italiani nell’ultimo anno hanno corso la maratona in meno di quattro ore (non so quanti siano: se sono di meno non è un disastro se sono di più vuol dire che i tour operators si sanno muovere sempre meglio…) ma mi interessa sapere che la maggior parte degli italiani sani sono in grado di camminare cinque chilometri al giorno senza schiattare e pertanto si possono fare anche dei buoni tratti a piedi senza necessariamente usare l’auto.
Esiste un’ etica dello sport e se per qualcuno può essere quella dell’atleta di alto livello che ha un suo codice deontologico come altri professionisti, per altri è quella dello sportivo che decide di fare sport anche se per gli sponsor serve solo come telespettatore. Lo sponsor non viene a casa nostra a controllare se la tv è spenta o meno. E’ pure possibile che se la tv è spenta dopo un po’ le scarpe costino di più ma se sarà così vuol dire che tenteremo di far durare di più le scarpe oppure di fare migliori indagini di mercato ogni volta che ci avviciniamo al grande investimento (il business delle calzature sportive muove cifre da capogiro). Io, tutto sommato, vedo ancora una discreta libertà nella possibilità di fare sport anche da diseredati, poi è evidente che l’assetto sociale condiziona tutto e se uno deve lavorare quattordici ore al giorno per mantenere la famiglia e abita in una periferia abbandonata da Dio e dagli uomini magari pensa che lo sport sia solo quello che si guarda per televisione quando si è stanchi e massacrati.