Porto un atleta che alleno io ad una gara. Siamo baciati dalla fortuna perché, nonostante un rumore decisamente sinistro proveniente dalla mia vettura quasi nuova (è del 1997…) che si fa sentire a oltre 20 km dalla destinazione, arriviamo perfettamente puntuali e senza farla a piedi anche se preannunciati acusticamente dalla mia allegra vettura.
Nelle fasi di riscaldamento del mio atleta, che farà i 1500, studio un po’ dove mettermi per chiamare i tempi di passaggio (che mi sono stati chiesti dall’atleta ma quella volta che lui non li vuole io me ne sto pure buono buono in tribuna). Vedo gli altri allenatori con gli altri atleti, ma soprattutto li sento. La maggior parte di loro sono miei colleghi o comunque allenatori con tanto di patentino federale, non sono soggetti che bazzicano sporadicamente le piste. Ebbene, le cose che sento mi fanno accapponare la pelle perché io ho la cattiva idea di mettermi nei panni dell’atleta invece che dell’allenatore. Ed allora mi immagino se fossi quell’atleta lì allenato da quell’allenatore e immagino che come atleta durerei il breve volgere di una stagione agonistica, forse meno.
In Italia non riesce a passare il salario minimo. Non riesce a passare perché non fa comodo ai ricchi e siccome noi abbiamo una classe politica che tutela i ricchi ma non i poveri (ma questo succede sempre, indipendentemente dal colore politico del governo) non possono farti passare il salario minimo e si arrampicano sugli specchi per dare motivazioni assurde sul perché di questo diniego. La realtà è che se metti il salario minimo bisogna cambiare economia ed i ricchi scappano all’estero.
Però è passata, di fatto, la norma sul rendimento minimo degli atleti. La parola più frequente che ho sentito in tutte le esortazioni di questi tecnici a pochi istanti dalla gara è stata: “Almeno…”. Dunque c’è un rendimento sotto al quale l’atleta per l’allenatore deve tornare a casa a piedi. Per il mio, io mi sono preoccupato subito di trovargli un passaggio perché era molto probabile che restasse a piedi con me visto lo stato della vettura all’andata.
Ad un atleta ho sentito dire: “Guarda che se dopo la gara mi dici che forse potevi spingere di più mi infurio come non ti puoi immaginare…”.
A quel punto io, che generalmente prima della gara non parlo mai con i miei atleti (salvo avvisare, appunto, che se non vuole restare a piedi deve trovare uno con la macchina a posto…), vado dal ragazzo che ha già risolto il problema più serio della serata e, molto tranquillo, gli dico: “Senti, io di solito non parlo mai prima delle gare ma questa volta non ce la faccio, ho sentito troppi commenti strani in giro. Ecco, sappi che qualsiasi gara del cavolo venga fuori ma anche proprio di merda, perché questo è il termine giusto, va bene lo stesso, vai tranquillo, nessun problema…”.
Ha fatto una bella gara, il suo record personale, se fosse stata la centesima volta che gareggiava sui 1500 come il sottoscritto alla sua età, l’avrebbe pure vinta, invece non è ancora arrivato a dieci gare su quella distanza e deve ancora imparare alcune cose, gli è sfuggito un’atleta per una piccola disattenzione.
E’ tornato a casa senza problemi. Io invece ho sofferto un po’ ma dopo quaranta chilometri di rumori sempre più strani la mia vettura quasi nuova ha deciso di smettere di far rumori strani, senza fermarsi, semplicemente accompagnandomi a casa come fa una qualsiasi vettura quasi nuova del 1997. Il meccanico non ha ancora capito cos’è stato ma mi ha invitato a non riprovare trasferte significative fin che non abbiamo risolto il problema.
Fintanto che la macchina non è a posto non posso sapere cos’altro succede ancora ai vari atleti se non hanno un accidenti di rendimento minimo in gara. Penso che ai miei continuerò a dire che non succede proprio nulla.