Regalo di Natale è un bellissimo film di Pupi Avati ma è anche quello che ha fatto in questi giorni il Tribunale Federale della Federazione di Atletica al marciatore Alex Schwazer che finora era stato preso in giro veramente da un po’ troppa gente. Non è che la sentenza sul giudice Maggio sistemi tutto ma almeno fa capire alcune cose e se i giornalisti avranno la buona volontà di metterla in evidenza la figura del marciatore altoatesino sputtanato in tutti i modi possibili e immaginabili (hanno pure detto che aveva messo in mezzo la ex-morosa per renderlo ancora più “mostro”) verrà un po’ riabilitata. Come minimo si riesce a capire che non è tutto trasparente e la mia cronica diffidenza verso i fasti e nefasti dell’antidoping potrebbe cominciare ad avere una chiave di interpretazione.
La grottesca squalifica di Schwazer è ancora in piedi perché l’antidoping non si tocca. Ciò che sentenzia l’antidoping è vangelo e anche se l’inefficienza dell’intero sistema dei controlli è di proverbiale fama nessuno prova a contestare l’assurdità di certe squalifiche. Al contrario si pensa che siano “esemplari” e possano servire a dimostrare che tutto fila alla perfezione e che nessuno la fa franca se “sgarra” in qualche modo. In effetti finora con l’antidoping non l’ha mai fatta franca nessuno: tutti gli atleti che hanno provato a parlare hanno sempre preso di quelle bastonate storiche che se qualcun altro vuol provare a parlare vuol dire che è davvero un kamikaze dello sport, uno che è disposto a suicidare la sua carriera sportiva pur di tentare di abbattere l’inviolabile muro di gomma.
Però questa sentenza sul giudice di marcia è per certi versi storica. Vuol dire che alla faccia dell’antidoping intoccabile si ammette che qualcuno se l’è presa un po’ troppo con un atleta che ha avuto il coraggio di contestare questo “sistema perfetto”. Insomma la teoria del complotto non è riconosciuta ma non viene nemmeno smentita. Diciamo pure che se qualcuno ha questa terribile fantasia di pensare che l’atleta sia stato letteralmente “smontato” può pure continuare a coltivare questa strana fantasia.
Io non mi impunto sulla vicenda Schwazer, per quanto mi riguarda potrebbe pure essere l’eccezione, l’atleta che con un’ingenuità pazzesca ha pure provato a ripercorrere la strada del doping una seconda volta dopo essere già stato massacrato dall’antidoping. La cosa mi pare decisamente inverosimile anche perché Schwazer non ha mai minimizzato il tutto ed ha invece fatto partire una vera e propria battaglia che aveva tentato di coinvolgere, senza successo, tutta l’atletica italiana. Nessuno gli ha dato una mano, anzi si sono coalizzati contro di lui come se fosse stato l’unico demone in un mondo di santi. E’ stato etichettato per vero rompiscatole, da alcuni definito addirittura vigliacco come se tentare di spiegare come funziona lo sport di alto livello fosse vigliaccheria. Io mi impunto sull’omertà cronica a livello giornalistico nelle questioni di doping, da Ben Johnson a Pantani, da Schwazer al caso Russia.
In effetti questo regalo di Natale a Schwazer è un po’ pochino. Non so, per esempio, che regalo si potrebbe fare agli atleti russi per risarcirli dell’ipocrisia scatenata su di loro prima delle ultime Olimpiadi. Purtroppo gli atleti non possono parlare e anche quelli pescati positivi si trovano costretti a sotterrare tutto per limitare i danni. Qualcuno ha sostenuto che in realtà i russi sono veramente colpevoli perché ne hanno fatte di cotte e di crude. Ma allora se andiamo a caccia dei “colpevoli” non ne veniamo più fuori perché qui sono tutti colpevoli, quelli che si dopano perché si dopano e quelli che non si dopano perché stanno zitti.
Un atleta può decidere se vincere una gara o perderla, sono affari suoi. Non va bene se questa decisione la prende per pressioni che gli vengono fatte dall’esterno e così la sanzione a quel giudice di marcia che ha tentato di alterare l’esito della gara è vera giustizia sportiva.
Un atleta può anche decidere se doparsi o meno, ne va della sua salute. Quello che non va è che esista un organismo che fa finta di controllare il problema, che non ce la fa e che si accanisce con chi rileva le falle di questo sistema. Quella non è giustizia sportiva, è prepotenza, di più, è maldestra alterazione dei risultati sportivi, sulla base di logiche imperscrutabili che con lo sport hanno poco a che fare. Il doping deve essere combattuto con l’informazione. L’informazione non può viaggiare serenamente fintanto che esiste un antidoping che vigila esclusivamente sull’integrità della sua immagine.