E daje con ‘sta filosofia… Non è filosofia, questo è un articolo che, se riesco a rendere leggibile ed a tramettere il concetto che voglio trasmettere, già da solo potrebbe giustificare l’esistenza di questo sito da incubo.
Bisogna partire da un presupposto: che esiste una realtà oggettiva ed una realtà soggettiva, se pensate il contrario vi risparmio l’articolo, ognuno resti della sua opinione e non litighiamo. Io sono fra quelli che sostengono che queste due realtà coesistono, non sono la stessa cosa e possono anche essere analizzate “una alla volta” anche se sono strettamente interconnesse. Mi sbilancio, in una eventuale disputa fra le due (perché anche qui ci sono i tifosi, chi tifa per l’una e chi tifa per l’altra) io sono un sostenitore della realtà “soggettiva” così mi conquisto pure l’etichetta di “farfallone” nel senso che i sostenitori della realtà oggettiva sarebbero (d’obbligo il condizionale) i “concreti” mentre quelli della realtà soggettiva sono gli svolazzatori.
Per me la realtà soggettiva nell’attività motoria è terribilmente concreta e pesa moltissimo sulla qualità della stessa.
Esiste indubbiamente una realtà oggettiva anche nell’attività motoria. Non c’è dubbio che se vuoi oggettivamente diminuire di “volume” corporeo è più facile che tu ci riesca mettendoti a camminare molto che non mettendoti a sollevare molti pesi. Questa è una realtà oggettiva, dovrebbe funzionare per tutti ed allora abbiamo le solite formulette magiche dove a chiunque, anche senza guardarlo in faccia, si dice “per diminuire di peso cammina, è inutile che vai in palestra a sollevare pesi…”. Ma queste sono quelle cose scontate che in linea teorica si possono anche contestare ma sulle quali non c’è tanto tempo da perdere. Se vuoi dimostrarmi che riesci a diminuire di peso anche sollevando pesi dimostramelo provandoci e dopo ne parliamo, se ci riesci avrai aperto un nuovo motivo di discussione.
Dove facciamo più caos è nell’ambito della realtà soggettiva, dove le emozioni sono fondamentali e dove tutto diventa terribilmente complesso e dove, agganciandoci all’esempio precedente, possiamo anche andare a capovolgere i presupposti della realtà oggettiva con percorsi strani. Esempio: “Lo so benissimo che per tirar giù peso bisogna andare a camminare ma io a camminare mi stresso talmente tanto che smetto subito, se vado in palestra pesi invece ci vado con un entusiasmo tale che trovo addirittura le strategie per riuscire a dimagrire utilizzando i pesi.”. E’ un po’ come andare da Verona a Roma passando da Berlino ma insomma se uno proprio deve andare a Roma e non ci riesce da altre strade… può pure passare da Berlino. Alla fine… tutte le strade portano a Roma.
Nell’attività fisica moderna si parla molto di più di realtà oggettiva che di realtà soggettiva e così, per esempio, esistono le schede di lavoro. La scheda di lavoro è il simbolo dell’oggettività dell’attività fisica e ne è, al tempo stesso, la negazione della soggettività. Con la scheda di lavoro l’allievo è un numero, non un soggetto. Dammi peso, altezza, età, altre indicazioni sulla tua massa muscolare, indicazioni comunque molto oggettive non me ne frega nulla che tu sia triste o allegro, calcolatore o sognatore, milanista o juventino (questo, a dire il vero potrebbe anche essere un dato oggettivo…). Sulla base di dati oggettivi viene stilata una scheda decisamente oggettiva. Statisticamente, da un punto di vista probabilistico, tale scheda dovrà produrre i tali adattamenti, dovrà dare i tali risultati. Della tua realtà soggettiva, non codificabile, non misurabile, non ce ne frega niente. E questo è un grosso limite perché vuol dire andare a proporre un’attività fisica asettica senza sorprese, nel bene e nel male.
Forse è sul concetto di “sorpresa” che dobbiamo schiarirci le idee. Se vogliamo un’attività fisica probabilmente senza sorprese dobbiamo dare molta attenzione agli aspetti oggettivi della preparazione. Al contrario se vogliamo un’attività fisica “con” sorprese allora dobbiamo dare la precedenza agli aspetti soggettivi dell’attività fisica.
E’ questione di gusti, chi non vuole sorprese, sta più terra terra, ragiona concretamente tipo “uno più uno fa due” e vuole una preparazione standardizzata, altamente prevedibile. In ogni caso c’è un aspetto soggettivo anche in tutto ciò, bisogna essere caratterialmente predisposti ad accettare un intervento di questo tipo.
Chi, al contrario, è più presuntuoso e sogna di avere un qualcosa di più, anche da un punto di vista emotivo, dall’attività motoria sarà più propenso a fuggire dalle standardizzazioni, dalle preparazioni elaborate al computer.
Temo che l’oggettività stia prevalendo sulla soggettività di questi tempi per il semplice motivo che diamo un’ importanza smisurata all’aspetto fisico. Tutto sommato la standardizzazione si applica meglio dell’improvvisazione dell’attività motoria quando ragioniamo in termini di rimodellamento delle proporzioni corporee. Fra uno che pratica attività motoria per dimagrire ed uno che la pratica per divertirsi c’è un abisso da un punto di vista psicologico. Il primo dice “Non mi interessa nulla cosa c’è da fare basta che faccia dimagrire…” Il secondo pensa all’attività che fa indipendentemente dal rapido dimagramento che può scatenare e considera invece altri aspetti del movimento. Curiosità: in genere sono più attenti alla loro salute proprio questo secondo tipo di personaggi che non i primi. C’è gente che pur di dimagrire è anche disposta a star male. C’è gente molto attenta alla propria salute e che utilizza l’attività fisica come strumento di salute ma che, nonostante ciò, non è sempre lì attenta a controllare costantemente il proprio peso corporeo.
Oggettivamente siamo più portati a vedere l’attività fisica come uno strumento per ottenere modificazioni visibili del proprio aspetto corporeo. Con quell’atteggiamento rischiamo di subire l’attività fisica e di farcela diventare una vera e propria palla. Soggettivamente possiamo scoprire l’attività motoria come un mondo inesplorato che può darci mille risposte e dove il fatto che l’attività fisica faccia dimagrire è una delle centomila cose che può fare l’attività fisica, certamente non l’unica e se anche ci dicessero che non fa dimagrire non la abbandoneremmo assolutamente perché è un mondo da scoprire al quale non si può assolutamente rinunciare.
Attività fisica fine a se stessa, come componente dell’esistenza, perché siamo fatti per muoverci non per dimagrire e nessun dimagramento si deve permettere il lusso di farci perdere l’entusiasmo per l’attività motoria. Oggettivamente un panino ha un tot. di calorie, non ci sono discorsi, il numero è quello, è un dato oggettivo, se lo valutiamo solo per quello rischiamo di toglierci il gusto per il cibo. Oggettivamente una certa attività fisica ha un certo dispendio energetico, questo può essere influenzato, in modo marginale, da fattori emotivi (si è visto che il maratoneta che pensa troppo e molto teso spende certamente di più di quello più spensierato e rilassato che pensa di meno…) ma a grandi linee il costo energetico è quello. Se andiamo a valutare l’attività fisica solo per il costo calorico rischiamo di rovinarci la passione per il movimento.
Se andiamo a guardare il costo calorico è meglio andare a camminare belli nervosi e pensando a tutti i fatti spiacevoli e stressanti della giornata, si spende certamente qualcosa di più. Ma secondo voi è il miglior spirito per andare a fare una camminata? E’ quella la camminata che fa meglio alla vostra salute? Anche se alla fine vi ha fatto spendere 50 calorie in più perché lo stress brucia calorie?
Esiste indubbiamente una realtà soggettiva dell’attività motoria che è molto difficile da descrivere e che non può essere ignorata, questa condiziona il nostro approccio con l’attività motoria in modo determinante anche se è difficile misurare la qualità delle “variazioni” che porterà al nostro nostro modo di relazionarci con l’universo. Scientificamente non è documentabile, non è codificabile. E’ pure difficile da narrare. Ed è proprio con un tentativo di narrazione che provo disperatamente, in chiusura di questo articolo, a sostenere la causa di chi crede fortemente nella soggettività dell’attività motoria.
Ricordo un gruppo di ginnastica per la terza età di una ventina di anni fa. Non vorrei dire “irripetibile” per non sembrare pessimista ma per la creazione di certe dinamiche mi tocca dire probabilmente irripetibile. Non sono pessimista nel senso che i vari gruppi creano sempre dinamiche nuove e sorprendenti e sono convinto che qualche gruppo saprà sorprendermi anche in modo più gradevole, ma certamente “diverso” e non sovrapponibile a quello che vado a descrivere. Stiamo praticamente trattando di arte. Potrà anche arrivare l’opera d’arte più significativa ma non sarà quella lì, sarà un’altra.
Ebbene vengo al dunque. Si stavano facendo degli esercizi normalissimi, che non si venga fuori a dire che sono stato io a scatenare quella situazione. Esercizi normalissimi nel contesto di una lezione normalissima. Gruppo affiatato, indubbiamente. Parte una battutina di quelle stupide che però ci vogliono per ridere un po’ (un po’…). Non mia perchè gli utenti sono tutti in piedi che stanno svolgendo esercizi camminando, se io ho qualcosa da dire, anche una battuta, per carità, è più facile che la dica mentre stiamo facendo gli esercizi a terra, con meno movimento, più raccolti, meno dispersi per la palestra. La battuta è di quelle devastanti ma non per la battuta (non mi ricordo nemmeno più che battuta fosse) quanto per la situazione che va a creare. E’ come un morbo paralizzante ed in quella classe, molto abituata a ridere e, dunque certamente non in una situazione nuova e sorprendente, si nota che questa battuta è particolarmente insidiosa. In breve chi la ascolta è letteralmente costretto a fermarsi, a piegarsi in due e a cominciare a ridere senza riuscire più a ripartire ed a svolgere l’esercizio proposto. Mi rendo conto della situazione e vedo che è come un virus rapidissimo che si sta diffondendo in tutta la palestra ampia con gli utenti che non sono ammassati ma ben sparpagliati in tutte le direzioni. Il mio ruolo è passivo, forse non del tutto nel senso che insisto con la mia faccia di bronzo. Io faccio sempre il serio del gruppo, lo faccio per ruolo istituzionale e forse è per quello che a volte faccio anche più ridere degli altri. E’ chiaro che la maggior parte degli allievi non è più in grado di svolgere quell’esercizio, ferma sul posto, piegata in due a ridere a crepapelle. La battuta arriva agli ultimi, quelli più impegnati a svolgere l’esercizio e li stronca fulmineamente. In un istante magico la palestra è completamente bloccata con tutti gli allievi in cerchio orientati verso il senso di esecuzione dell’esercizio originario che stanno ridendo piegati in due. Uno dei primi che ha cominciato a ridere trova la forza di rialzarsi un attimo (mentre io sto continuando imperterrito a dimostrare l’esercizio facendo finta di niente ma… non ho cambiato esercizio fin tanto che il virus non è arrivato fino all’ultimo degli utenti) e chiede qual’è l’esercizio che stiamo facendo. Invece di ridimostrare l’esercizio io sentenzio con finta severità (quasi accentuata e plateale…) che si possono fare gli esercizi anche ridendo quando è palese che questi non ce la fanno perchè non riescono più nemmeno a camminare. Invito la classe a riprendere “almeno” a camminare e questi pian piano riprendono. Commento scontato del leader del gruppo: “Insomma la ginnastica… se non esistesse bisognerebbe inventarla!”. Non mi ricordo più che esercizio era quello. Credete che sia stato utile quell’esercizio per le braccia o per le gambe o per la coordinazione e perché cos’era non lo ricordo assolutamente? Se ho avuto un merito io è stato quello di riuscire a stare serio mentre gli altri avevano cominciato a ridere in modo incontrollabile ed ho svolto la mia parte di comparsa di insegnante imperturbabile in quella che era la “loro” scena che io non dovevo assolutamente rovinare. Questo atteggiamento ha aumentato la situazione comica e se come insegnante qualcuno mi fa il complimento di aver intuito che star fuori dalla scena era il modo miglior per alimentarla, accetto volentieri questo complimento.
Da un punto di vista oggettivo non so che capacità stimolasse e potesse sviluppare quell’esercizio. Penso quasi di sicuro la muscolatura dell’addome poi forse l’elasticità. Ma anche qui una elasticità poco oggettiva, difficile da codificare.