Stavo leggendo una disputa fra “qualitativisti” e “quantitavisti” su un articolo di atletica con riferimento agli 800 metri ed ho pensato che avevano ragione entrambi. Vorrei spiegare perchè per conto mio hanno ragione entrambi. Gli 800 metri sono una gara molto strana che vede emergere anche tipi fisici molti diversi fra loro. Si va dal “sacramento” che è alto anche un metro e 90 pesa più di 80 chilogrammi al mingherlino alto 1.70 o poco più e che pesa poco più di 50 chilogrammi e che pare scappato dalla corsa di maratona a lui più congeniale dopo una sommaria valutazione morfologica.
Un balzo subito sulla preparazione per dire che io non mi stupirei di sentire due tecnici che trattano l’argomento uno dei quali dice all’altro che il suo atleta ha tratto particolare beneficio dalla pratica della pallavolo mentre l’altro risponde che il suo si è trovato bene a giocare a scacchi. Volete due giustificazioni di tali osservazioni al limite dell’impossibile? Pronti. La pallavolo stimola in modo giocoso la reattività e ditemi se nella gara degli 800 metri la reattività non è importante… E con gli scacchi come la mettiamo? Ci arrivo pure lì. Certi atleti esagerano veramente tanto con i volumi di allenamento e tale atteggiamento nella preparazione di una gara veloce come quella degli 800 metri può portare a perdere brillantezza. OK, ma allora perché gli scacchi e non per esempio il cinema dove sei altrettanto seduto e riesci comunque a recuperare in modo idoneo grandi volumi di carico? Perché negli scacchi è necessaria una grande capacità di capire le mosse dell’avversario e, guarda a caso, tale capacità è molto utile anche all’ottocentista che, al paradosso, dovrebbe aver ben chiaro il progetto tattico di tutti i suoi rivali perché basta che anche il più scarso di questi abbia qualche strana idea e lo sviluppo della gara cambia completamente.
Torno su cose più terra terra per far capire la differenza possibile fra un ottocentista e l’altro. Trattando di quelli di alto livello (e se il livello scende le differenze saranno ancora più marcate) può esistere quello che pur essendo un atleta di spicco non riesce a correre i 100 metri in meno di 11″3 e poi ci sarà quello che pur avendo ottimi mezzi non ha ancora vinto niente di importante nella sua vita ed i 100 riesce a correrli pure in 10″6. Indubbiamente una grande differenza che diventa ancora più macroscopica se andiamo ad analizzare il comportamento di tali specialisti sulla distanza dei 10.000 metri. Ci sono specialisti degli 800 che sanno correre i 10.000 metri anche significativamente sotto i 30′ ed altri che fanno fatica a finire la distanza, e se ci riescono, non corrono in meno di 35′ producendo per poco più di mezz’ora quei 3’30” per chilometro che un buon maratoneta tiene per ore rischiando di addormentarsi quando corre a quel ritmo.
Allora questo può spiegare perché la preparazione per la gara degli 800 metri può essere affrontata in modo molto diverso a seconda dell’atleta che si ha di fronte. Non solo ma può anche accadere che un certo atleta con caratteristiche particolari giunga allo stesso risultato sia utilizzando un tipo di preparazione che utilizzando un metodo di allenamento diametralmente opposto.
Per mia convinzione personale, ma è una convinzione e basta che non ha nessun fondamento scientifico, ritengo che i soggetti particolarmente veloci devano insistere particolarmente sulla “qualità” della preparazione tentando di evitare grandi volumi di carico, al contrario penso che i soggetti molto resistenti devano fare attenzione a qualità di allenamento troppo elevate e possano invece permettersi il lusso di indugiare su volumi di carico tipici dei corridori di distanze più lunghe.
Insomma io sarei un sostenitore della teoria per la quale è opportuno concentrarsi sulle doti che già ci sono per ottimizzarle al meglio per poi provare, con prudenza, a porre rimedio anche alle lacune senza aver la presunzione di strafare e di stravolgere tutto.
C’è chi sostiene che sia fondamentale porre rimedio alle lacune per non creare squilibri di alcun tipo ed è possibile che abbia proprio ragione. Non abbiamo sufficienti dati statistici (gli atleti veramente di alto livello sono abbastanza pochi) per poter dire chi ha ragione e pertanto il dibattito è aperto ed ogni teoria sostenibile.
Un’ altra mia teoria e forse questa, lavorando, un minimo di supporto statistico lo trova, dice che l’atleta più scaltro nella fase finale di gara non è il più veloce, quello capace di correre i 100 in 10″6 o anche i 400 in 45″ netti bensì quello più resistente che magari non ha un personale sui 100 inferiore agli 11″ e non ha mai nemmeno corso i 400 in meno di 47″. Come sia possibile questa cosa è facile dirlo. Molte volte i 200 metri finali di un 800 metri di altissimo livello vengono corsi in più di 26″ e talvolta pure in più di 27″. Per correre in quei tempi non è assolutamente necessario essere veloci ma è necessario essere resistenti perché se la muscolatura è già terribilmente acidificata anche un modesto 27″ sugli ultimi 200 può diventare una velocità impossibile. Al contrario il passaggio veloce ai 400 metri, tipo 49″ o giù di lì, è una cosa che è più nelle corde dell’ottocentista di tipo veloce ed il perché è presto detto. Per un atleta in grado di correre i 400 metri in 45″ correre i 400 in 49″ oppure correrli in 51″ non è questa differenza abissale, è comunque una certa fatica che si sa per certo che aumenterà in modo esponenziale nel secondo giro, qualsiasi sia la condotta di gara. Per un atleta con un record personale di 47″ netti sui 400 passare al primo giro in 49″ oppure in 51″ cambia decisamente tutto perché se 51″ è un passaggio veloce è comunque un ritmo che l’ottocentista con 47″ di base riesce a sostenere mentre il passaggio in 49″ diventa una tortura che crea subito grandi problemi e che può vedere tale ottocentista protagonista solo se nel finale di gara si verificano crolli notevoli.
Estendendo il concetto il passaggio cosiddetto “tattico” da 54″ può favorire di più il resistente del veloce perchè se è vero che gli ultimi 300 di quella gara saranno corsi molto forte (ma in genere mai in meno di 38″-37″5) è anche vero che l’atleta che sa risparmiare davvero tanto mentre viaggia a 54″ sui 400 non è il veloce ma il resistente che ha una capacità di adattare le tensioni di corsa al ritmo della stessa superiori all’atleta molto veloce. L’atleta molto veloce capace di sopportare qualsiasi avvio non ha nelle sue corde un’ economia di corsa tale da portarlo al suono della campana dopo un giro da 54″ praticamente gratis. Con un paragone un po’ strano l’atleta molto veloce è un po’ come una formula uno che appena accende il motore consuma già un patrimonio mentre il resistente è un po’ come un’ utilitaria e quando va piano non consuma proprio un cavolo.
Questi discorsi sono tutti discorsi teorici perché poi accadono anche cose molto più complesse laddove in presenza di una gara tattica un atleta, veloce o resistente che sia, si “gasa” perché sa che in quel compito si sa districare bene mentre un altro atleta, a prescindere dal fatto che sia molto resistente o meno, quando la gara è un po’ caotica e piena di movimenti va nel panico perché non si sente scaltro in quella situazione.
La generalizzazione è uno schema mentale che usiamo per spiegarci e per illuderci di avere più possibilità di centrare la giusta preparazione e la giusta gara. Poi la gara degli 800 metri è la gara imprevedibile per eccellenza dove è imprevedibile il risultato finale e anche lo stato di forma di un certo atleta in seguito ad una determinata preparazione. In un rettilineo finale con otto atleti vicini che si giocano la volata io punto sul più resistente più che sul più veloce… ma è un po’ come giocare ai cavalli.