Motivatori o “correttori” è questo essenzialmente che dobbiamo chiederci come categoria di insegnanti, cosa vogliamo fare. Se vogliamo fare gli insegnanti di tipo classico che salgono in cattedra e dettano legge per dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, per dare i voti, per emettere sentenze, allora abbiamo poche possibilità di movimento, finiremo per essere dei “correttori” e ci adegueremo al solito tran tran dell’ipocrisia dove l’insegnante è il classico personaggio ignorante, spesso più ignorante dell’allievo, che finisce per stabilire chi è bravo, chi non è bravo e tarpare le ali a possibili esperienze di apprendimento.
Oppure c’è l’alternativa della proposta, ma allora non possiamo salire in cattedra perché qualsiasi cosa che proponiamo può essere sbagliata, commetteremo un infinità di errori che vengono scoperti (per fortuna) dall’allievo senza problemi e dovremo rinunciare inesorabilmente all’etichetta di depositari della scienza.
Non c’è dubbio sul fatto che sia più facile fare gli insegnanti di tipo classico, nessuno che ti contesta, nessuno che ti da del sovversivo, se sei di manica larga con i voti, passi pure per un insegnante “buono e comprensivo” quando sei semplicemente un insegnante che ha deciso di risolvere il problema dei voti che tarpano le ali alla scuola ignorandoli, con un atteggiamento, scusatemi la critica, un po’ ignavo, perché, la scuola ha bisogno di insegnanti che combattono i voti più che insegnanti che li ignorano. Fin che esistono molti insegnanti che ignorano i voti esisterà un esercito di insegnanti ben più numeroso ed agguerrito di quello degli splendidi “ignoranti” che farà del voto un’arma di distruzione di massa. Un esercito che continua ad insegnare a colpi di “giusto e sbagliato” a colpi di “bravo che hai studiato” e “somaro che non hai studiato”, a colpi di test a crocetta e di “se c’è scritto sul libro vuol dire che è così…” per arrivare al fantastico “studiate da pagina 124 a pagina 216” che è quanto di più aberrante possa avvenire nella scuola italiana ma vi garantisco che dopo oltre un quinto di secolo del ventesimo secolo è ancora così.
Come insegnanti di educazione fisica siamo forse gli unici che possono tentare di portare qualcosa di nuovo senza essere contestati troppo, siamo gli unici che possono ipotizzare di criticare il libro di testo portando in campo argomentazioni che vengono fuori proprio dall’esperienza di campo e mettono a nudo, con drammatica evidenza, quanto a volte la scienza ufficialmente riconosciuta (quella dei libri di testo e delle pubblicazioni appunto) sia fallace in modo imbarazzante alla faccia della sacralità della dottrina scritta.
Siamo gli unici che con un paio di ore di insegnamento alla settimana possiamo far capire agli allievi che, se vogliono vivere bene, su questa materia in forma di sport e/o attività fisica in generale forse è meglio che stiano 4-6-8 ore la settimana o anche 15 se entra in campo uno sport fatto come Dio comanda e siamo pertanto gli unici che possono scardinare alla base questo impianto di scuola arcaica fatta di troppe ore sul banco e sui libri e troppo poche di esperienza pratica e di apprendimento autentico senza falsi condizionamenti per ambire ad una patente che di fatto, senza capacità concrete, non serve più a nulla.
Il “non fare così…” oppure “Fa così che è giusto…” (ancora più insidioso) può essere sostituito con un molto più edificante “Prova a fare così, vediamo cosa succede…” ed è su quel dubbio che possiamo costruire un qualcosa di molto utile che ha in sé il seme per poter scardinare questo tipo di scuola che sopravvive perennemente a sé stessa.
La scuola “circolare” dove ogni soggetto entra in collaborazione con gli altri, insegnanti stessi che, pur con un esperienza maggiore, sono comunque in una condizione di necessaria sperimentazione ed apprendimento se vogliono evolversi e non stare fermi al palo all’epoca del loro diploma. A tale tipo di scuola si contrappone la scuola di tipo frontale, intramontabile ed immutabile che è quella della sacralità dei programmi ministeriali e dove grazie al perverso strumento del voto non si impara mai nulla perché si ha la benedizione eterna per entrare nel mondo del lavoro così com’è senza tentare di modificarlo minimamente visto che la promozione nella nostra scuola é fondamentalmente una patente di obbedienza al sistema del tipo “Non va bene così ma mi adeguo perché non vedo strane alternative e non sono certamente io che devo farmi carico di rinnovare la scuola…”.
Nella nostra scuola manca la sperimentazione che è quanto continua a fare sistematicamente praticamente in tutti gli allenamenti, l’atleta di buon livello che non si accontenta di fare ciò che fanno gli altri. Solo grazie alla sperimentazione si può pensare di crescere in modo accettabile e mettere a punto sistemi di allenamento che ti diano un qualcosa in più. E’ chiaro che sperimentare è rischioso, può portare a perdere molto tempo, può portare ad insuccessi significativi e non è certamente la via più, breve. Molto meglio affidarsi a protocolli medici standardizzati che in base ad un’attenta valutazione dei parametri bioumorali ti dicono come supportare farmacologicamente una preparazione che senza chimica rischia di essere addirittura pericolosa se non costantemente valutata e rivalutata nei suoi adattamenti.
Bisogna restituire entusiasmo a questa scuola e darle speranza. E’ a scuola che c’è il tempo per studiare davvero e per immaginare come cambiare il mondo, una volta entrati nel mondo del lavoro diventa poi impossibile lavorare per innovare perché il mito della produzione soffoca tutto.
Così come l’atleta che può inventare nuovi sistemi di allenamento può solo essere quello che non è ancora arrivato ai vertici della sua disciplina sportiva perché chi è lì ormai fa parte di un ingranaggio immutabile dove gli sponsor dettano legge, così lo studente ha tempo per formarsi solo fin che è all’interno della scuola perché poi la formazione successiva sarà funzionale esclusivamente ad un mondo del lavoro che risponde a precise regole di mercato e non a principi etici o comunque di rinnovamento della società.
In educazione fisica “si può” provare un certo gesto e fintanto che non proviamo a farlo non possiamo sapere a priori se è giusto o sbagliato per le nostre caratteristiche fisiche, conveniente o sconveniente, divertente o noioso. Possiamo al massimo sapere cosa c’è, scritto sui libri di quel gesto, ma i libri del nostro vissuto motorio non sanno proprio un bel nulla. Più o meno come non sanno nulla della società del futuro che è quella che con un po’ di buona volontà dovrebbe farsi carico di studiare la scuola. Senza griglie, test a crocetta, voti ed ipocrisie varie a sancire il concetto che… l’insegnante ha sempre ragione.