PROFONDO E SUPERFICIALE NELLO SPORT E NELLA VITA

Viviamo in un’epoca di superficialità dove tutto scorre su schermi ed abbiamo perso il senso della profondità. E’ come se vivessimo in due dimensioni e avessimo perso la terza che è quella della profondità.

Chi elucubra sui sistemi di informazione dice che è perché così siamo più facilmente controllabili, tutto ciò che scorre su due piani è facilmente controllabile è il terzo che crea delle sorprese e diventa un po’ imprevedibile.

Che la causa sia questa, piuttosto preoccupante o qualche altra non importa, la realtà è che siamo effettivamente appiattiti sugli schermi e l’esempio più lampante è la figura di due giovani che passeggiano per strada ognuno concentrato sul suo schermino, senza parlare fra loro. Ormai l’immagine è diventata talmente comune che non ci si fa più nemmeno caso.

I giovani iniziano e troncano anche rapporti sentimentali con il telefonino ed un ragazzo che ha il telefonino sempre acceso è un bravo ragazzo mentre quello che ce l’ha sempre spento è uno sciupafemmine. Così il ragazzo geloso si preoccupa se la sua amica ha tenuto spento il telefono per un periodo terribilmente lungo, chissà mai cosa avrà fatto durante quel periodo.

Se vogliamo vivere in un mondo migliore o comunque in un mondo diverso da questo (non è detto che sia migliore, sempre quando si cambia ci si espone anche al rischio di un peggioramento) dobbiamo ricominciare a considerare il senso della profondità. E’ chiaro che il rischio di avere delle sorprese, anche sgradevoli, è molto elevato. Tutto sommato la perfetta controllabilità di una realtà piatta è anche abbastanza rassicurante e confortante, poco pericolosa.

La profondità si può recuperare mettendo le persone davanti alle cose. Fin che comandano le cose si può tranquillamente schematizzare tutto su due soli piani.

E allora bisogna incominciare a dare meno importanza al danaro che è quello che comanda le cose ma non i sentimenti, bisogna tornare a valutare la professione anche per quello che ci da sul piano emotivo più che su quello economico. Questa cosa in effetti è altamente destabilizzante perché se ragioniamo in questa ottica rischia di finire l’epoca dei “Le faremo sapere” e dei responsabili del personale che contano come dei padreterni anche se della realtà oggettiva di un certo dipendente non sanno proprio nulla.

La gerarchia costruita sui falsi miti se riconsideriamo l’aspetto della profondità rischia di saltare provocando profondi cambiamenti in una società che vuol farci credere di essere abbastanza stabile ma non lo è assolutamente.

La profondità nello sport non è legata al livello di qualificazione dello sportivo, tutt’altro. Anche lì, quando comanda il danaro, c’è una falsa profondità e l’atleta professionista che resta nel carrozzone dello sport spettacolo fin che riesce a guadagnarci da vivere ma poi ne esce come se nulla fosse quando la motivazione economica cessa è tutt’altro che uno sportivo “profondo”.

Al contrario lo sportivo vero è quello che ha il coraggio di crearsi problemi economici, di dire no a chi vuole sfruttare tale momento storico per schiavizzare a paghe da fame giovani che dovrebbero dire di sì solo perché si fa fatica a trovare lavoro.

Si da del fannullone a chi non vuole di lavorare il sabato e la domenica. Se un atleta pratica uno sport dove la maggior parte delle competizioni si svolgono il sabato e la domenica ha tutto il diritto di cercare un lavoro dove si lavora solo negli altri giorni.

Se il mondo del lavoro fosse razionalizzato sulla base delle esigenze dei lavoratori più che su quelle dei datori di lavoro potremmo avere benissimo tante professioni da settimana corta o da orario di lavoro contenuto entro le 30 ore settimanali. Purtroppo il lavoro è sempre più concepito per chi su questo ci specula che per chi lavora effettivamente. Ci sono troppi “datori di lavoro” e troppo pochi lavoratori. E che il datore di lavoro lavori anche 80 ore alla settimana per cercare più lavoratori possibile da sfruttare quello non è un buon motivo per stabilire che anche gli altri devano lavorare come lui, anche perché questi lavorano quasi sempre per paghe orarie ben inferiori a quelle di chi propone l’incarico.

Lo sport profondo crea grossi problemi di adattamento sociale allo sportivo vero e lo mette in contrasto con questa società falsa ed appiattita dove il danaro controlla tutto e tutti, nel senso che se è uno sport davvero coinvolgente non ci si sta a barattare il tempo libero con surpluss di lavoro pagati in modo inaccettabile.

Io ho spesso affermato come una rivoluzione della società del danaro possa venir fuori dagli studenti e dagli sportivi. Sono questi che studiando in modo profondo la realtà possono capire l’assurdità di una società fondata sullo sfruttamento dei più deboli.

Il concetto di meritocrazia deve essere un po’ rivisto. Pare che il merito sia solo di chi ubbidisce a questa società e la asseconda lavorando il più possibile per farla andare avanti così com’è. Chi detiene il potere economico è un vincente ed ha già vinto nel momento in cui si è accaparrato quella fetta di potere economico che lo può rendere protagonista in questo tipo di società.

Chi non fa parte di questo gioco e vuole cambiarlo perché alcune sue regole sono decisamente inique e non al passo con i tempi secondo una certa scala meritocratica non vale nulla ed anzi è un pericoloso rompiscatole.

Io accetto una logica meritocratica se i principi che ispirano questa meritocrazia sono quelli che ispirano una società migliore perché se invece il criterio meritocratico si basa su chi ubbidisce ciecamente alla società dove si lavora anche di domenica senza fiatare allora dico che lì c’è semplicemente complicità nel mandare avanti un sistema dove l’unico merito è l’accaparramento di danaro.

Il piano profondo, sia nella vita che nello sport, ci impone di guardare ad un qualcosa di diverso. E così come nello sport la qualità del vissuto sportivo non è necessariamente legata allo spessore tecnico della prestazione conseguita, anche nella vita la qualità della stessa non è legata alla quantità di danaro che riusciamo a far circolare nelle nostre tasche.

Secondo uno schema piatto, a due piani, questi sono tutti discorsi teorici che non hanno nessun aggancio con la realtà degli schermi, secondo un piano profondo questi sono gli unici discorsi sui quali vale la pena perdere tempo se non vogliamo che gli schermi diventino la nostra unica realtà indiscussa.