Nell’affrontare la problematica dell’esercizio “sbagliato” e dicendo a chiare lettere che l’unico esercizio “sbagliato” in quest’era è non muoversi per la paura di muoversi male mi sono cacciato in un vicolo cieco e rischio la scomunica da parte di quei colleghi che sentenziano che “Se fossero tutti come te non esisterebbe la professione… sei un pressapochista… declassi la nostra professionalità… è importante essere rigidi e fermi su certe cose altrimenti tutti si inventano esperti del movimento etc. etc. …”.
Non posso perdere tempo ad affrontare analiticamente e sistematicamente queste critiche se non limitarmi a rilevare per sommi capi che in effetti: 1) la nostra professione in pratica non esiste tanto è vero che la esercitano cani e porci e non esiste un inquadramento autentico dell’insegnante di educazione fisica che non insegna a scuola e pertanto molti fanno il secondo lavoro ed insegnano a scuola tanto per garantirsi la pensione ma poi esercitano la loro vera professione fuori da scuola. Per dire nell’ambito della terza età non potrai mai insegnare nulla di attinente a quella materia all’università nemmeno se hai trent’anni di esperienza se non hai insegnato a scuola. Ciò è decisamente assurdo perché insegnare a scuola non ha nulla a che vedere col gestire l’attività motoria per la terza età ed è proprio per far questo al meglio che un professionista (si può chiamare così?) decide di non investire tempo sulla scuola ma dedicarlo esclusivamente alla sua vera attività. 2) Sono un pressapochista per tutto quanto segue su questo articolo dove il termine “pressapochista” deve essere sostituito con – sincero testimone di una scienza “non scienza” (io continuo a chiamarla arte) dove nessun dogma può essere ammesso a sostegno di chissà quale posizione di privilegio – 3) Per quanto sopra esposto la nostra professionalità di fatto non esiste se non a scuola dove un insegnante di educazione fisica non è mai riuscito a far risparmiare la bocciatura ad alcun allievo e dove non si mai sognato di far capire ai colleghi che un certo ragazzo non ha tempo di integrare le altre materie di studio con pesanti compiti a casa perché ha un deficit di competenze motorie e addirittura di salute minata da questo che è troppo importante per essere ignorato ed ha bisogno di molte ore per essere colmato. In una parola, come sempre predico su questo sito a scuola non conta la salute ma il nozionismo, la capacità di immagazzinare quel grande numero di informazioni previste dai programmi ministeriali. Della salute chi se ne frega, l’insegnante di educazione fisica è un optional, non è certo quello che ti fa riconquistare la salute, per quello scopo ci sono le pastigliette… 4) Ad essere rigidi e fermi su certe cose facciamo finta di fare i medici quando non siamo medici e se c’è una cosa fantastica della nostra professione è proprio che possiamo adoperare il massimo dell’elasticità nel formulare le nostre valutazioni e i nostri consigli e nessun politico ci verrà mai a dire che per protocollo dobbiamo suggerire un quarto d’ora ad una certa macchina da palestra piuttosto che una splendida ora di calcio o di pallavolo. La “terapia” nell’attività motoria può essere anche divertente ed è questo ciò che i medici in tutto il mondo ci invidiano, non certo il compenso economico per le nostre “aleatorie” attività.
L’articolo potrebbe essere anche finito qui se non che ho pure la presunzione di far capire alcuni pro e contro del modello probabilistico che è l’unico che ci può ispirare con una grande umiltà nei nostri “programmi” (parola molto discutibile…) di attività motoria.
L’aggancio con un’altra mia sparata molto discussa dei giorni scorsi è inevitabile. La scienza che si basa soprattutto su protocolli universalmente accettati ha per questo dei grandi limiti e ci si domanda se è ancora scienza quando questi protocolli vengono fatti rispettare da persone che non sono per nulla scienziati. Il collegamento con quanto affermato dal presidente del consiglio nei giorni scorsi è fin troppo scontato. In tempi recenti abbiamo fatto passare per scienza delle cose che scienza non erano, forse più per motivi di ordine pubblico che per altro ed i veri vessati sono stati quei medici che non aderivano a questi protocolli universalmente accettati che poi non erano universalmente accettati perché di fatto erano sperimentali. Ora far pagare ai medici queste scelte un po’ avventate sarebbe follia perché loro erano vittime e non artefici di questo stato di cose. Eventuali responsabilità di queste situazione andrebbero eventualmente addebitate a certa classe politica che si è arrogata il diritto di stabilire cosa era scienza e cosa non lo era ma a sollevare dall’oneroso incarico tale classe politica ci ha già pensato la popolazione votando in un certo modo.
Tutta questa problematica non riguarda certamente le scelte dell’insegnante di educazione fisica che, nel bene e nel male non deve rispettare alcun protocollo e può muoversi invece dentro ad una splendida e fantastica anarchia che ne limita ma al tempo stesso ne esalta la professionalità.
Il criterio probabilistico non ti mette certamente su un piedistallo ma ti da spazi di movimento infiniti ed è di questo che ha bisogno l’esperto del movimento per poter operare al meglio. Quando io affermo che da un punto di vista salutistico e magari pure per un certo obiettivo fisico ben specifico è molto meglio una clamorosa ora di calcio fra amici che una seduta in palestra con certe macchine non potrò trovare alcuno scienziato in possesso di chissà quali protocolli a poter argomentare il contrario. O meglio potrà argomentare il contrario ed è pure libero di rifarsi a chissà quali protocolli ma le sue considerazioni varranno né più né meno come le mie, saranno ampiamente confutabili come le mie e, soprattutto, nessun politico potrà arrogarsi il diritto di stabilire chi ha ragione. salvo che, per questioni di ordine pubblico, come probabilmente è avvenuto in tempi recenti per questioni che parevano di salute ma forse non lo erano.
La scienza medica ha tempi e metodi che sono ben differenti da quelli della materia dello studio delle arti motorie. Il vantaggio della scienza medica è che ha un alone di sacralità dettato dal fatto che su certe scelte ci si gioca proprio una questione di vita o di morte e pertanto c’è poco da scherzare. Le arti motorie hanno un altro grande, enorme vantaggio: che bene o male ci abbiamo tutti a che fare tutti i giorni e anche se cambiare un certo tipo di movimento non è praticamente questione di vita o di morte come purtroppo invece può essere cambiare improvvisamente la posologia di una certa pastiglietta, soprattutto nel lungo periodo può cambiare in modo determinante la qualità della vita anche in modo pià significativo di quanto possa fare la medicina.
Ed è qui che si apre un’altra epica disputa che non voglio minimamente tentare di affrontare qui perché è semplicemente gigantesca. La medicina ha certamente bisogno dell’attività fisica, non c’è dubbio, ce l’ha per i malati e ce l’ha anche per i sani perché non si trasformino in malati in tempi brevi. Non so dire se le arti motorie abbiano certamente bisogno della medicina ed io dico che parlando di soggetti sani tale cosa non è del tutto vera anzi si apre una certa conflittualità fra medicina e movimento perché sui soggetti sani con il movimento tendiamo a fare un certo tipo di prevenzione che la scienza medica opera invece in un altro modo. Insomma si ravvisa addirittura uno spazio di conflittualità fra le due discipline e in modo rozzo e semplicista mi pongo il semplice popolare quesito se per i soggetti sani sia più utile fare prevenzione medica investendo su costosi e complessi esami strumentali o sia più importante fare prevenzione attiva investendo in attività fisica sul campo, semplice, divertente ed ispirata alla magnifica anarchia di un modello probabilistico.