Affrontavo questa curiosa disputa con un atleta che stavo portando a fare una gara, ieri, e ci siamo trovati d’accordo su alcuni banali punti, poi ne è venuta fuori una disputa filosofica tutt’altro che ridicola.
Intanto l’aspetto tecnico. Da un punto di vista tecnico il pigmento non conta. La consistenza della pista non dipende certamente dal pigmento e semmai, ad essere molto pignoli, un tipo di pigmento può favorire un invecchiamento diverso per quanto ci batte sopra il sole. Ma per quanto riguarda piste discretamente nuove e ben tenute non è certamente la colorazione a far la differenza.
Pertanto il discorso è di carattere psicologico ed allora è buono per essere affrontato in una trasferta anche piuttosto lunga.
Lui, giovane, diceva “azzurra” ed io, ancorato a vecchie memorie, dicevo “rossa”.
Gli ho citato persino Pavlov per giustificare la mia vecchiaia e gli ho detto: “Sai ad un certa età hai dei riflessi condizionati talmente sedimentati che fai fatica a cambiare. Per me la pista deve essere rossa, anzi ti dirò di più, pure il colore della canottiera dell’avversario conta e questa, nel mio caso, deve essere granata perché i nostri avversari erano quelli delle Fiamme Oro con la tipica canottiera granata. Come il toro si infuria quando vede rosso noi ci infuriavamo con pista rossa e avversario in canotta granata…”
Lui, forse per arginare questa mia furia patologica, ha ammesso che in effetti forse il rosso è più stimolante e tende a tenerti più sveglio e reattivo, alché io ho replicato: “a me con la pista azzurra mi pare di essere in spiaggia o in piscina, è rilassante ma non è indicato per rendere in una competizione”.
E ci siamo accordati su questo, se l’obiettivo è stare rilassati meglio l’azzurro se invece è trovare la concentrazione allora meglio il rosso.
Da qui alla disputa filosofica il passo è breve. Non si può dire se sia meglio la pista rossa o quella azzurra: è un fatto di gusti. Semmai il discorso è immaginare per chi vada bene la pista di un colore e per chi la pista di un altro colore.
Allora la mia idea strana è che fino ai 18 anni e dopo i 30-35 forse è effettivamente meglio azzurra ma dai 18 anni ai 30 circa la pista deve essere rossa punto e basta.
Ammettiamo che il colore della pista sia davvero in grado di influenzare l’umore dell’atleta, si tratta di capire chi deve stare concentrato e chi può permettersi il lusso di stare più rilassato.
Se avete letto qualche articolo del mio sito potreste dire: “Ma allora non c’è dubbio che tu proponi la pista azzurra per tutti! Continui a smenarla con lo sport per la salute, con lo sport che si fa per tutta la vita, figuriamoci se non proponi una pista che avvicina a questo atteggiamento…” Ed invece è proprio per quello che nella importante fascia di età fra i 18 ed i 30 anni propongo la pista rossa, che sveglia fuori, per tutti, perché quella è l’età del massimo rendimento sportivo, viene una volta sola nella vita e dura anche meno di un sesto della durata totale della vita, è un periodo troppo breve per farselo sfuggire, va vissuto in un certo modo. Non dico che in quel periodo bisogna fare vita di clausura, sport e basta ma se bisogna fare dei sacrifici non vanno fatti certamente in quell’ambito perché poi non ci sarà più tempo per recuperare.
Ed il tanto tempo che è giusto dedicare allo sport in quel momento dell’esistenza dove vai a recuperarlo, visto che da qualche parte bisogna pur tirarlo fuori? Da studio e lavoro, non ho dubbi. C’è tutta una vita per studiare e lavorare. Sbagliatissimo smettere di studiare quando si ha il foglio di carta in tasca, è proprio dopo il conseguimento dei vari titoli di studio che si consolida quanto appreso sui libri, che si capisce ciò che era vera materia di studio e ciò che erano solo frottole per tenere in piedi il sistema scolastico. Chi smette di studiare quando ha conseguito il titolo di studio non ha capito nulla e vuol dire che fino a quel momento ha studiato gran male, probabilmente ha fatto finta di studiare come ancora troppi studenti purtroppo fanno. Essenzialmente la scuola ha un solo compito: fornire l’entusiasmo ed i metodi per la ricerca e lo studio che poi andrà portato avanti per tutta la vita. I vari diplomi e titoli sono solo balle di ordine burocratico che servono per farsi largo in un certo mondo del lavoro in modo talvolta nemmeno troppo onesto.
Per il lavoro il discorso è simile. Si lavora tutta la vita e chi crede di smettere di lavorare quando va in pensione è un illuso. A parte che con l’attuale sistema pensionistico in pensione ci andranno forse solo una elite di fortunati. In ogni caso anche chi prende un assegno pur smettendo la sua professione ufficiale se non vuol essere condannato ad invecchiare prima del tempo deve trovarsi una qualche occupazione, possibilmente non stressante ma che possa coinvolgere almeno un po’ emotivamente perché il mestiere di pensionato è uno dei mestieri più pericolosi che ci siano.
Chi fa il nonno a tempo pieno una professione ce l’ha e forse per la sua età è pure un po’ troppo stressante e ciò dipende dal fatto che nelle famiglie attuali lavorano tutti un po’ troppo e si finisce per delegare a soggetti in pensione oneri che sono anche molto ingombranti per quell’età.
Qualcuno può obiettare che anche lo sport si fa per tutta la vita ed allora, in tal senso è giusto prendersela con calma in stile “pista azzurra” per poter resistere a lungo. Il concetto è che nello sport quel decennio vissuto alla massima intensità deve essere un diritto di tutti e non solo degli atleti professionisti o delle squadre militari. Pertanto c’è il momento della pista rossa ed è sacro, irrinunciabile e assolutamente non procrastinabile.
A far da sfondo a tutto ciò c’è un altro concetto filosofico sul quale sono piuttosto incancrenito. Tutto lo sport deve servirci per trasferire la competizione dall’ambito sociale al campo sportivo. Se siamo troppo competitivi nel lavoro e soprattutto nell’ambito di studio roviniamo l’ambiente che ci circonda. Lì è davvero da “pista azzurra” perché si lavora bene e soprattutto si studia bene se non si è stressati e se non ci sono continue competizioni da vincere.
Ad ogni frutto la sua stagione. La stagione dello sport fatto bene comincia verso i 18 anni, non prima perché il fisico non è ancora strutturato, e dura circa un decennio. Perdere quel decennio è perdere una cosa troppo importante della vita. Per il lavoro e lo studio, se uno sta bene, c’è ancora oltre mezzo secolo dopo quel periodo.