Osservazione su “Il festival di Sanremo”

“… ti faccio notare che partecipare al Festival di Sanremo è difficilissimo e probabilmente alcuni partecipanti hanno anche raccomandazioni molto difficili da ottenere. Per certi versi forse è pure più difficile che partecipare alle Olimpiadi dove se ottieni certi risultati riesci comunque a partecipare, anche senza raccomandazioni…”

L’articolo era comunque provocatorio e so bene come partecipare a quel Festival non sia per niente semplice. Io tentavo di far passare un concetto, approfittando della notorietà del Festival, di “tolleranza” verso chi non mostra particolari attitudini verso una determinata cosa, in questo caso l’arte di cantare. Facile affermare che, anche se si applicano, alcuni dei cantanti di Sanremo non sanno cantare molto bene, altrettanto facile traslare questo concetto all’idea che se anche uno non è un vero campione dello sport dovrebbe avere il diritto a praticare sport visto che la pratica sportiva fa bene alla salute, così come, per certi versi fa bene anche cantare.

L’abbandono precoce dell’attività sportiva è un vero proprio flagello sociale e procura sovraccosti al Sistema Sanitario Nazionale perché si traduce nella maggior diffusione di certe patologie che potrebbero essere efficacemente contrastate da una sana attività sportiva.

Quello che rilevo io, in questi ultimi 20-30 anni, oltre ad un abbandono precoce dell’attività sportiva sempre più diffuso, quasi sistematico, è la parallela diffusione di un’attività sportiva “parcheggio” per quasi poppanti che dovrebbero avere tutto il diritto di giocare in modo molto libero e divertente senza regole invece di essere avviati all’attività sportiva troppo presto per poi risultare poco più avanti degli stressati bebè dello sport.

Tale atteggiamento che ricorda un po’ la vecchia Unione Sovietica che avviava ben presto allo sport i ragazzini con lo scopo di ottenerne dei campioni, produce in effetti la creazione di un vivaio di atleti con potenzialità notevolissime e crea i presupposti per cui alcuni di questi si mettano in evidenza con risultati eccezionali già all’età di sedici-diciassette anni. Purtroppo poi a 22-23 anni, quando si tratta di cominciare ad impegnarsi davvero per poter ottenere qualcosa nella pratica sportiva di alto livello, questi sono già svuotati, si sentono degli arrivati ed anche a livello emozionale hanno già speso quelle cartucce che sarebbe bene spendere quando lo sviluppo fisico sta dando la situazione migliore per produrre i risultati. Si viene a creare così una sfasatura fra i tempi di maturazione del campione imposti dalla società e quelli che detta normalmente la fisiologia.

A prescindere da ciò e dalla opportunità o meno di avere un grande numero di campioni nelle categorie assolute più che in quelle giovanili, io dico che è assurdo nauseare i ragazzini con la pratica sportiva quando sono troppo piccoli per poi togliere loro la possibilità di praticare un’attività sportiva autentica fra i 20 e 25 anni quando il fisico è attrezzato per fornire il rendimento migliore.

Tanto per dare i numeri io sostengo che l’età della pratica sportiva non sia fra i sei ed i sedici anni, come si propone attualmente, bensì fra i tredici ed i 25 anni (che diventano benissimo anche 30-35 per gli sportivi di alto livello). Questa considerazione purtroppo implica un assetto sociale scomodo per gli attuali indirizzi perché presuppone che sia riconosciuto il diritto al gioco per il ragazzino di età compresa fra i sei ed i tredici anni, diritto che è sempre più compresso da una serie di abitudini malsane che riempiono l’agenda dei bambini come se fossero degli adulti. E poi, e qui casca l’asino, implica che sia riconosciuto il diritto alla pratica sportiva anche a quei giovani di età compresa fra i sedici ed venticinque anni circa che pur non essendo dei campioni dovrebbero trovare nella loro giornata stramaledettamente incasinata il tempo per farci stare un paio d’ore di sport tutti i giorni. Nella nostra società questo pare un lusso riservato solo agli atleti di alto livello, anzi a quelli si chiede di tralasciare momentaneamente il lavoro perché a loro è richiesto di allenarsi addirittura due volte al giorno, ma allora, in quel caso, la pratica sportiva viene vista solo come un investimento per entrare nel carrozzone dello sport spettacolo che è un carrozzone dove talvolta ci si domanda se davvero l’attività sportiva faccia poi così bene vista l’alta medicalizzazione che la caratterizza.

Quando affermo che nella società della disoccupazione in realtà si lavora troppo non è che mi inventi cose strane. Il lavoro è semplicemente mal distribuito e questa cosa può fare comodo a chi riesce a trovare per questo manovalanza a basso costo ma non fa comodo alla società in genere che patisce uno stress da iperproduzione forse mai sofferto in altri tempi.

Sono discorsi politici di ampia portata. La miccia è Sanremo ma la bomba un’altra. E forse Sanremo non è nemmeno la miccia perché è uno di quei freni azionati dal sistema della televisione per fare in modo che la società non cambi e resti ancorata al modello televisivo. Parlando di cantanti altre volte ho citato i due volti di un grandissimo Edoardo Bennato: quello rivoluzionario e pieno di energia di “Burattino senza fili” e quello più rilassato e dimesso di “Sono solo canzonette”. Chiaramente io apprezzo decisamente di più il primo e forse non è nemmeno senso artistico del quale sono abbastanza privo.