“Praticamente tu, partendo da una banale questione di biomeccanica di corsa sulla minore o maggiore utilizzazione dell’avampiede, approdi alla tua solita tesi sulla necessità di una riforma sostanziale della scuola.
In una società altamente competitiva, come dici tu, devi ammettere che sei in competizione con questo tipo di scuola e l’unica freccia che hai al tuo arco è creare nei giovani con i quali vieni a contatto una maggiore necessità di praticare lo sport. Tale esigenza può anche avere motivazioni di ordine salutistico pure piuttosto importanti ma sappi che così facendo li metti in conflitto con questo tipo di scuola che non ha certamente molta attenzione verso queste importanti esigenze. Insomma la tua posizione è cronicamente conflittuale nei confronti di questo tipo di scuola e dal campo sportivo non hai molte possibilità di risolverla se non quella di innescare un pericoloso (soprattutto per gli studenti…) conflitto fra scuola e studenti. Non sei certamente in una bella posizione anche se bisogna ammettere che forse una vera esigenza di rinnovamento della scuola potrà partire proprio dal mondo dello sport più che dalla scuola stessa che su questo argomento sonnecchia per tanti motivi…”.
Io non voglio creare proprio nessun conflitto fra scuola e sport. Mi rendo semplicemente conto e sono allibito del fatto che non se ne renda conto chi lavora direttamente sulle materie da “banco” (che non sono come i farmaci “da banco” ma rischiano di avere effetti collaterali pure peggiori…) che i giovani sono ingolfati di nozioni, faticano a ritenere l’apprendimento e sono completamente svuotati da ogni sana presunzione di scardinare questa società che non funziona e rimodellarla secondo un modello che solo loro sono in grado di inventare perché noi ormai siamo troppo legati alle vecchie logiche del sistema capitalista.
Se la scuola non produce giovani in grado di rifondare la società vuol dire che ha fallito perché questa società è allo sbando ed è sotto gli occhi di tutti la necessità di creare non una nuova classe dirigente della quale non abbiamo proprio nessun bisogno (anzi siamo in paziente attesa che si estingua del tutto la vecchia classe dirigente che orchestra tutto come mezzo secolo fa…) bensì una nuova generazione di giovani in grado di prendere in mano il mondo del lavoro e potersi finalmente presentare ai colloqui dicendo al responsabile di azienda che ha assoluto bisogno di svecchiare l’azienda obsoleta “Le faremo sapere”.
Giovani davvero preparati non vanno a girare a vuoto per farsi sentir dire “Le faremo sapere” ma vanno a colpo sicuro dove sanno di poter portare il loro fondamentale contributo e sono loro a valutare l’opportunità delle varie offerte di lavoro, se queste non ci sono perché il mondo del lavoro è poco elastico in tal senso devono essere loro a prendere l’iniziativa e partire senza l’assistenza di nessuno, padroni del loro futuro e delle loro scelte senza condizionamenti da parte di chi non ha voglia di cambiare nulla.
Per cui quando io affermo che un giovane sano anche se non è un campione ha diritto di fare sport tutti i giorni e non solo due o tre giorni alla settimana perché “altrimenti non ce la fa con lo studio” non lo dico solo perché questa cosa è utile per aver giovani più sani visto che l’attività fisica va fatta tutti i giorni e non solo “quando c’è tempo” ma proprio perché per migliorare la qualità di questa scuola è opportuno disintossicare i giovani da un bombardamento di informazioni che invece di contribuire ad una crescita del pensiero critico e della capacità di inserirsi nella società con un alto potenziale di innovamento rischia di ingolfare gli studenti rendendoli inefficaci nel loro ruolo di rinnovamento della società.
In una scuola dove c’è un minor bombardamento di informazioni la qualità dell’apprendimento migliora ed improvvisamente tutta quell’enormità di tempo dedicata alle stressanti verifiche non si rende più necessaria. Non sono gli insegnanti a dover verificare lo studente che ha tutto l’interesse ad ottimizzare il tempo impiegato a scuola per uscire più preparato possibile, sono gli studenti che devono pazientemente accompagnare i professori in una ponderata e attenta revisione del metodo di studio che se è nelle corde di tutti gli studenti non è probabilmente nelle corde di tutti gli insegnanti, meno elastici e propensi a mettersi in discussione.
Diciamolo chiaramente, una profonda revisione dei metodi di apprendimento mai chiesta da un mondo studentesco sonnacchioso non è stato nemmeno lontanamente ipotizzata dalla classe insegnante che da una revisione di questi metodi ritiene di averci gran poco da guadagnare.
In realtà se la scuola migliora questo è un grande traguardo per tutti non solo per gli studenti, poi è chiaro che per gli insegnanti la faccenda si fa molto impegnativa perché una scuola che mette in discussione la sacralità della verifica diventa più difficile da gestire anche da un punto di vista disciplinare.
Il più sconquassato alla fine ne risulta proprio il mondo del lavoro e, a mio parere, se non c’è all’orizzonte nemmeno un tentativo di riforma è proprio per l’azione di controllo indiretta esercitata da una società calcificata sui propri dogmi su questo tipo di scuola che, così com’è strutturata attualmente, è perfettamente funzionale al mantenimento di questo mondo del lavoro e lo sostiene costantemente.
Pertanto ci sono una serie di cause per cui la scuola ha gran poche possibilità di trovare stimoli al mutamento al proprio interno, forse invece è proprio il mondo dello sport a potersi evolvere e a creare nuove esigenze negli studenti. Ma non è un fatto di competitività, di mondo dello sport che deve mettersi in competizione con il mondo della scuola. Tutt’altro. Siccome per motivi di salute tutti i ragazzi hanno bisogno di fare sport allora risuta implicito anche un nuovo modo di intendere la scuola. Questa necessità invece che creare “competizione” crea nuovi equilibri e, al contrario, punta a ridurre anche la competizione in ambito sportivo dove è sempre ben tollerata ma se è esagerata può essere dannosa anche lì.
Il mondo dello sport, per migliorare anche la scuola, deve essere orientato ad un grande obiettivo sociale: fare in modo che tutti i giovani pratichino attività fisica tutti i giorni e non solo i più performanti. Così come si va a scuola tutti i giorni, si pratica attività fisica tutti i giorni e deve finire la tragica consuetudine secondo la quale “se un ragazzo non è un vero talento dello sport non ha alcun senso che si alleni tutti i santi giorni togliendo prezioso tempo agli impegni scolastici”. Così come il ragazzo in ritardo di apprendimento in matematica deve dedicare più tempo alla matematica e non di meno anche il ragazzo non molto preparato fisicamente deve dedicare più tempo all’attività fisica e non di meno. Si dirà che la giornata non ha più di 24 ore ed è proprio per quello che dopo cinque ore dedicate alla scuola alla mattina non ha molto senso andarne a dedicare altre ancora anche nel pomeriggio sottraendo importante tempo dedicato all’attività fisica.
Computo degli operatori sportivi è diminuire l’eccesso di competitività per fare in modo che nessuno si senta escluso e si senta di “perdere tempo” se pur allenandosi tutti i giorni non è un talento in odore di partecipazione alle Olimpiadi. La scuola è troppo competitiva e lo è pure lo sport quando ammette ad un carico di allenamento dignitoso solo chi ha possibilità di emergere. Visto che deve essere lo sport ad insegnare che l’eccesso di competitività non fa bene in nessun ambito, nello sport, nella scuola e peggio ancora nel lavoro, è proprio il caso di lavorare per uno sport per tutti dove il risultato possa comunque essere premiato e valorizzato per dare entusiasmo ma dove questo non sia stramaledettamente enfatizzato e ritenuto requisito essenziale per la prosecuzione di una quotidiana e sistematica pratica sportiva.
Probabilmente un nuovo modo di intendere la scuola parte proprio da un nuovo modo di intendere lo sport ed i primi a fare una sana autocritica dobbiamo essere proprio noi tecnici, abituati a dire al ragazzo molto promettente “Se riesci ad allenarti tutti i giorni è meglio” e a lasciare quello meno promettente ad un’attività poco entusiasmante, quasi misero contorno di una scuola che offre più competizione sui banchi che sul campo sportivo.