“Non c’è più religione!” era un esclamazione che si faceva un tempo quando succedeva qualcosa di piuttosto assurdo e non in sintonia con il buon senso magari legato all’evolversi degli usi e costumi e in netto contrasto con quanto avveniva normalmente solo fino a poco tempo prima.
“Non c’è più religione” purtroppo si può dire anche adesso e si può dire con riferimento a tante questioni piuttosto sorprendenti e fuori da ogni logica dettata dal buon senso.
In senso proprio letterale i preti si lamentano che non c’è più la centralità della religione nei ragazzini e negli adolescenti e così l’idea della religione passa come un fatto marginale, come una semplice idea appunto per la quale è bene trovare un po’ di tempo ogni tanto.
Io che provengo dallo sport e di religione mi occupo solo da fedele e non da guida capisco benissimo questo atteggiamento, non lo giustifico ma lo comprendo perché è la stessa identica cosa che accade con riferimento allo sport per i ragazzini.
Non c’è più religione perché la scuola ha scavalcato lo sport, non c’è più religione perché il lavoro ha soffocato il tempo libero e questo è il marchio della nostra società ed alla fine l’unica religione che è rimasta è quella del dio danaro.
La scuola viene vista come quel trampolino di lancio per il mondo del lavoro, per l’approdo ad una professione che ti garantirà lauti guadagni. Si comincia a ragionare in termini professionali a sei anni e si smette dopo gli ottanta, quando non si riesce più a fare il secondo lavoro che è quello che si continua a fare anche dopo l’età della pensione. Non c’è più religione, è proprio il caso di dirlo.
Bisogna cominciare dalla scuola ad educare i nostri figli a ridimensionarla, a darle la giusta importanza e a far capire che non è l’unica cosa importante della vita. Un tempo c’era lo sport, c’era la religione (c’era per davvero e non per finta) e c’era anche la scuola. Se ti comportavi bene a scuola potevi anche permetterti il lusso di dare più importanza allo sport che alla scuola e questa era la religione nel senso che il rispetto del prossimo era ritenuto fondamentale e poi veniva il divertimento. Adesso il rispetto del prossimo conta molto meno di una volta, conta “vincere” a scuola perché la vera competizione è lì, poi se vinci a scuola puoi anche essere strafottente perché il tuo dovere l’hai fatto, se vuoi fare sport fallo altrimenti ci sono mille altre cose alle quali hai diritto perché giustamente, andando bene a scuola, puoi anche scegliere di fare i “capricci” in tutto ciò che non è scuola. Così ci sono gli adolescenti che saltano l’allenamento per andare a studiare e vengono ritenuti maturi per questo, cambiano sport otto volte in cinque anni e viene ritenuto un loro diritto perché “Poverino va tanto bene a scuola, anche se spendiamo qualcosa in più per vedere se c’è qualche sport che lo appassiona davvero cosa vuoi che sia…”.
La centralità della scuola è devastante. Zaini da 10 chilogrammi, genitori che aiutano i figli a fare i compiti, auto che arrivano fin sugli scalini della scuola con il pargolo che non si sa mai che ci sia qualche male intenzionato e poi, con 10 kg di zaino in effetti non si può fare altrimenti. I ragazzini sembrano più maturi di un tempo ma in realtà sono solo più obbedienti nei confronti degli impegni scolastici perché poi la loro presunta maturità si schianta contro evidenze che non lasciano spazio ad equivoci.
Un tempo si diceva che lo sport faceva bene anche perché insegnava ad incanalare l’aggressività, oggi l’aggressività è spesa tutta nella competizione scolastica e non ne resta per lo sport. Gli adolescenti fanno sport con lo spirito dei quarantenni quasi come se dovessero buttare giù la pancia e rinunciano ben presto a tentare di diventare dei campioni. Anche questo viene visto come un segnale di maturità ed invece è l’aberrazione di ritmi di vita che non lasciano più spazio al sogno, non lasciano più spazio alla fantasia. Un adolescente che non sogna di diventare un campione in qualche accidenti di sport non è un ragazzino maturo ma è semplicemente un ragazzino spento anzitempo al quale si è maldestramente barattato il sogno di diventare un grande calciatore con quello di diventare un ottimo medico o un ottimo avvocato.
Non c’è più religione perché davvero non c’è più religione in senso letterale, anch’essa sacrificata all’altare del massimo rendimento scolastico. Io dico che occorrerebbe più sport per tornare a dare il giusto peso alle cose ma forse si può ripartire anche dalla religione e allora i preti devono arrabbiarsi, non possono limitarsi a constatare che non esiste più la centralità della religione.
Un tempo il meno bravo della classe era simpatico, era aiutato dai compagni, era quello che salvava l’intera classe ed era pure una specie di parafulmini che poteva anche giustificare figuracce piuttosto pesanti perché tanto lui ne faceva di peggio. Oggi il meno bravo è un caso clinico e ci si preoccupa su cosa dovrebbe fare per mettersi assolutamente al passo con gli altri. I genitori sono già preoccupati e vedono incombere il disastro esistenziale di un ragazzo che resterà in ritardo di apprendimento per tutta la vita.
In realtà in ritardo di apprendimento c’è l’intera scuola italiana che non è capace di sviluppare lo spirito critico nei ragazzi. In una scuola evoluta il problema della giustificazione per impegni sportivi non si pone perché la giustificazione impara a farsela l’allievo affrontando i suoi primi veri impegni esistenziali. Un allievo che si gestisce la scuola (e dunque riesce pure a farsi le giustificazioni come si faceva un tempo) viene visto come un marziano disadattato che ha bisogno assolutamente di essere rimesso nei binari e di essere seguito dai genitori. Invece siamo nella scuola dove l’insegnante “magnanimo” ti consiglia di non scrivere più “impegni sportivi” quando il ragazzo ha saltato delle ore di scuola per veri impegni sportivi, perché è meglio scrivere “Problemi familiari”. Siamo al limite dell’ipocrisia per salvare una scuola che non solo non ha i mezzi finanziari per promuovere lo sport per tutti ma addirittura lo ostacola.
Non c’è più religione. La competizione sociale ha invaso tutti gli ambiti dell’esistenza ed ha rovinato il gioco dei ragazzini. Una società dove non si gioca non è una società evoluta.
Non si può tornare ai tempi dell’oratorio a quando dopo il catechismo c’erano ore di gioco libero e assolutamente incontrollato. Ma bisogna inventarsi qualcosa che possa sostituirlo perché manca il catechismo ed io dico che mancano pure le insostituibili ore di gioco libero.