MODA E SALUTE

Possono andare d’accordo le mode con la salute? Un gran vantaggio delle mode è che generalmente durano poco e pertanto hanno un periodo di tempo piuttosto contenuto per poter far danni. Ma disgraziatamente ce ne sono anche di quelle che durano tanto al punto tale che non sai più se chiamarle mode. Per esempio: il tacco “12” è una moda o un classico? E già che ci siamo su questo polpettone che va anche al di là delle mode può essere incassato agevolmente senza far danni? Per il tacco “12” la risposta è molto banale: usato sistematicamente può provocare dei veri e propri disastri per la postura e allora è proprio il giochino che fin tanto che dura poco ed è saltuario può essere sopportato ma se è continuato e protratto nel tempo diventa un vero e proprio flagello. In genere il tacco alto, al di là del famigerato “12” provoca danni se viene usato troppo. Sarebbe quasi da dire che chi ne ha passione invece di insistere molto su un quasi normale 9 o 10 dovrebbe proprio scatenarsi in qualche circostanza con il “12” per poi tornare alla normalità di una calzatura che con riferimento alla postura ideale più è bassa e meglio è. Non sto dicendo che bisogna andare in fase negativa, con l’avampiede che è addirittura più alto del tallone ma mentre un dislivello positivo di 3-4 centimetri è quasi un’inezia e si può tranquillamente definire fisiologico, già un dislivello di sei centimetri che la maggior parte delle signore adottano con eleganza estrema e con movenze che le fa sentire decisamente a proprio agio, adottato in via continuativa non è la cosa migliore per una corretta postura.

Siamo sempre in campo di moda quando parliamo di pantaloni che con grande significato di moda sono decisamente lacerati proprio nel punto nel quale dovrebbero proteggere di più: il ginocchio. Vedere il ginocchio nudo a cinque gradi sottozero con tutto il resto della gamba ben coperta e magari pure usando il motorino fa pensare a tanti giovani candidati precocemente all’artrosi del ginocchio. Non dico di andare via con le toppe di lana sul ginocchio a vent’anni ma far prendere freddo in modo continuativo all’unica struttura che con climi particolarmente freddi sarebbe proprio opportuno coprire è un po’ assurdo. Forse se cambierà la congiuntura economica cambierà anche questa moda del pantalone lacerato proprio lì dove non dovrebbe essere lacerato, in caso contrario fra una ventina d’anni potremo sapere se questa moda ha dato maggior lavoro agli ortopedici o se invece ha irrobustito in modo insospettato questa articolazione che soffre particolarmente il freddo.

Ma nel nostro caso non vogliamo trattare la moda con riferimento all’abbigliamento, tale questione è da sociologi o, al più, da linee direttive delle case di abbigliamento, ciò che invece riguarda il campo dell’attività motoria è il fenomeno sociologico dell’attività fisica come vettore di moda, come strumento di moda e come elemento di interazione con le varie mode e qui si possono aprire considerazioni a non finire.

L’attività fisica ha delle sue regole, alcune delle quali fanno letteralmente a pugni con la moda. La prima: l’attività fisica deve essere soprattutto divertente e se invece diventa una palla perché, per seguire una certa moda è importante fare un certo tipo di attività fisica allora non ci siamo più nei concetti base dell’attività fisica. E così, a cascata, se la moda ti dice che il fisico deve essere modellato in un certo modo, perché così dice la moda e tu utilizzi l’attività fisica per cercare di somigliare a quel certo modello allora casca il palco e crollano i principi fondamentali dell’attività fisica. Qui il conflitto è clamoroso ed insanabile e bisogna fare una scelta ben netta. L’attività fisica va fatta per divertirsi e per restare in salute (e quasi sempre i due obiettivi sono coincidenti perché un’attività fisica divertente è equilibrata e pertanto anche salutare) se l’obiettivo diventa la ristrutturazione dei volumi corporei allora quella non è più attività fisica ma solo moda assurda e irrazionale. Direi che nei suoi principi fondanti anche il contestatissimo Body Building rifugga da tale filosofia perché anche se nel Body Building sono presenti dei principi piuttosto discutibili di cultura fisica comunque questo non si fa piegare dalle mode e non sta certamente a vedere cosa dicono le mode nel senso che un chiaro concetto di salute fisica (anche se discutibile, ripeto) è comunque presente anche nella filosofia del Body Building e non va certamente contrattato con le esigenze della moda.

La faccenda Body Building è comunque spinosa e non posso certamente esaurirla qui, mi preme solo sottolineare che comunque i cultori del Body Building non si prestano certamente alle esigenze della moda e non andranno chiaramente a rifondare i loro principi sulla base di ciò che racconta la moda.

Su un altro piano io sostengo che qualunque attività fisica deva avere anzitutto un’ attenzione di tipo funzionale. Grazie all’attività fisica noi riusciamo a funzionare meglio e riusciamo a funzionare meglio con il nostro organismo con certe caratteristiche senza doverne prendere a prestito quello di un altro. Un piano di attività fisica ben calibrato non modifica le proporzioni corporee e mette invece quel fisico in grado di funzionare meglio in breve tempo. Da questi segnali si misura la qualità di una certa attività fisica e se c’è entusiasmo nello svolgimento di questa attività quasi sempre i risultati si vedono. Se invece l’atteggiamento è tipo “me lo ha ordinato il medico” allora è possibile che si veda qualche variazione sulla bilancia ma a livello di benessere magari non si sente proprio nulla perché manca quello che è l’ingrediente numero uno per svolgere attività fisica: l’entusiasmo.  Non è la bilancia a dover dare le risposte più importanti ma sono i sensori di movimento, i propriocettori. Se quelli lanciano segnali positivi allora se anche la bilancia non da nessun segnale vuol dire che quell’attività fisica sta producendo effetti benefici perché vuol dire che sta stimolando le nostre capacità di movimento e ci sta rendendo più efficienti, oppure trattando età dove l’obiettivo è ritardare la riduzione di certe capacità, ci sta dando la possibilità di mantenere una buona efficienza fisica anche se l’età avanza.

Ci sono poi gli effetti indiretti di certe mode che possono essere “stritolanti” nei confronti di altre attività fisiche. Due esempi: gli sport assurdi e del tutto nuovi che tolgono la possibilità di concentrarsi su sport tradizionali e così uno finisce per fare di tutto ma male senza prendere passione per un vero sport in particolare e poi le esigenze organizzative dello sport di moda che finiscono per condizionare in modo pesante la gestione dell’attività e qui faccio l’esempio della corsa su strada, molto diffusa in Italia ma si può tranquillamente dire pure in tutto il mondo.

Da un punto di vista fisiologico i corridori sono naturalmente spartiti fra veloci, ibridi e resistenti. I veloci sono quelli che rendono bene sulle brevi distanze e possono funzionare bene su distanze comprese fra i 60 metri (che si fanno solo al coperto) e gli 800 metri. Gli ibridi sono abbastanza veloci ma hanno anche notevoli doti di resistenza e sono quelli che in atletica si chiamano mezzofondisti che possono spaziare con molta elasticità su distanze comprese fra gli 800 metri ed i 10.000 metri (distanze che si corrono prevalentemente in pista anche se mi tocca dire che, proprio per le “mode” per i 10.000 non è più così, tanto è vero che si tende a chiamarli “10 chilometri”) infine ci sono i resistenti che sono senz’altro molti ma quasi di sicuro non più del 30-35% del totale della popolazione che sono quelli con spiccate doti di endurance che preferiscono cimentarsi su distanze dai 5000 metri (raramente i 3000, anche questi presenti come gara “indoor” ma non ufficialmente presenti come distanza olimpica nel programma dell’atletica all’aperto) in su e così 10.000 metri (o 10 chilometri…) mezza maratona (21.097 metri) maratona (42.195 metri) e poi si sono inventati pure le famigerate 100 chilometri con tanto di record ufficialmente riconosciuti e che meriterebbero tutto un discorso a parte.

Qui la moda ha lasciato il segno perché se è vero che la popolazione è così fisiologicamente distribuita poi in Italia avviene che siamo un popolo di maratoneti (ma anche in giro per il mondo) e a fronte di una popolazione infinita di maratoneti abbiamo gran pochi soggetti che corrono i 10.000 metri in pista e non ne abbiamo nemmeno tanti che corrono i presunti facili 100 metri. A livello amatoriale la disciplina più inflazionata è la mezza maratona che è lunga ben 21 chilometri mentre la seconda non sono i famosi 10.000 su pista bensì la lunghissima maratona di 42.195 metri semmai supportata da un buon numero di gare svolte sui 10 chilometri ma rigorosamente su strada che è anche l’ambiente dove giustamente si corre la maratona. E questo è un fatto meramente organizzativo e di business perché se è vero che la popolazione è spartita in modo fisiologico è anche vero che di proporre i 5.000 metri o peggio ancora i 1.500 o, follia, i 100 metri ai vari comitati organizzatori non interessa nulla perché quelle distanze sono pessimi contenitori per le corse di massa. Organizzare gare ha ritorno economico solo se il numero dei partecipanti è molto elevato. La mezza maratona è un ottimo contenitore, vi possono prendere parte anche migliaia di persone. La maratona, anche se è letteralmente massacrante per la maggior parte dei partecipanti è un fantastico contenitore e come insegnano New York, Londra e Berlino (veri e propri business) vi possono partecipare anche decine di migliaia di podisti, chi se ne frega se di quelle decine di migliaia quelli veramente attrezzati ad affrontare la distanza in modo razionale sono sì e no poche centinaia.

In questi casi la moda ha deviato l’attenzione da un’attività fisica potenzialmente sana ad un qualcosa che pure partendo da buoni principi può anche alla fine non risultare estremamente sano perché risponde essenzialmente ad esigenze di carattere organizzativo. Non c’è dubbio che un buon velocista sia attrezzato a far funzionare meglio il suo fisico (ed anche con più entusiasmo) su una bella gara sui 100 metri ma quella gara lì potrà facilmente andare a  farla solo ai campionati del mondo o ai campionati europei dove alla faccia della libertà di partecipazione ti chiedono tasse di iscrizione anche superiori ai 50 euro e dove per raggiungere il luogo di gara ci sarà quasi di sicuro da affrontare un  viaggio (con tanto di comitato organizzatore che ti chiede di presentarti almeno un giorno prima della gara tanto per fare un favore agli alberghi della zona…). Per quanto riguarda il livello amatoriale normale delle competizioni, quello della quotidianità che non riguarda le manifestazioni internazionali, si riesce a trovare un buon numero di manifestazioni (e molto partecipate) solo a livello di corse su strada dai 10 chilometri in su, dove la lunghissima maratona che un tempo organizzavano solo in poche città italiane ora è organizzata praticamente dappertutto ed un paese non può nemmeno essere definito tale ma semplicemente una contrada se non organizza la sua classica maratona.

Dunque fra moda e salute vi è un difficile connubio anche nell’attività fisica e lo sportivo comune fa proprio bene a chiedersi se ciò che gli viene proposto con insistenza e propagandato con efficacia sia davvero ciò che fa comodo a lui e se non sia piuttosto un’attività fisica che pur potenzialmente salutare, è però tagliata sulle precise esigenze del business e non  su quelle del cittadino.