MENO EROI, PIU’ APPASSIONATI

Ho una mia idea di corsa moderna, ma anche di sport moderno che si discosta un pochino dall’idea corrente. Siamo piuttosto inclini ad evolverci verso nuove mode di consumo, calzature disegnate in un certo modo, abbigliamento tecnico che ha quasi del tutto abbandonato le fibre naturali, aggeggi infernali da portarci dietro fin che corriamo (per conto mio già la chiave dell’auto è troppo pesante e sarebbe da richiedere alle case automobilistiche che pensino anche alle chiavi per i podisti che non possono portarsi dietro un telecomando invece di una semplice chiave) ma siamo poco inclini ad evolverci verso una filosofia della corsa, ma sostengo dello sport in generale, che faccia più spazio agli appassionati ed un po’ meno agli eroi.

Il mito degli eroi è antico e sopravvive benissimo anche ai nostri giorni, è pure poetico ma a volte è un po’ stritolante nei confronti di altri atteggiamenti che meriterebbero di trovare molto spazio per un’ evoluzione del concetto di sport come benessere, sport come cultura e ricerca del miglioramento non spasmodico ma fisiologico e naturale.

Sento spesso accennare (ed il concetto ormai è antico) alle fatiche della corsa come ad una palestra di vita. Con la corsa ti addestri a sopportare la fatica e dunque gli stress della vita.

E se fosse che con la corsa ti addestri a pensare meglio e a risolvere meglio i problemi della vita? Perché deve esistere solo l’eroe capace di sopportare le grandi fatiche e non quello in grado di capire come evitarle e trasformarle in divertimento? Se la corsa è divertente non è più eroica e non vale più a nulla? Se nella mezza maratona non esiste la crisi del 37° chilometro non ha senso correrla perché è inutile correre in una gara dove non c’è un pizzico di eroismo e devi solo star lì a pensare come ottimizzare la preparazione senza sottoporti a stress leggendari?

C’è una contrapposizione fra uomo che crea mille telecomandi per rendersi la vita più facile e uomo che torna alla corsa per tornare a fare fatiche che non è più abituato a fare. Io non dico di non fare fatica con la corsa ma non ha senso farne più di quella che è necessaria farne per correre bene. Non vince chi fa più fatica, vince chi corre meglio e più veloce. Se poi non conta vincere, e quello può anche essere in una società troppo competitiva, allora non capisco perché conta comunque fare tanta fatica.

Siamo al paradosso che con la tecnologia non alziamo più nemmeno il culo dalla poltrona per cambiare il canale della televisione (ed i bambini non capiscono nemmeno questo discorso perché ormai è un discorso di cinquant’anni fa) però siamo fieri di fare una fatica immane in un evento sportivo che con un po’ di maggiore attenzione potrebbe essere razionalizzato e reso molto meno faticoso e leggendario.

Da un lato cerchiamo il minor sforzo possibile (per me l’emblema della civiltà dei consumi è lo spremiagrumi elettrico che penso che dovrebbe essere riservato ai disabili o a chi deve spremere qualche centinaio di agrumi al giorno) dall’altro siamo orgogliosi di fare una fatica esagerata, più di un grande campione, per portare a compimento una competizione sportiva che potremmo affrontare con una fatica molto più contenuta e razionale.

Visto che non riusciamo ad essere performanti come i grandi campioni accettiamo di fare fatiche che sono sovrapponibili alle loro contornandole di un ulteriore alone di leggenda e affermando “La mia fatica vale ancora di più perché non ci ho rimediato il becco di un quattrino!”

I gusti sono gusti e se lo sport è un arte ogni atteggiamento interpretativo è ammesso e non condannabile ma io sono per il culto dello sport, non per quello della fatica e trovo che le due cose non siano per niente coincidenti.

Non sta in piedi il concetto “Se non vuoi fare fatica piglia l’automobile” perché io ho l’ambizione di correre, di farlo nel miglior modo possibile, compatibilmente con l’età, di farlo anche sempre meglio e pure di non far fatica perché se è vero che il campione senza un po’ di fatica non va da nessuna parte non è vero che il dilettante senza far fatica non riesce a migliorare. Lo sport è anzitutto affinamento tecnico ed in secondo luogo fatica dove la fatica non è mai un obiettivo ma un semplice effetto collaterale alla ricerca del miglior addestramento. L’atleta che è deluso perché “Non è riuscito a far fatica” non ha capito un bel niente perché l’obiettivo razionale è il miglioramento del rendimento sportivo non l’imposizione di mettersi a fare sempre delle grandi fatiche. Il giorno che feci il mio record personale sui 1500 (un po’ dopo le guerre puniche) non feci molta fatica e ne fui proprio contento perché pensai (da inesperto) che probabilmente con più fatica avrei potuto anche fare meglio. La vera fatica fu dopo, capire che quel giorno ero semplicemente molto in forma, anche se non sapevo di esserlo, e così corsi in 3’49” senza fare fatica, come minimo con una fatica molto inferiore a quella che provai per correre gli 800 in 1’50”. Fu sulla base di quello che impostai successivamente la preparazione solo sui 1500 per avvicinarmi ad un ipotetico 3’40” sui 1500 che mi ero illuso di poter ottenere visto che il 3’49” non mi pareva il mio reale limite.

Trattando di fatica ho corso anche delle maratone e quella volta che ho corso più forte delle altre non è stata certamente quella che ho fatto più fatica. La volta che ho fatto più fatica è stata quando, impreparato per colpa di un  infortunio che mi ha ostacolato la preparazione, ho voluto a tutti i costi presenziare ad un campionato provinciale e portarla a termine perché, a quei tempi, un 4° posto nel campionato provinciale era un signor piazzamento.

Il gesto sportivo che testimonia più di tutti la mia indole di scansafatiche, della quale sono orgoglioso e penso che sia quella che mi da gli stimoli per meditare ancora oggi sul fenomeno corsa, fu quello di una domenica della primavera prima degli esami di maturità nella quale dichiarai a me stesso che quel giorno avrei fatto una sana corsetta della salute e poi avrei studiato tutto il giorno come avevano preso la mania di fare anche alcuni miei compagni di classe in vista degli esami di maturità. Usci di casa alle otto di mattina, animato dal sano intento di lasciare molte ore disponibili allo studio. Poi man mano che correvo tranquillo complice la “non fatica” della corsa, ma soprattutto lo spauracchio immane della fatica atroce di una intera domenica dedicata allo studio, cambiai un po’ programma. Tornai a mezzogiorno e tre quarti dopo solo 4 ore e 46 minuti di corsa tranquilla “quasi” leggera perché gli ultimi chilometri obiettivamente erano abbastanza trascinati da vero tapascione. Una certa fatica ovviamente la feci ma svanì del tutto nel momento in cui decisi che quel giorno non avrei studiato per niente perché avevo corso troppo e non era proprio il caso di mettersi a studiare dopo 4 ore e 46 minuti di corsa. Non ci fu proprio niente di leggendario, anzi da un punto di vista scolastico una vera grandissima conigliata per fare una specie di berna dalla mia ipotetica giornata di studio. Io che non facevo mai berne finte ma sempre motivate da motivi concreti avevo avuto bisogno di una scusa fasulla per giustificare a me stesso una sana domenica di “non studio”.

Quando racconto questa storia (e la racconto più spesso per parlare di scuola che per parlare di sport) gli ascoltatori tendono a darne connotati di gesto eroico quando quello è stato proprio il contrario di un gesto eroico: è stata una grandissima fuga dalla fatica. La fatica immane permeata di un eroismo al quale non ho mai ambito sarebbe stata quella di studiare tutto il giorno.

Ovviamente il problema scolastico era che in quel momento non avevo nessuna passione per lo studio ed ogni scusa era buona per evitarlo. Non era una cosa congenita perché solo qualche anno dopo mi troverò a studiare anche ben più del tempo necessario a superare un esame raggiungendo il top di secchioneria quel giorno (questo sì leggendario e accompagnato da una grande fatica) che ho dovuto zittirmi durante l’esame di farmacologia perché rischiavo di essere bocciato in quanto la profe faceva finta di non sapere la realtà della farmacologia applicata allo sport e voleva che noi trattassimo l’argomento solo in modo politically correct e non in modo esaustivo.

Quella fu una fatica leggendaria perché non accettarla sarebbe stato autolesionismo. Una fatica fatta per evitare altre fatiche.

Ecco per conto mio il vero concetto di fatica è proprio questo: si può farla solo con l’obiettivo di evitare altre fatiche ma mai fine a sé stessa.

Nella corsa fatta bene probabilmente la fatica più grossa è quella di pensare a come affrontare la preparazione per fare meno fatica possibile. Pare un gioco di parole ma per conto mio quella di chi continua imperterrito una corsa impostata male accettando una fatica fisica improponibile solo perché fa tanto “eroismo” è  la fatica di uno che di sport non ci ha capito niente.