“E’ meglio praticare un solo sport o praticare una pluralità di sport?”
Questa è una domanda molto interessante alla quale non oso avere la presunzione di rispondere ma sulla quale mi piace fare delle riflessioni per offrire spunti di discussione per chi ha questa curiosità.
Come sempre bisogna contestualizzare il quesito e dico che ci sono tante situazioni diverse alle quali dare risposte diverse per cui, in assoluto, non si può certamente dire se si più sensato praticare esclusivamente uno sport solo o più sport.
Una delle prime cose da considerare è l’età del personaggio al quale va rivolto questo consiglio. Parlando di bambini, da un punto di vista fisico è quasi impossibile non affermare che la scelta di più sport sia più azzeccata di quella di un unico sport. Addirittura parlando di bambini non si parla nemmeno di sport ma si parla esclusivamente di gioco dove si gioca a fare tutti gli sport di questo mondo e pertanto non è sport bensì “simulazione di sport”. Così come il bambino gioca a fare il poliziotto, il pompiere, il medico o l’astronauta gioca anche a fare il calciatore, il pallavolista, il velocista o il saltatore. Poi si tratta di capire quando il bambino non è più un bambino e dunque lo sviluppo dell’alfabeto motorio può lasciare spazio via via alla specializzazione sportiva. E qui, 30 o 40 anni fa i sovietici ci insegnavano che i bambini diventavano adulti sempre prima e preparavano i loro campioni specializzandoli allo sport sempre più presto. E così avevamo ginnaste che a 8 anni avevano già deciso che volevano diventare delle campionesse della ginnastica, nuotatori che a quell’età avevano già deciso che volevano diventare dei campioni del nuoto e fondisti che per decidere che sarebbero diventati dei campioni del fondo aspettavano, forse, sì e no un paio di anni di più. Ma quella era l’Unione Sovietica, ha diffuso lo sport entro i suoi confini in modo capillare, ha “prodotto” un’infinità di campioni ma quel “prodotto”, parlando di sport, non ci piace neanche più di tanto e poi, un bel giorno, tutto è finito e 25.000 addetti ai lavori sono stati licenziati in tronco: fine di un’era.
Quel sistema è finito a livello organizzativo ma a livello culturale ha lasciato un’ impronta molto profonda e, tutto sommato, si fa sentire ancora adesso. Insomma, è inutile che ci nascondiamo dietro ad un dito, la smania di “produrre” campioni attraversa ancora tutte le federazioni sportive di tutti i paesi del mondo e se stiamo abbandonando un po’ quella mania di specializzare i bambini troppo presto è solo perché ci stiamo rendendo conto che, anche da un punto di vista della “costruzione” del campione, non è una bella scelta.
E così siamo tornati a capire che il bambino a 8 anni è semplicemente un bambino e non un campione in erba di qualsiasi sport. L’atletica vera si comincia attorno ai 13-14 anni, il calciatore è inutile che si faccia illusioni prima dei 15/16 anni e, proprio a questa età, una splendida ballerina può cominciare a capire che forse sarà una delle mezzofondiste italiane più forti di tutti i tempi (e questa è una bellissima storia vera alla faccia di chi ancora oggi si ostina a specializzare precocemente…).
Dunque, ripeto, se parliamo di bambini e ragazzini è molto sensato proporre più sport. Almeno da un punto di vista fisico.
Poi c’è una componente psicologica assolutamente non trascurabile. Ed è proprio qui che bisogna tentare di dare la massima possibilità di scelta al ragazzino, compatibilmente con le proprie possibilità finanziarie ed organizzative, per fare in modo che l’attività sportiva sia sempre gradita e vissuta con entusiasmo.
Mi spiego: non è detto che al ragazzino piaccia sempre migrare da uno sport all’altro a più riprese. Ci può essere il bambino che da subito si innamora di un solo sport e non lo abbandona più. Se quella è la sua propensione deve essere assecondata, se lui vive intensamente lo sport in quel modo, magari sorvegliando che la passione non diventi soffocante, si può proprio lasciare che il bambino scopra fin da subito tutti i dettagli dello sport del quale è innamorato. Chiaro che passione è una cosa e controllo della razionalità dei carichi di allenamento è un’altra. Non si potrà obbligare il bambino a praticare altri sport dai quali non è attratto ma si potrà certamente fare in modo che lui non “bruci” precocemente la sua cocente passione per il suo sport preferito. Così come non si può interferire sugli affetti di un adolescente ma si può chiedergli serenamente se può rimandare il matrimonio almeno fino al compimento della maggior età…
Dal punto di vista psicologico la problematica è molto complessa perché l’abitudine di migrare da uno sport all’altro può anche creare qualche problema. Può essere che questa abitudine rischi di limitare l’autentica passione per lo sport e, sia consentito ancora il paragone con gli affetti, il ragazzo può rischiare di diventare un collezionista che… le prova tutte ma non si innamora di nessuna. Per carità, sono filosofie diverse e c’è da dire che ai giorni nostri questa seconda è anche molto di moda ma, anche nello sport, non riuscire ad innamorarsi di nessuno sport, alla fine, è un limite.
Parlando di adulti le problematiche sono diverse. Anche qui se uno ha la possibilità di praticare più sport da un punto di vista fisico ne trae certamente giovamento mentre da un punto di vista psicologico bisogna sondare un po’ meglio per capire quale sia la scelta più opportuna.
Per l’atleta adulto usurato dal suo sport preferito è certamente consigliabile praticare anche altri sport, probabilmente riuscirà a controllare l’ardore agonistico più facilmente in sport che non ha mai praticato che non in discipline dove magari è da quarant’anni che compete.
Al contrario per l’adulto che fatica ad inserire l’attività motoria con una certa sistematicità nella sua vita continuare a cambiare sport potrebbe essere anche un atteggiamento poco utile. A volte l’adulto che continua a cambiare sport fa così perché dopo un po’ si annoia dappertutto. Se è una scelta obbligata per continuare a muoversi può andare anche così. C’è da dire che, competizioni a parte, dal punto di vista della preparazione è certamente più facile gestire la propria attività sportiva per un adulto che pratica quel determinato sport da decine di anni che non per quello che ha appena iniziato a conoscere un determinato sport.
Insomma esigenze fisiche ed esigenze psicologiche non sempre vanno di pari passo e, se da un punto di vista fisico la varietà degli stimoli motori è essenziale da ragazzini e quasi sicuramente utile anche da adulti, dal punto di vista psicologico la situazione è più complessa e deve essere ben ponderata non trascurando il fatto che il coinvolgimento emotivo è determinante in tutti gli sport ed a tutte le età. Se quello si scatena in un solo sport si può anche tranquillamente dire: “Meglio uno sport solo praticato come si deve che tanti sport fatti purchessia…”.
Forse questa scelta non sarà la migliore per il continuo sviluppo dell’alfabeto motorio ma si può ben dire che da questo atteggiamento alla specializzazione dei bambini dell’era sovietica di differenza ce n’è abbastanza.