In questa domanda c’è il succo di 40 anni di evoluzione dell’approccio alla preparazione nello sport di alto livello. Una volta prevaleva la teoria, adesso prevale la scienza. Ed a mio parere siamo tornati indietro.
Fra teorico e scienziato sul campo cambia tutto nel senso che il primo esperimenta con esercitazioni pratiche, prova e riprova e vede se riesce a scoprire qualcosa di nuovo. E’ un pioniere che va alla ricerca di qualcosa di strano che possa far emergere il suo atleta grazie ad acquisizioni nuove mai provate fino a quel momento. Il secondo non improvvisa nulla e applica con piglio professionale tutto ciò che è stato acquisito in laboratorio e dovrebbe dare solo risposte certe. In ossequio a tale principio le federazioni di alcuni paesi proponevano addirittura la fessurazione preventiva del tendine d’Achille per i mezzofondisti che si allenavano molto per non fare in modo che gli investimenti operati (è proprio il caso di dire “operati”…) su quegli atleti non avessero a fallire per colpa di una banale tendinite.
Il teorico è un artista, lo scienziato è un professionista che non può lavorare con la fantasia, deve applicare nel modo più corretto possibile quanto è già stato definito con certezza.
Per l’atleta probabilmente è più pericoloso sopportare i tentativi del teorico che non i protocolli rigidi dello scienziato.
Purtroppo la metodologia dell’allenamento sportivo può evolversi più velocemente grazie ai tentativi del teorico che non grazie alle applicazioni dello scienziato e di questo ce ne siamo accorti negli ultimi decenni dal momento che mentre la teoria è praticamente rimasta ai tempi dell’Harre, l’approccio scientifico ha fatto passi da gigante e nessuno si sogna più di buttare giù pastigliette come se fossero caramelle. I trattamenti medici hanno dei protocolli rigidi, sono costantemente monitorati e hanno tutti i crismi per migliorare notevolmente il rendimento dell’atleta senza farlo risultare positivo ai controlli antidoping. Una volta succedeva esattamente l’opposto: con i trattamenti farmacologici l’atleta migliorava di gran poco, inoltre era molto facile che fosse trovato positivo ai controlli e pertanto la ricerca di nuove teorie di allenamento era fondamentale per poter sperare di migliorare in modo decisivo.
La proposta della Federazione Inglese di atletica, che probabilmente è già caduta nel vuoto, di azzerare i record’s dell’atletica forse si poneva il fine di stimolare un ritorno alla teoria dell’allenamento sportivo. Ma chi specula solo attorno all’evoluzione delle pratiche di allenamento non può avere buon gioco contro chi si fa supportare da uno staff medico che mette in gioco tutte le acquisizioni recenti della medicina. E così negli sport di resistenza, per esempio, un atleta normalmente anemico con un ematocrito di circa 39-40 nulla può fare contro il collega che partendo dallo stesso ematocrito lo porta in modo assolutamente legale a 47 o 48. Contro questi “miglioramenti” nulla può la tecnica di allenamento che ha ambiti di miglioramento più contenuti.
Ci si domanda, alla luce delle nuove acquisizioni, se abbia ancora senso provare nuove metodologie di allenamento con mille incognite, quando c’è una strada ben collaudata e messa a punto che può garantire miglioramenti più che soddisfacenti senza rischiare più di tanto. Insomma una volta la salute la rischiava di più chi si dopava e prova ne siano gli innumerevoli problemi causati dal “veterodoping” sulla salute di un buon numero di atleti. Al giorno d’oggi la salute la rischia di più chi non si tratta farmacologicamente, quando, con allenamenti da cavallo tenta di stimolare miglioramenti almeno equiparabili a quelli di chi è supportato farmacologicamente.
In sintesi il teorico è uno sperimentatore, un empirista, lo scienziato non esperimenta un bel nulla applica solo ciò che gli da delle certezze. Ovvio che gli sponsor siano più orientati ad apprezzare l’atteggiamento di chi non improvvisa ed è fondamentale questa scelta che ha marcato l’evoluzione dello sport negli ultimi decenni.
L’abbattimento dell’istituzione dell’antidoping al momento pare pura utopia perché l’antidoping è elemento insostituibile e fondamentale per poter continuare a tenere in piedi il muro di omertà che aleggia attorno allo sport di alto livello, però questo abbattimento epocale (simile all’abbattimento del muro di Berlino…) potrebbe essere la mossa decisiva per far ripartire una nuova moda della teoria dell’allenamento. Ma i tempi non tornano indietro, gli sponsor non ci stanno a rischiare brutte figure e molti dicono che non siamo assolutamente pronti per la liberalizzazione del doping e tutti si metterebbero a doparsi come dei deficienti, anche gli amatori, con gli stessi mezzi dei professionisti, perché la creazione di una banca dati invece di diventare motivo di deterrenza diventerebbe motivo di contagio. Tutti vorrebbero doparsi come il grande campione. Se questo è il livello culturale dello sport odierno non ci resta che rimpiangere i tempi del vetero doping, quando il doping non era sistematico e pur se pericoloso, proprio in quanto pericoloso, era confinato ad un elite di pazzi scatenati. Adesso i pazzi scatenati sono quelli che non si dopano, il doping non si chiama più nemmeno doping, o meglio si chiama così quando per esigenze di “trasparenza” bisogna far fuori qualche atleta e se pensano di competere evolvendo le teorie di allenamento di 40 anni fa sono un po’ degli illusi. Illusi pionieri di un mondo che, anche se pare caduto in ostaggio della farmacologia, è comunque in continua, lenta evoluzione.