Liberiamoci per un momento delle categorie classiche di “pesantezza” e “leggerezza” della corsa riferite ad un piano tecnico.
Non immaginiamo “leggera” la corsa di un campione che sfiora la pista mentre si appresta a superare il turno in assoluta scioltezza di una batteria di qualificazione delle Olimpiadi, non valutiamo “pesante” la corsa di un tapascione di 90 kg che si trascina al traguardo alla fine di una corsa stracittadina dopo aver fatto male i conti sulla sua capacità prestativa in rapporto alla distanza di gara.
Pensiamo ad un’altra categoria di leggerezza e pesantezza più filosofica, quella dei romanzi, mi viene in mente il famoso “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera (a proposito: sarebbe esistito un Milan Kundera come lo intendiamo noi senza l’apparizione di quel romanzo oppure sarebbe stato come un Pietro Mennea senza record del mondo sui 200 metri?).
Se devo andare a quel concetto di leggerezza e pesantezza riferito allo sport in genere vado subito al film “Momenti di Gloria” che, trattando di fatti delle Olimpiadi di Parigi del 1924, narra in modo sublime l’atteggiamento del velocista Abrahams, vincitore dei 100 metri. L’attore che interpreta Abrahams è Ben Cross e rende perfettamente l’intensità agonistica dell’atleta in un conflitto interiore lacerante che è decisamente “pesante” nel senso importante del termine. Non è un ruolo leggero e scanzonato, tutt’altro, un ruolo denso di passione e pathos che l’attore interpreta molto bene. La parte di Ben Cross-Abrahams velocista richiama molto alla drammatizzazione agonistica del nostro grande campione Pietro Mennea che per questo suo atteggiamento ha costruito risultati grandiosi ma anche patito sconfitte evitabili in situazioni dove questa grande tensione avrebbe potuto essere gestita in modo migliore.
Questa enfatizzazione “leggero-pesante” è messa bene in evidenza in un altro grande film di sport che è quel film documentario sull’incontro di Boxe fra Cassius Clay e George Foreman nel 1974, a Kinshasa. Il film si intitola “Quando eravamo re” e indugia parecchio sul ruolo di Cassius Clay accentratore di attenzione nei confronti della stampa, spavaldo e sicuro di sé all’inverosimile, pronto a recitare quel ruolo leggero ed entusiasmante che la folla vuole da lui. In realtà Foreman è dato per netto favorito da tutti e anche gli scommettitori non nascondono ciò pagando molto di più un eventuale successo di Cassius Clay che non quello ampiamente prevedibile di Foreman. La scena di poco prima dell’inizio dell’incontro, quando Cassius Clay si rende conto che ha recitato un copione che adesso, alla prova dei fatti, sarà decisamente difficile da sostenere, è di una pesantezza infinita. Ad un certo punto, dice la voce narrante, nello staff tecnico c’era addirittura il terrore che Cassius Clay potesse uscire veramente male dall’incontro, si temeva addirittura per la sua salute più che per l’esito dell’incontro.
Poi il documentario rende leggenda ciò che si era già trasformato in leggenda anche senza bisogno del film. L’incontro è leggendario perché dimostra che anche la Boxe ha grandi margini di imprevedibilità e dopo 8 eterne riprese il Cassius Clay vittima sacrificale di uno show insostenibile diventa un gigante più grande di quello narrato alle conferenze stampa, non solo resiste eroicamente ai colpi del super favorito Foreman ma nel giro di pochi istanti magici, e questo film è splendido nel mettere in scena questa magia, diventa padrone dell’incontro. Per 8 eterne riprese Foreman ha giocato il ruolo di favorito che deve solo trovare il modo migliore per annullare l’avversario, in pochi istanti Cassius Clay cambia la storia e su questo cambiamento non indugia più di tanto, giusto il tempo per capire che è scattata una magia strana e Foreman si ritrova al tappeto.
Non c’è un fatto tecnico qui, c’è un gioco di leggerezza e pesantezza magico. In tutto il preincontro Cassius Clay è decisamente il protagonista, l’accentratore di attenzione che racconta tutto quello che vuole, alla faccia delle previsione dei tecnici. La sua leggerezza è leggendaria ed anche se sembra ridicolo e quasi un po’ patetico, lui continua ad ignorare chi dice che quell’incontro è semplicemente pericoloso e non andrebbe nemmeno disputato tanto è netta la supremazia di Foreman. Negli istanti immediatamente precedenti l’incontro si percepisce la pesantezza assoluta, quella di chi ha eroicamente ignorato la realtà pur di dare in pasto sé stesso ancora una volta al pubblico. Quella pesantezza è talmente grave che costituisce i presupposti per il trionfo finale. Cassius Clay va sul ring sapendo di rischiare di prenderne veramente troppe. Resiste, resiste e resiste ancora quanto ha resistito a mentire a sé stesso per sostenere ciò che voleva il suo pubblico. Gli ultimi istanti vanno oltre la Boxe e non basta un film ne tanto meno un trattato scientifico per poterli spiegare. Nello sport, per fortuna “resiste” sempre l’insondato e l’imprevedibile, anche se ci sentiamo sempre più vicini a costruire l’atleta robot che non può perdere. Finché esiste lo sport l’atleta che non può perdere non esisterà perché quella è la magia dello sport.
Trattando di queste categorie di leggerezza e pesantezza mi domando se è più leggera la corsa del campione che sfiora la pista o quella del tapascione che si trascina al traguardo in qualche modo.
Mi rispondo che quella del campione è più leggera per motivi che nulla hanno a che vedere con il riscontro estetico. La corsa del campione è leggera perché che lui vinca o perda, salvo casi più unici che rari, quali per esempi il mitico in contro di Kinshasa sopracitato, non cambia di molto il corso della storia. La storia dello sport è fatta di campioni che vincono in alternanza, più questa alternanza è varia più lo sport è entusiamante perchè lo rende imprevedibile ma la storia cambia poco se il vincitore è Tizio, Caio o Sempronio.
La corsa del tapascione è “pesante” in senso buono, non perché il tapascione può pesare anche 90 kg ma perché la corsa del tapascione è più difficile proprio perché prodotta da un soggetto che ha grandi difficoltà oggettive a produrla. E’ pesante perché è corsa per la salute perché non cambia l’esito dello sport ma cambia l’esito delle condizione di salute di una persona. Se il campione perde resta sano lo stesso. Il tapascione perde quando rinuncia a praticare lo sport e ci perde in salute, non perde quando arriva ultimo, anzi, quando arriva ultimo vince più degli altri perché è il miglior testimonial dello sport per la salute, è quello che dimostra che si può competere anche se si è veramente scarsi perché la lotta per la salute è veramente sacrosanta. La corsa del tapascione è “pesante” perché è importante, è fondamentale, per certi versi leggendaria come le gesta di Abrahams come quelle di Cassius Clay. Certamente non è una brutta “pesantezza”.