Spero che ‘sta buriana del Covid finisca quanto prima (e vorrei vedere chi non spera che finisca presto…) ma mi tocca dire che abbiamo perso un’ottima occasione per lanciare come si deve l’attività fisica all’aperto. Se non ci siamo riusciti fino ad ora temo che non ci riusciremo nemmeno se il Covid continua a torturarci ancora per molto. C’è un’ altra cosa ancora più importante che poteva andare di pari passo con la scoperta dell’essenzialità dell’attività fisica all’aperto e non ha avuto l’attenzione che doveva avere in questo momento drammatico perché non è stata messa in relazione con il Covid ed è stata considerata come un problema a se stante, procrastinabile dopo l’emergenza Covid: il problema della mobilità nelle nostre aree urbane. Mobilità urbana a e attività fisica all’aperto sono strettamente correlate e in modo meno trasparente, ma non impossibile da capire, lo sono anche i danni perpetrati dal Covid con quelli perpetrati dall’inquinamento. Questi danni sono fortemente collegati fra loro perché la maggior parte dei soggetti che hanno avuto la peggio hanno accusato gravi problemi polmonari ed essenzialmente sono andati all’altro mondo proprio per quello. Tutti sappiamo quanto l’inquinamento danneggi i polmoni e non è difficile capire come una vera lotta all’inquinamento (ovviamente anticipata rispetto alla disgrazia del Covid) avrebbe potuto renderci prede più difficili da prendere da questa terribile malattia.
Non ci siamo mossi nè in un senso nè nell’altro. Quasi nulla è cambiato nelle nostre città cronicamente affollate di traffico automobilistico dove anche l’utilizzazione dell’inquinantissimo gasolio viene ancora tollerata ed anzi si firmano addirittura deroghe per non creare disagi alla popolazione in questo difficile momento. Non si tratta di togliere il gasolio da un giorno all’altro ma come minimo di far capire che il problema esiste e, potenziando i mezzi pubblici, disincentivare l’uilizzazione del mezzo privato che inquina in modo insostenibile. In questo panorama pensare che si potesse cogliere l’oocasione per lanciare l’attività fisica all’aperto, che è essenziale come profilassi sanitaria di tutta la popolazione, era folle utopia. Anche in tal senso non è stato fatto praticamente niente e le centomila strutture private sparse sul territorio continuano a funzionare sul modello della palestra privata che offre servizi esclusivamente al chiuso. Un modello di insegnante a disposizione di chi fa attività fisica all’aperto senza chiudersi in palestra sia esso un insegnante offerto dalle strutture pubbliche o anche un fantomatico personaggio messo a disposizione da privati lungimiranti (chi ci sta a rischiare di sgretolare la moda dell’attività fisica al chiuso?) non è proprio stato inventato e l’atteggiamento di una signora che molto educatamente l’altro giorno ci ha chiesto se dava fastidio con il suo cane in un parco pubblico mi è sembrato quello di un marziano.
Ho condotto parecchi corsi all’aperto in questo periodo e quando dicevo dell’idea che avevo in testa prima di metterla in pratica tutti mi dicevano: “Vedrai che troverai qualche problema a gestire l’attività quando ci sono i bambini che giocano!…”.
Niente di tutto ciò, il problema è stato ben altro, anzi dove c’erano i bambini che giocavano questo problema era pure meno sentito. Il problema era quello delle deiezioni dei cani e dove c’erano i bambini che giocavano ce n’erano meno un po’ per il rispetto dei padroni dei cani e un po’ per la furia delle mamme dei bambini che proprio non ci stavano a vedere il pargolo che tornava a casa con il ricordino incastrato sotto la suola della scarpa.
Insomma la cultura dei parchi urbani è che se non ci giocano i bambini è il luogo ideale per farci fare i bisognini del cane. Il comune cittadino che occupa un’area verde per camminare correre o fare ginnastica non è una cosa normale, lo è solo se ha meno di dodici anni e va lì con un pallone, allora visto che il calcio è lo sport nazionale (e ci mancherebbe dopo gli esaltanti successi della nazionale) forse è meglio che spostiamo il cane a fare i bisognini nell’area appositamente dedicata a questo.
Così la signora che prima ancora di entrare nell’area verde chiede a noi che stiamo facendo ginnastica se da fastidio con il cane è un personaggio di un altro pianeta, sembra quasi che la norma siamo noi che facciamo ginnastica e non lei che porta il cane a zonzo in un area che non sarebbe per cani. Le ho risposto che l’eventuale fastidio arrecato dipendeva da che intenzioni aveva il cane ma è stata una risposta abbastanza falsa perché la vera risposta era “Ma signora perché mi chiede questo? Non sa che tutti qui partono dal presupposto che queste aree sono essenzialmente per i cani e se uno vuole mettersi a fare ginnastica deve prima passare a raccogliere i ricordini lasciati in giro da padroni strafottenti (e non da cani distratti…) che non ipotizzano nemmeno che si possa fare attività fisica all’aperto? L’attività fisica si fa solo al chiuso e se non hai i soldi per pagarti la palestra stai a casa con qualche macchina infernale comprata su Internet che ce ne sono tante per chi vuole scimmiottare in casa le cose che vanno tanto di moda in palestra.
Insomma la cultura dell’attività fisica all’aperto è ancora molto distante così come la cultura delle città vivibili a misura d’uomo dove si va più a piedi ed in bici che in auto o al limite con il mezzo pubblico e l’auto la usa solo chi proprio non può farne a meno per motivi di salute o per altri motivi imprescindibili.
Il Covid non c’entra proprio nulla, è semplicemente quella malattia che, oltre ad ammazzare gente sana, ha devastato i polmoni di tanta gente che già aveva problemi legati a sedentarietà ed inquinamento. Poi è anche quell’accidenti che poteva farci capire che quando ci hanno chiuso in casa hanno minato la nostra salute in modo drammatico per proteggerci dal virus ma di questo non s’è ne è reso conto nessuno. Forse, se l’avessimo capito, adesso non saremmo a rintanarci di nuovo al chiuso per fare cose che si possono fare benissimo all’aperto.