Non c’è dubbio che nel linguaggio dell’attività motoria entrino anche i numeri e ve ne sono anche alcuni che io faccio entrare in modo un po’ ossessionante in questo linguaggio tipo “20 milioni”. “20 milioni” di italiani che fanno troppo poca attività motoria sono un numero stratosferico, sono la cifra del fallimento del sistema di distribuzione dell’attività fisica nel nostro paese.
Ma al di là di questi numeri che colpiscono la fantasia nell’immediato (tipo “oltre 100 miliardi”: il bilancio dell’assistenza sanitaria che dovrebbe essere quello di un sistema che funziona alla perfezione, con tanto di prevenzione super collaudata, invece di essere un sistema che spende un’infinità sui cinquantenni che dovrebbero essere sani e che considera per prevenzione una serie di esami da fare a soggetti che si sono rovinati la salute anzitempo per colpa della sedentarietà) c’è la moda di usare troppo altri numeri che non possono definire con attendibilità alcune questioni legate all’attività motoria. Sto riferendomi all’aspetto meramente tecnico dove con numeri “maldestri” si vanno a formulare ipotetiche tabelle di allenamento che non possono assolutamente sostituire imprescindibili lunghi e complessi discorsi legati alla formulazione di un piano di preparazione fisica.
Con i numeri si schematizzano ipotetiche tabelle di allenamento riassumendo in pochi concetti ripetitivi un processo di allenamento che al momento viene regolato in modo accettabile solo con estro artistico e non con piglio scientifico. Con piglio scientifico si riesce a modulare solo l’approccio farmacologico all’attività sportiva ma quello, si sa, ha senso solo con riferimento agli atleti professionisti (e, secondo alcuni, nemmeno per quelli). Per l’intervento farmacologico è raccomandato un approccio di tipo scientifico con tanto di dosaggi, di monitoraggio bioumorale e di controllo di certi parametri fisiologici che non devono assolutamente superare certi valori, per motivi legali, di salute e anche di rendimento sportivo dell’atleta che deve rendere al massimo perché dopo, giustamente, ha a che fare con altri numeri che sono quelli relativi alla determinazione dei suoi rimborsi spese (chiamiamo eufemisticamente così cifre che dovrebbero essere simboliche ma nella maggior parte dei casi sono di molto superiori ad uno stipendio di un cittadino qualunque di una professione qualunque…).
Quando invece ci arrangiamo con frutta e verdura possiamo già discostarci dalla politica dei numeri e possiamo cominciare a fare ad arte, senza nemmeno chiedere a nessuno scienziato, perché quando ho voglia delle fragole piglio le fragole, quando ho voglia dell’insalata piglio l’insalata, insomma nel soggetto sano la quantità di frutta e verdura si riesce a modulare bene senza l’intervento di nessun luminare. E così, con riferimento all’attività fisica all’aperto, fin tanto che si tratta di attività fisica per la salute può essere valutata senza grossi problemi anche da chi la pratica agendo “ad arte” sulla base della propria esperienza personale e nella consapevolezza di non commettere grossi errori se non piccole sviste facilmente rettificabili di volta in volta in base alle proprie sensazioni. Quando andiamo a parlare di attività sportiva di alto livello, invece, il mondo si divide in due perché c’è la categoria degli illusi, tipo il sottoscritto che ti dice che è ancora un’arte e anche se ci dedichi otto ore al giorno o più come una vera e propria professione è comunque un’ arte e poi c’è la categoria degli scienziati che ti dice che, se non vuoi rischiare con la salute, devi schematizzare tutto cominciando proprio dal monitoraggio dei parametri bioumorali e dalla conseguente regolazione di questi con interventi esogeni. Insomma, trattando di sport di alto livello alla fine quelli che rischiano non sono quelli che buttano giù farmaci di tutti i tipi (ancorché non “dopanti” perché dovranno risultare costantemente negativi ai controlli antidoping) ma quelli naif che vanno ancora all’antica, a sensazione, come se lo sport fosse ancora un’ arte. Che poi sono anche quelli che finiscono positivi ai controlli antidoping perché se pigliano una qualsiasi fesseria che risulta ai controlli verranno immediatamente scoperti e sanzionati. Al di là di quest’ultimo dettaglio che non è del tutto ininfluente per capire un po’ lo sport di alto livello, ci tocca drammaticamente affermare che al giorno d’oggi anche un grande campione che voglia tenere il passo con i professionisti dello sport è comunque costretto a carichi di allenamento un po’ esagerati che davvero possono diventare pericolosi se non supportati da alcun ausilio farmacologico. E così, per assurdo, è proprio il caso di dire che hanno ragione gli scienziati nel senso che, ad alto livello, lo sport è sempre più numeri e meno parole, sempre più scienza e meno arte.
Ecco io ho ancora molta passione per lo sport intriso di parole, anche se non alimentano il sensazionalismo televisivo, perché ritengo che quello dei numeri sia un po’ noioso. Per certi versi sono malato anch’io un po’ di sensazionalismo solo che il mio sensazionalismo non è quello televisivo del campione che fa nuovi record con nuovi numeri che scaturiscono da altri numeri bensì quello dell’atleta non professionista che fa risultati sensazionali partendo da un’ arte. Il mio atleta ideale non è quello che produce risultati a raffica con una continuità stordente bensì quello che, non si capisce perché, ogni tanto, per sbaglio, vince anche se non era scritto da nessuna parte che dovesse vincere. Trovo che la vera arte sia quella, il resto è scienza, molto apprezzabile ma giustamente anche molto prevedibile.