Mi creo subito un gran numero di potenziali detrattori dicendo che per conto mio è situata fra i 20 ed i 25 anni.
In Italia invece c’è la moda di stressare i giovani con l’attività agonistica già a 16-18 anni così ai 20 non ci arrivano nemmeno perché mollano prima. Se ottengono risultati di valore assoluto restano nello sport impegnandosi sempre di più altrimenti a 20 adducono la motivazione che hanno impegni sociali improcrastinabili per arrendersi ad un’attività sportiva quasi di tipo amatoriale senza più velleità agonistiche autentiche e di una certa importanza.
Issare bandiera bianca a 20-22 anni nello sport per conto mio è una cosa scandalosa perché è proprio a quell’età che, se uno ha fatto le cose come doveva farle, comincia a pensare in grande. Penso al tormentone dei classici “Campionati italiani” ai quali molti giovani di molti sport ambiscono a partecipare come manifestazione qualificata e palcoscenico di una certa importanza. E’ vero che partecipare ai campionati italiani può essere un bell’obiettivo ma devi parteciparci a vent’anni, quando sei maturo a livello sportivo, non a 16 quando sei ancora un bebè dello sport. Molti partecipano ai campionati italiani nelle categorie giovanili solo in virtù di uno sviluppo fisico precoce che consente l’ottenimento di risultati minimi di partecipazione senza grossi problemi
E’ chiaro che le motivazioni al risultato in quell’età sono molto forti e anche il ragazzo al quale manca qualcosa per ottenere un determinato minimo di partecipazione trova gli stimoli per incrementare ed ottimizzare la preparazione per giungere a quel risultato ma ci si domanda se tale atteggiamento sia sensato e utile per il proseguimento dell’attività.
Sono indubbiamente pressioni sociali di un certo tipo e rinforzare la motivazione e così pare che partecipare ad un campionato italiano di categoria giovanile sia questione di vita o di morte mentre partecipare ad un campionato italiano della categoria assoluta, che è quello che da il sigillo di una preparazione ben condotta che ha fatto maturare l’atleta al momento giusto, sia un inutile e assurdo capriccio. Tanto per dare i numeri in atletica leggera pare che sia più importante andare a correre la distanza degli 800 metri in 1’49” da giovani per giocarsi delle possibilità di buon piazzamento nelle categorie giovanili che non andare a correre in 1’46” qualche anno più tardi col rischio di restare fuori dal novero di quelli che contano.
Dal mio punto di vista, punto di vista forse strano, quando corri in 1’49” per giovane che sei sei ancora a 5 secondi dall’elite mondiale, mentre quando corri in 1’46”, anche se rischi di restare fuori dalle manifestazioni che contano, sei comunque ad un passo (due secondi) dall’elite mondiale. Che possa essere più facile per il tipo di strutturazione del nostro sport per un giovane correre gli 800 sotto ad 1’50” a 17 anni che correre in 1’46” a 22 anni è pure possibile ma se dopo aver corso veloce da minorenne quando devi fare sul serio non ci sei più perché ti occupi di ben altre cose, quella, da un punto di vista sportivo, è una inequivocabile sconfitta.
Per conto mio, per non incappare in tali accadimenti, bisogna fare due cose: 1°) Non incensare troppo quegli atleti delle categorie giovanili che o per precocità di sviluppo fisico o eccesso di carico di allenamento in tenera età ottengono risultati a dir poco sorprendenti nelle categoria giovanili, quei risultati, per quanto sorprendenti a 16-17 anni, hanno in valore assoluto un significato non altrettanto apprezzabile e non sono garanzia di alcun miglioramento sicuro nelle categorie successive, tutt’altro, da un punto di vista statistico sono una discreta spada di Damocle con riferimento alla possibilità di sperare una grande continuità di miglioramento anche nelle categorie successive. 2°) E opportuno incentivare il giovane non più troppo giovane che a 22-23 anni inizia a fare risultati di un certo significato pur non avendone mai fatti in precedenza. Quello, almeno sulla carta, ha ancora più possibilità di emergere a livello internazionale di quel giovane che già primeggiava nelle categorie giovanili. Sicuramente chi giunge ai buoni risultati un po’ più tardi non si trova con un motore usurato precocemente e quella è un’ottima premessa per buoni risultati futuri.
Insomma come tecnici dobbiamo schiarirci le idee se l’attività agonistica giovanile sia un fine per avere dei buoni atleti giunti all’età del massimo rendimento o se l’attività giovanile agonistica abbia degli obiettivi fine a sé stessi raggiunti i quali chi si è visto si è visto e se il giovane prosegue con entusiasmo nelle tappe successive bene, altrimenti amen.
Io propendo per la prima ipotesi e sono convinto che l’attività giovanile agonistica deva essere funzionale ad una buona prosecuzione dell’attività successiva poi, se impellenti questioni sociali dicono che a 25 anni bisogna già essere inseriti in posizioni di vertice nel mondo del lavoro, quelle sono questioni sulle quali non metto becco. Anzi lo metto solo per dire che per conto mio quella è pura follia.