Quando critico in modo insistente l’arcaico istituto della valutazione nella scuola non lo faccio per il gusto di portare sconquasso in un mondo che continua a reggersi fondamentalmente su quello ma perché sono fermamente convinto che l’entusiasmo sia un fattore di rendimento di indiscusso valore.
L’istituto della valutazione scolastica com’è concepito tarpa le ali dell’entusiasmo nella maggior parte della popolazione scolastica. Si salvano solo i cosiddetti “secchioni” onnipresenti, coloro che vivono sulla valutazione scolastica, coloro che quando portano a casa un buon voto sono osannati da genitori che riescono ad afferrare della scuola soprattutto il concetto “buoni voti oppure cattivi voti”.
Nel contrastare questa mia convinta critica all’istituto della valutazione mi si fa un parallelo con il mondo dell’atletica e mi si dice “E’ come se in atletica bandissimo l’uso del cronometro, non ha più senso fare atletica…”.
Questo paragone non regge, intanto perché il cronometro in atletica cominciamo ad usarlo più o meno a tredici anni mentre il voto a scuola si comincia ad usarlo praticamente fin dai primi giorni di scuola e poi perché anche nelle età successive non si tortura mai l’atleta con le risultanze cronometriche ben sapendo che è importantissimo tenere alto l’entusiasmo pena uno scadimento generale di tutto il processo di allenamento.
La meritocrazia esiste anche nell’atletica non c’è dubbio. Il primo prende la medaglia e l’ultimo non piglia niente. C’è da dire che l’ultimo non viene bocciato e, se ci crede può riprovarci ulteriormente. In ogni caso la gratificazione di vincere è già più che sufficiente per dare a stimoli a continuare e penso che anche se non ci fosse la medaglia l’atleta che vince sarebbe comunque spronato a continuare la sua attività sportiva.
Così penso che a scuola la consapevolezza di un buon apprendimento sia fortemente motivante nei confronti di uno studente che impara facilmente anche senza che questa qualità di apprendimento sia sancita da un voto che finisce per creare seri problemi a chi purtroppo non ha tali doti e si vede doppiamente penalizzato in primo luogo da problemi di apprendimento ed in secondo luogo da valutazioni che devono assoltumente essere rimediate (con il cinque ti bocciano, non è che ti dicano “dai che ce la puoi fare…).
Pertanto lo studente in crisi è doppiamente stressato da problemi concreti nell’apprendimento e da problemi fittizi che gli vengono creati proprio da colui che dovrebbe motivare lo studente e metterlo a suo agio per poter rendere di più.
Nella nostra scuola la vera motivazione è studiare per non essere bocciati o comunque per uscire con voti molto alti, non studiare per il gusto di apprendere, di capire le cose.
Il giorno che un professore pazzo scatenato entrasse in aula dicendo “Per quanto riguarda la valutazione sappiate che nella mia classe se vi comportate educatamente e partecipate ad un certo numero di lezioni avete comunque la garanzia di essere promossi”, una buona metà della classe si metterebbe a tirare i remi in barca e si metterebbe a non far nulla perché questo è il substrato culturale della scuola italiana.
La scuola è quel luogo dove se studi ti promuovono, se non studi ti bocciano e pertanto bisogna apprendere in primo luogo tutta una serie di strategie, alcune anche di bassa lega, per arrivare ai buoni voti quali imparare a “copiare” ed imparare a capire cosa vuol sentirsi dire il professore.
Io sostengo che l’istituto della valutazione deva essere rivisto e come minimo contenuto nel suo peso e nella sua importanza perché bisogna liberare l’entusiasmo nei ragazzi. Bisogna acquistare una fiducia incondizionata che non deve dipendere solo dal fatto che ti voglia bocciare o meno. Sempre fra lo studente che rischia di essere bocciato e l’insegnante molto severo si instaura un rapporto di terrore che con la fiducia non c’entra niente. L’allievo studia certamente ma non per amore della materia, solo per non essere bocciato ed il giorno che vede la tanto sospirata promozione avrebbe voglia di gettare il testo scolastico fra le fiamme.
Chi vive il mondo dello sport ha una percezione più immediata dell’importanza del fattore entusiasmo nel miglioramento del rendimento sportivo. Chi vive fra i banchi forse fa un po’ più fatica a percepire questa importanza. Allora forse è il caso che noi operatori sportivi andiamo a comunicare queste nostre impressioni perché è giusto che ci sia un certo scambio culturale anche fra quanto appreso sui campi sportivi e quanto appreso sui banchi.
Purtroppo in Italia questa collaborazione non è mai esistita ed un insegnante di educazione fisica che si permetta di dare dei suggerimenti ad un insegnante di italiano o di matematica è una pura eresia. Non sono nemmeno sullo stesso livello, uno è l’insegnante della ricreazione l’altro è l’insegnante delle materie che contano. Peccato che a volte l’allievo sia molto più autentico a ricreazione che quando è in aula. Perché quando in aula deve convivere anche con l’incubo della valutazione e non è nemmeno sufficiente che sia semplicemente educato può essere che sia utile che sia pure ruffiano andando ad alimentare un clima di ipocrisia che si scioglierebbe come neve al sole se una volta per tutte decidessimo che a scuola non è importante avere buoni voti ma imparare davvero. Questa stupidata l’aveva capita pure quel tontolone di Einstein, che non aveva buoni voti.