L’ANNOSA DISPUTA FRA METODO DELLE PAUSE E CORSA CONTINUA NELLA PREPARAZIONE DEL MEZZOFONDO E FONDO IN ATLETICA

Questo lungo titolone è un titolone di 40 anni fa perché quella “annosa” disputa è una disputa che non esiste più, spazzata via dal vento dei cardiofrequenzimetri che all’incirca quarant’anni fa hanno iniziato ad inquinare la preparazione degli atleti di medie e lunghe distanze portando leggende con substrati pseudo scientifici tutti da dimostrare.

Io che sono un inguaribile nostalgico (direi pure “romantico” se non fosse che è un pochino presuntuoso e dopo qualcuno me lo sostituisce con un più atterrante “rinco”) ricordo ancora quella disputa, la ritengo terribilmente attuale e affermo che come minimo quell’argomentare su metodo delle pause e metodo della continuità sosteneva implicitamente una grande verità che è andata inesorabilmente smarrita: ci si può allenare in tanti modi diversi e tutti possono essere giusti e pertanto è più che lecito sperimentare perché in teoria e metodologia dell’allenamento nessuno ha la verità in tasca come ci insegnavano nei buoni ed antichi ISEF.

Quella disputa faceva capire che vi sono tanti metodi di allenamento quanti sono gli atleti e pertanto non ha nessun senso standardizzare la preparazione e che ognuno deve cercare il tipo di preparazione che si adatta alle proprie caratteristiche. Non è l’atleta che si deve adattare agli schemi di allenamento (questo non l’hanno mai sostenuto nemmeno i sovietici ed i tedeschi est, che quanto a sistemi di preparazione erano belli rigidi ma con quello che investivano su ogni singolo atleta non avevano alcun interesse a fracassarlo sull’altare del dogma scientifico) ma l’allenamento che va continuamente rivisto e rettificato sulle base delle reazioni dell’atleta e pertanto se l’atleta deve fare tanta fatica per allenarsi è anche vero che l’allenatore ne deve fare ancora di più per fare in modo che questa fatica sia razionalizzata e non sprecata in nome di una preparazione troppo semplice da formulare. Da questo punto di partenza si arrivava alla conclusione che ogni tentativo di schematizzazione era assolutamente inopportuno e che per quanto riguarda la programmazione sì, a grandi linee, forse, si poteva pure immaginare la preparazione del giorno dopo, salvo andarla a rivedere completamente al verificarsi di stati di adattamento o “non adattamento” del tutto imprevisti.

Andando nel dettaglio, per far capire il ventaglio di possibilità applicative dei vari metodi si andava dal maratoneta che invece di fare un lungo lento da 30 chilometri si faceva tre prove sui 10 chilometri a ritmo leggermente più lento di quello di gara (tipo tre volte 37′ sui 10.000 per chi valeva due ore e 30′ sulla maratona) all’ottocentista che in periodo invernale valendo 1’50” sugli 800 invece che correre tre volte i 600 metri in 1’30” (cosa che poi in periodo agonistico avrebbe dovuto essere fatta sul piede di 1’25”-1’26”) si limitava a correre… 50 volte gli 80 metri in 10″5 o anche più piano. Praticamente c’erano ottocentisti che si allenavano con modalità tipiche del maratoneta e maratoneti che, pur nell’adozione di carichi di allenamento tipici da maratoneta, usavano sistemi che sembravano più mutuati dalla preparazione dell’ottocentista (tipo solo tre frazioni di gara di qualità assolutamente non trascurabile).

E così c’era anche l’ottocentista che correva il lungo lento come un maratoneta oppure il maratoneta che si metteva a correre distanze in pista che non c’entravano nulla con le tipiche scarriolate di 1000 moderne vicine alla “soglia aerobica”. La soglia aerobica inquinava poco i pensieri dei corridori di lunghe distanze perché più o meno tutti avevano l’ambizione di riuscire a migliorare in altre distanze oltre alla loro specifica. E così c’era il maratoneta che voleva prendersi lo sfizio di correre gli 800 in meno di 2′ anche se non aveva nemmeno corso una maratona in meno di 2 ore e 20′ (al giorno d’oggi ti dicono che se corri gli 800 in meno di due minuti come base sei già pronto per correre la maratona in meno di  2 ore e 12′) oppure c’era il millecinquecentista da 3’55” che voleva pure correre i 5000 in meno di 15′ anche se non assolutamente necessario perché riteneva che fosse opportuno funzionare discretamente un po’ su tutte le distanze. Secondo alcuni era una preparazione meno scientifica, secondo altri era semplicemente una preparazione più completa e non c’erano paurosi muri di velocità su atleti nemmeno troppo specializzati o mancanza assoluta di confidenza con la corsa lunga da parte di mezzofondisti veloci che gareggiavano soprattutto su 800 e 1500.

C’era un pochino più rispetto per le stagioni (che grazie al cambiamento climatico sono cambiate…) e si tendeva ad andare fuori forma d’inverno provando sistemi di allenamento particolari per andare in forma nei mesi della stagione all’aperto. Adesso, complice una maggior diffusione delle indoor e di un calendario della strada che assolutamente non conosce stagioni, da quel punto di vista ognuno fa a modo suo. In quel senso l’atleta moderno ha acquistato autonomia: non c’è più una stagione dettata dal clima ma una stagione dettata dall’impegno agonistico, dalle situazioni personali. C’è chi va in forma ad aprile e chi a novembre, chi a febbraio e chi ad agosto. A volte con questa varietà si fa un po’ di casino e si trascura che dentro di noi c’è comunque un orologio biologico che tende ad andare per conto suo anche se le gare sono collocate in momenti sempre più strani. E così se i mesi dell’atletica sono luglio e agosto hai voglia a creare un vero picco di forma a febbraio solo perché ci sono un paio di gare indoor. Oppure se il mese della maratona è aprile o marzo hai voglia ad andare in forma in autunno perché c’è New York o Berlino. Insomma ogni atleta fa i conti con la sua passione e decide personalmente quando è la sua primavera o la sua estate. E’ certo che non si possono creare due o tre picchi di forma in un anno perché alla fine saranno due o tre falsi picchi di forma dove in nessuno di questi si sarà dato veramente il massimo.

Forse, alla base della soppressione della disputa fra metodo della corsa continua e metodo della corsa interrotta da pause sta proprio questa nuova calendarizzazione degli impegni agonistici che non permette nemmeno agli atleti di medio e basso livello di avere un periodo dell’anno nel quale si può davvero sperimentare e andare decisamente fuori forma. E così sono vietati i periodi di grande volume di allenamento per i mezzofondisti di tipo veloce perché tendono a mandare inequivocabilmente fuori forma così come sono vietate le migrazioni un po’ troppo spinta dei maratoneti verso le distanze brevi perché possono compromettere la messa a punto di una certa maratona. Diciamolo chiaro e tondo: un maratoneta discreto che dopo una buona maratona primaverile ha in testa di andare a Berlino a fine settembre con il cavolo che pensa ad andare per la prima volta in vita sua sotto i 4′ sui 1500 in luglio o in agosto. In luglio o in agosto sarà già alle prese con le corse per sostenere la nuova maratona autunnale che vorrà correre, che so, in 2h e 18′ o 2h e 17′ e di fare meno di 4′ sui 1500 non gliene frega proprio niente anche se potrebbe essere premessa per preparare in futuro una maratona da due ore e 13′ anziché due ore e 18′.

Insomma la disputa fra vari metodi di allenamento anche molto diversi fra loro pare un lusso improponibile, un gioco d’azzardo che se per i professionisti si capisce benissimo che è pure pericoloso affrontare, per gli atleti non professionisti dovrebbe essere un gioco assolutamente lecito. Forse sono solo vecchio ma ho la strana sensazione che ci si divertisse di più un tempo. Facevamo sul campo quello che adesso gli appassionati di cucina fanno in cucina: continuavamo a provare cose nuove. Del resto sono proliferate le trasmissioni di cucina, non quelle di atletica…