Per “allievo” nelle categorie della Federazione di Atletica s’intende un ragazzo di età compresa fra i 16 ed i 17 anni. In questo mio articolo per allievo intendo proprio un ragazzo più o meno di quell’età dove il limite si può anche estendere in alto verso la categoria Junior considerando anche i diciottenni ed in alcuni casi (forse meno soggetti, purtroppo e poi spiegherò perché questo “purtroppo”…) alcuni quindicenni o quattordicenni ma dove non mi riferisco solo allo sport ma anche e oserei dire “soprattutto” alla scuola. Per cui “allievo” inteso come studente di età compresa più o meno fra i 16 ed i 18 anni che va normalmente a scuola e che praticamente normalmente un’attività sportiva (scusate se io ho questo concetto strano che un ragazzo sano di quell’età deve praticare “normalmente” sport).
Dunque il classico “studente-atleta” che in Italia è un personaggio quasi in via di estinzione e che ha dei problemi esistenziali non comuni non per sue tare psicologiche ma solo per curiose aberrazioni del sistema sociale.
Intanto torno indietro un attimo su quel “purtroppo”. Ho scritto che in questa fascia d’età “purtroppo” si possono considerare pochi quindicenni o quattordicenni. Scrivo purtroppo perché a mio parere i ragazzi di questa età che non si fanno condizionare molto dai genitori sono pochi e questa cosa che per alcuni è un fantastico segnale di obbedienza e di maturità per conto mio è proprio uno dei tanti segnali di una società che non funziona, che non fa crescere i ragazzi e non istiga a pensare prima possibile con la propria testa, sviluppando un buon senso critico nei confronti della società.
Quando scrivo queste cose mi dicono che istigo allo scontro sociale ma, a mio parere, una società dove i giovani obbediscono sistematicamente sulle cose importanti agli adulti e si accontentano di trasgredire sulle fesserie quali lo sballo o chissà che fesseria non è una società che può crescere ed è invece una società calcificata sulle posizioni di chi la comanda.
Pertanto a mio parere i giovani non devono contestare la società nelle cose finte quali la possibilità di fare caos e di divertirsi in modo stupido a tutte le ore ed in tutti i modi magari pure con uso di droghe che non servono certamente a migliorare la qualità della vita, bensì devono vivere da protagonisti la società avendo la presunzione di poter pesare effettivamente sulle cose che condizionano la loro esistenza quali la scuola ed il mondo del lavoro. I ragazzi devono rendersi conto che la scuola è loro, la scuola “sono” loro e così anche un certo tipo di mondo del lavoro è loro perché se decidono tutti di scappare via in massa non c’è futuro per il paese del “Le faremo sapere…”.
‘Mo atterro su questioni molto spicciole che a questo punto si può benissimo capire perché possano riguardare essenzialmente i ragazzi dai 16 anni in su. Prima l’unico problema è il telefonino e se contesti troppo non te lo comprano, hai poco da contestare, dipendi in tutto e per tutto dai genitori.
I ragazzi dell’età compresa fra 16 e 18 anni dovrebbero giustamente essere più o meno tutti studenti-atleti, almeno secondo un principio di profilassi sanitaria che prevede che a questa età sia molto importante trovare il tempo per praticare una sana attività sportiva in via continuativa e con un impegno che può altrettanto giustamente essere variabile a seconda delle propensioni personali. Pertanto la variabile dipendente non dovrebbe essere la presenza dell’eventuale pratica sportiva che in un paese civile dovrebbe essere garantita a tutti bensì il livello di applicazione su questa pratica.
Attenzione che qui vi gioco il mio punto di vista che so essere piuttosto originale ma non è basato su principi folli quanto su principi salutistici. Che poi in questo periodo l’applicazione del principio salutistico sia diventata una mezza follia nel nostro sistema scolastico e, direi di più, nel nostro sistema sociale, quello è un problema vero, tangibile e che non può essere ignorato.
Allora io sostengo in modo eccentrico che qualsiasi allievo, sia un talento dello sport o sia una mezza calzetta, abbia diritto a quell’età di allenarsi tutti i giorni così come un bambino di 10 anni ha diritto di giocare tutti i giorni. L’attività fisica al minimo sindacale di due allenamenti alla settimana potrà forse andare bene per il quarantenne che vuol buttare giù la panza (io sono convinto che non è sufficiente nemmeno per quello) ma non può essere certamente sufficiente per un bambino di 10 anni che ha bisogno di giocare tutti i giorni o per un ragazzo di 17 anni che ha bisogno di praticare attività fisica tutti i giorni anche se non è un potenziale campione di nessuno sport.
So benissimo, con queste affermazioni di scontrarmi con un clichet comunemente accettato secondo il quale un ragazzo di 17 anni che non è un potenziale campioncino di qualche accidenti di sport se decide di praticare sport tutti i giorni è un irresponsabile che sta sottraendo troppo tempo agli impegni scolastici.
Gli impegni scolastici, questi sono il fulcro di questo articolo, la discriminante che mi fa assegnare il titolo di ragazzo responsabile secondo criteri che per i più sono del tutto fuorvianti ed inaccettabili.
Viviamo in un tempo di scuola “scoordinata” che non solo non si occupa delle esigenze di attività fisica dei ragazzi (la scuola italiana non ha mai avuto buona tradizione in tal senso e non è certamente come quella americana che si occupa anche dell’attività sportiva dei ragazzi) ma addirittura la ostacola. E’ una scuola soffocante che, approfittando di aberrazioni sociali secondo le quali gli adulti per sopravvivere devono lavorare sempre di più (solo vent’anni fa si sperava che il futuro ci riservasse uno scenario diverso…) tende a preparare l’allievo a questo modello sociale proponendo un addestramento sempre più gravoso in termini di impegno. Le frequentazione scolastica ormai è una specie di competizione quasi come se a scuola potesse sopravvivere solo il più talentuoso, quello che supera certe selezioni. Ci si domanda se il diritto allo studio sia per tutti o solo per quelli che riescono a garantire un impegno minimo.
Secondo il mio anatema l’allievo responsabile non è quello che rinuncia all’attività sportiva per collezionare un buon numero di otto a scuola ma è quello che si accontenta di prendere sei per proseguire con costanza la sua pratica sportiva, sia da atleta talentuoso o sia anche da mezza calzetta che dopo cinque pesanti ore di scuola fatica anche ad affrontare l’allenamento quotidiano con una certa concentrazione ed è per quello che io predico sempre che bisogna avere un grande rispetto per il livello di impegno dei ragazzi nello sport perché sono talmente stressati dalla scuola che fanno fatica a mantenere un’elevata concentrazione nello sport ed è sacrosanto che lì si divertano e lo so che a volte fa rabbia perché vi sono dei talenti che con un minimo di impegno in più potrebbero ottenere risultati notevolissimi ma non è che possiamo andare a scuola noi al posto loro. Di questi soggetti dobbiamo occuparci che tengano un’ alta motivazione per proseguire con l’attività sportiva perché, soprattutto a questa età la tentazione di mollare tutto è molto elevata.
Pertanto il mio rivoluzionario concetto di allievo responsabile è quello di un soggetto che si impegna a svolgere attività fisica in modo continuativo e non finto anche se con un impegno che talvolta può essere anche piuttosto ridotto proprio per la necessità rispetto ad un impegno più gravoso proveniente dall’ambiente scolastico, ma in ogni caso l’atteggiamento responsabile è quello del ragazzo che dimostra che si può, anzi si deve, fare attività fisica con costanza nonostante gli impegni scolastici. Se tutti i ragazzi cominciano a pensarla così è facile che ci sia un’ evoluzione sia del modo di intendere lo sport come di concepire anche una scuola un po’ più razionale e che consideri pure il complesso concetto di profilassi sanitaria. Altrimenti si può continuare a perseguire l’arcaico concetto di scuola dell’obbedienza dove il più bravo è quello che studia di più e che può anche rinunciare allo sport perché la scuola è più importante e non ha senso perdere molto tempo per lo sport se non ci si è molto portati.
Qui si tratta di essere portati per la vita più che per lo sport e di prendere coscienza che la nostra vita la decidono gli altri solo in parte, poi, per fortuna nella quasi totalità dei casi, c’è un margine di discrezionalità che può essere ben giocato da tutti.
Lo sport come palestra di vita non è quello che ti insegna a vincere a tutti i costi ma quello che ti insegna a vivere e quindi a non rinunciare alla salute per nessuna competizione, né sportiva, né tantomeno scolastica.