Non sono per nulla contrario al lavoro da casa soprattutto nel momento in cui può aiutarci ad aumentare la quota di tempo libero ed anche per il fatto che può contribuire a diminuire sensibilmente l’inquinamento dovuto a spostamenti su tratti per il tragitto casa-luogo di lavoro.
La questione “lavoro da casa”, tuttavia, mi porta a fare delle considerazioni che vanno al di là di questo fatto e che riguardano l’attività motoria in generale in quest’era del telecomando.
Siamo portati a valutare ogni innovazione che ci fa risparmiare fatica utile anche per quanto movimento in meno riesce a farci fare. Questo non è sempre un vantaggio. Estremizzato il concetto potremmo vivere la nostra intera vita davanti ad un computer aspettando, magari, che pure un robot vada a farci la spesa e poi ci imbocchi per farci mangiare evitando il fastidio di dover usare le posate. Poi occorre una macchina che ci prenda e ci metta a letto a dormire e… tralasciamo altri dettagli per non sconfinare nell’umorismo più scontato e volgare.
Risparmiare quantità di movimento è essenziale in certi ambiti, assolutamente inutile ed addirittura sconveniente ed inopportuno in altre situazioni.
Così dobbiamo escogitare le strategie per staccare di tanto in tanto dal computer perché alcune fra le patologie più temibili della nostra era sono proprio legate all’uso indiscriminato di questo fondamentale strumento, ed allora ben vengano le scale senza ascensore, il cancello che non è automatico anche se ti fa imprecare quando piove, il tappeto che non è “rotante” ma è persiano e se vuoi camminare davvero devi uscire di casa come tutte le persone normali.
Il movimento è vita e lo è a tutti gli effetti nel senso che connesso ad ogni movimento c’è anche un vissuto emotivo che non merita di essere appiattito e così fra una camminata fuori per il quartiere ed una in casa sul tapis roulant c’è un abisso, non da un punto di vista biomeccanico della qualità del movimento (anche se qualche differenza c’è pure lì…) ma dal punto di vista del vissuto emotivo del movimento che è una peculiarità imprescindibile dello stesso.
I vari automatismi ci hanno dato l’illusione di migliorarci la qualità della vita ma ce l’hanno inesorabilmente peggiorata. E così il telecomando della televisione ci ha offerto una sorta di protezione contro la pubblicità dilagante perché ci permette di cambiare canale senza scomodarci dalla poltrona ma è lo stesso che ha fatto sì che sia aumentato in modo esponenziale il numero di ore passato davanti alla tv anche se la qualità dei programmi è costantemente peggiorata. La sindrome da telecomando fa sì che uno perda la forza di spegnere la tv anche se vengono proposti programmi di scarsa qualità a raffica. Grazie al telecomando ci si illude di aver in pugno la situazione e di poter modificare la nostra sorte di telespettatori a seconda delle nostre esigenze, al contrario quando anche ci siamo accorti che l’offerta di programmi è decisamente misera restiamo inchiodati davanti alla tv perché si è creata un dipendenza da telecomando. Se tutte le volte che cambiamo canale dovessimo sollevare il sedere dalla poltrona saremmo stroncati dopo molto poco tempo, altro che ore passate nella speranza di un programma più interessante.
Siamo arrivati al paradosso dell’auto elettrica per i bambini che ha sostituito la fantastica ed utilissima auto a pedali. L’auto elettrica è uno splendido giocattolo per i bambini se la usano gli adulti ma gli adulti continuano ad usare l’auto a petrolio perché ha più autonomia e prestazioni migliori in barba all’inquinamento. Le case automobilistiche, d’altro canto, si guardano bene dal produrre auto elettriche veramente competitive, altrimenti il prezzo del petrolio scende ancora di più e l’economia crolla.
Siamo schiavi di una società che ha violentato il movimento e lo ha assoggettato alle leggi del dio danaro. La telefonia mobile che poteva aiutarci a migliorare davvero la qualità della vita è riuscita anch’essa a peggiorarla impedendoci conversazioni normali con interlocutori normali. Quando vedo ciclisti che si stanno allenando a buon ritmo e nel cuore dell’allenamento rispondono al telefono cellulare vado in depressione. Ma cosa sono tutti medici che devono dare la reperibilità 24 ore su 24, questione di vita o di morte? Possibile che non possano stare qualche ora con il telefono spento?
Dobbiamo fare un passo indietro, dobbiamo riscoprire il gusto della lentezza per muoverci di più. Lo stress si combatte muovendosi di più e concedendosi i giusti tempi per il movimento. Per cui se vai in bici spegni il telefono perché in bici non si può rispondere al telefono. Quando vai in auto vai più piano perché devi avere rispetto anche per chi non va in auto e se vai troppo veloce e pure a scatti consumi troppo carburante e dunque inquini decisamente di più. Tutto questo potrebbe rallentare l’economia ma non è la nostra economia che deve svilupparsi bensì quella dei paesi sottosviluppati che altrimenti accusano gap sempre più incolmabili. Con questo tipo di economia è egoista e folle pensare di arrestare i flussi migratori di gente che nel proprio paese d’origine non riesce nemmeno a sopravvivere.
La vita è movimento e lo dimostrano anche le folle di migranti che scappano dai loro territori per tentare di continuare a vivere. Speriamo che riescano a schiodarci dai nostri tapis roulant che oltre a peggiorarci la qualità del movimento ci hanno bloccato anche la mente.