La vera storia del cardiofrequenzimetro non si può scrivere perché c’è ancora sotto un business da paura ad oltre 40 anni di distanza dal devastante lancio sul mercato di tale oggetto come strumento di disinformazione di massa. Prima essenzialmente il cardio frequenzimetro era uno strumento medico a disposizione dei cardiopatici per rilevare le bizze di un cuore che spesso, pur essendo tachicardico, non impediva l’effettuazione di una moderata attività sportiva che anzi veniva ritenuta salutare anche per il cardiopatico. Su questo concetto, per fortuna, non siamo tornati indietro ed è chiaro come l’attività fisica possa essere considerata la miglior medicina anche per alcuni problemi cardiologici, ovviamente con tanto buon senso ed un certo controllo, a prescindere dall’uso più o meno esasperato del cardiofrequenzimetro.
Con la moda del cardiofrequenzimetro per i comuni mortali (ripeto, enorme business e qui nessuno potrà aver nulla da obiettare) è successo che tutti si comportassero come dei cardiopatici a spiare costantemente le frequenze cardiache come se questo fosse un parametro essenziale per il monitoraggio della preparazione anche per i soggetti sani.
Ed è questa la bufala spaziale che ci hanno fatto passare per lanciare il business un po’ come se adesso, con un cambio di strategia di mercato (ma non ce n’è bisogno perché i cardiofrequenzimetri vendono ancora molto anche se sono passati 40 anni…) si inventassero che per studiare bene la preparazione è necessario per tutti monitorare costantemente la glicemia e ci facessero passare tutti per dei diabetici che controllano costantemente quel parametro con un’altra macchinetta infernale da vendere a tutti e non solo ai diabetici veri che vorrebbero tanto farne a meno.
La frequenza cardiaca non è che uno dei tanti parametri di fatica e voler impostare la preparazione fisica sulla base solo di quel parametro è cosa quantomeno insensata.
Eppure su tutti i libri trovate scritto che il cardiofrequenzimetro è un utilissimo aggeggio che serve per monitorare la preparazione negli sport di resistenza. Questa è la dimostrazione che sui libri che trattano la preparazione fisica a volte ci sono scritte delle corbellerie gigantesche che sono scritte per il solo motivo di non turbare il mercato.
Le metodologie di allenamento negli sport di resistenza negli ultimi decenni hanno subito un grave rallentamento della loro evoluzione. Tale andamento è ravvisabile analizzando l’evoluzione delle prestazioni sportive degli atleti di medio e basso livello più che quelle degli atleti di alto livello perché queste hanno a che fare con una complessità insondabile.
In breve, parallelamente alla diffusione su vasta scala dello stramaledetto cardiofrequenzimetro, c’è stato, nell’alto livello della disciplina, una diffusione su vasta scala di pratiche dopanti di sicuro effetto (e queste sì veramente decisive ai fini del rendimento sportivo) che hanno un po’ spostato il punto di vista principale della preparazione degli atleti di alto livello dal campo all’ambulatorio.
La cosiddetta medicalizzazione dello sport ha subito nei paesi occidentali una brusca impennata a partire dai primi anni ’80. Prima era prerogativa dei paesi del blocco sovietico che già dagli anni ’60 erano all’avanguardia in tal senso e operavano un controllo sistematico su tutti gli atleti di alto livello.
Così per valutare davvero l’evoluzione delle tecniche di allenamento siamo costretti a considerare quanto combinato dai comuni mortali nelle varie discipline sportive perché quanto accaduto nell’alto livello è inquinato da eventi che poco hanno a che fare con la sola metodologia dell’allenamento. Per dirla in un modo più complesso mentre i miglioramenti degli atleti comuni hanno sempre avuto a che fare con lo stato dell’arte della metodologia dell’allenamento sportivo (ed il fatto che la definisca arte non è per nulla casuale) i miglioramenti degli atleti di alto livello sono stati interessati tantissimo anche da quanto studiato in laboratorio sulla possibilità di sostenere certe preparazioni sportive.
A scanso di equivoci diciamo chiaramente che nessuno migliora i risultati in modo significativo senza allenarsi con costanza e dedizione ma mentre per gli atleti di medio e basso livello il miglioramento dei risultati è dovuto essenzialmente alla bontà ed alla razionalità delle pratiche allenanti, per quanto riguarda gli atleti di alto livello si può tranquillamente dire che non è così e ci si arriva giustamente a chiedere se una preparazione impostata su carichi di allenamento decisamente elevati, che richiedono un monitoraggio medico costante (talvolta anche con interventi un po’ pesanti) sia effettivamente una preparazione salutare o non sia invece una forzatura un po’ pericolosa per far andare avanti comunque il carrozzone dello sport spettacolo.
Ora se le metodologie di allenamento hanno subito un’innegabile involuzione perché il livello medio prestativo degli atleti non seguiti da un punto di vista medico è crollato rispetto a 40 anni fa a fronte di un aumento considerevole del numero dei praticanti ciò purtroppo è probabilmente è da attribuire anche alla miopia da cardiofrequenzimetro. E’ chiaro che qui siamo nel campo delle ipotesi e questa osservazione è assolutamente contestabile. Se siamo certi che la diffusione del cardiofrequenzimetro è stata ed è un enorme business e tale osservazione è effettivamente incontestabile non siamo altrettanto certi che l’involuzione delle metodologie di allenamento sia da attribuire alla grande diffusione di questo stramaledetto aggeggio.
Tento di essere critico nei miei confronti azzardando delle ipotesi in favore di chi vuol contestare questo mio punto di vista, ma lo faccio solo per esternare con ancora più convinzione successivamente delle osservazioni che ritengo giusto divulgare.
Molti possono dirmi che in realtà questi aggeggi, anche se sono stati venduti a tonnellate, nell’uso comune non sono poi tanto diffusi, Insomma non sono come l’automobile che la gente ce l’ha e se la porta sempre in giro. Questo accidenti la gente ce l’ha ma lo lascia spesso in garage, pardon, nel cassetto del comodino. Molti in effetti si sono accorti da soli, senza l’indicazione di nessun luminare, che la preparazione monitorata costantemente dal cardio frequenzimetro non ha alcun vantaggio su quella impostata in base ad altri parametri ben più importanti.
Seconda cosa non trascurabile. E’ vero che negli ultimi decenni è aumentato il numero di praticanti degli sport di resistenza ma è anche vero che è cambiata la filosofia del modo di intendere questi sport. Diciamolo chiaro e tondo, ci si allena meno di un tempo. Un tempo era la norma allenarsi tutti i giorni. Un tempo esisteva pure il non professionista che provava ad allenarsi due volte al giorno a prezzo di incredibili sacrifici, adesso chi si allena due volte al giorno è quasi sempre un professionista e, anche giustamente, è sotto costante controllo medico. Un tempo chi si allenava solo due o tre volte la settimana non pensava minimamente a competere e si dilettava al più nelle innumerevoli non competitive organizzate a valanga sul nostro territorio dagli anni dell’austerity (1973) in poi, adesso c’è gente che corre si e no due volte la settimana che va a fare le mezze maratone e le maratone con tanto di pettorale e percorso omologato con rilevazione cronometrica pure depurata del tempo che ci impieghi per partire davvero in mezzo alla massa enorme dei contendenti. Insomma sono diventati agonisti anche i veri tapascioni. Se includiamo anche questi è evidente che il livello medio della disciplina è crollato indipendentemente dalla qualità della preparazione di chi si allena sul serio.
Offerte queste due lance ai miei detrattori mi “lancio” sulla mia invettiva contro la mania di usare troppo il cardiofrequenzimetro per impostare l’allenamento. Tale mania ha portato gli atleti ad ascoltarsi di meno e dando tanta importanza alla frequenza cardiaca hanno finito per trascurare parametri ben più importanti, uno fra tutti quello della tecnica di corsa.
Si è arrivati al paradosso che se uno sta facendo una fatica bestia e sta pure correndo male se il cardiofrequenzimetro da risposte interessanti allora si è capaci di credere che stia andando tutto bene. Al contrario l’atleta che sta correndo bene, in assetto, magari veloce e pure con un livello di fatica più che accettabile può sentirsi dire dal suo allenatore malato di cardiofrequanzimetro che sulla base dei dati rilevati dallo stesso forse era più utile correre un po’ più veloce perché le frequenze non erano poi tanto elevate ed insomma un impegno un po’ più intenso sarebbe servito di più. Non conta più cosa prova e cosa dice l’atleta conta cosa scrive quell’aggeggino che non ha una testa ma solo un sensore e come tale di sport non ci capisce proprio nulla.
Io rischio di passare per tecnico all’antica perché rifiuto in toto la bufala del cardiofrequenzimetro e tutte le considerazioni tecniche formulate sulla base del suo impiego. In realtà mi sento terribilmente all’avanguardia e comunque emarginato come se fossi solo un retrogrado perché ritengo che la metodologia dell’allenamento possa finalmente ripartire nella sua evoluzione solo se riusciamo a svincolarci da questo patetico polpettone.
Purtroppo buona parte della letteratura sportiva è vincolata anche alle leggi di mercato e, da quel che mi risulta farete fatica a trovare testi in giro che vi spiegano compiutamente perché quella dei cardiofrequenzimetri è solo un’enorme bufala commerciale.
Col cardiofrequenzimetro o anche senza (davvero) vi auguro buoni allenamenti. Possibilmente più di due alla settimana perché lì il cardiofrequenzimetro non c’entra proprio nulla e poi finite per far fare brutta figura a chi vi consiglia la preparazione con il cardiofrequenzimetro…