In tempo di pandemia si fanno cose un po’ strane. Allora per esempio io, che non sono un grande lettore, mi leggo il romanzo “La solitudine dei numeri primi” che mi è capitato per le mani casualmente e visto che ne avevo sentito parlare ho la curiosità di leggermelo.
E’ un romanzo tosto e non esprimo giudizi sconvenienti che non è assolutamente il caso di esprimere. Senza entrare nel merito diciamo certamente un romanzo scritto bene poi non posso trattenermi dal commentare che non è adatto a chi cerca una lettura poco impegnativa che scivoli via senza danni. Sono sicuro che a qualcuno può piacere molto. A me non è che non sia piaciuto molto però ho ‘sto tarlo che sono sempre sulla difensiva, non sono un buon lettore e reagisco con reazioni strane e dissacranti. Tento di essere sintetico. Intanto non voglio rovinare la lettura a chi vuole leggerlo. Penso di non sbagliare molto a scrivere solo che si tratta di un romanzo dove i protagonisti sono due ragazzi coetanei che hanno una serie di problemi psicologici mica da ridere. Non vi ho detto troppo. Su questo sfondo e su tutta la narrazione mi scoppia in testa per deformazione professionale un’osservazione: “Un po’ di sana attività fisica per rendere l’esistenza meno pesante?!?…”.
L’osservazione è grottesca e non c’entra un fico secco con i contenuti del romanzo ma è proprio il titolo a suggerirmela.
Il titolo mette un po’ fuori strada a mio parere perché è vero che i numeri primi sono soli, isolati dagli altri numeri però, porca miseria, sono tanti. Mazza oh, se sono tanti, se ci pensate bene sono infiniti e allora se sono infiniti non dovrebbero sentirsi tanto soli anche se sono in mezzo ad altri numeri che non sono come loro.
Questo lo dico da studioso del movimento. I soggetti che si muovono in modo mediamente diverso dagli altri sono tanti. Possono essere isolati perché si vede che si muovono in modo diverso dagli altri ma sono comunque tanti. Guardate che non sto alludendo ai cosiddetti diversamente abili o meglio, sì a quelli se consideriamo così anche un ragazzino che ci impiega uno o due secondi più degli altri a fare i 100 metri. Non è assolutamente un disabile ma non si esprime come un soggetto cosiddetto normale se è vero che la maggior parte dei suoi coetanei ci impiega uno o due secondi in meno per correre i 100 metri. Nel mio gergo quello può certamente essere un “numero primo” per come viene inteso nel romanzo ed ha una condizione di potenziale emarginazione ma vi garantisco che è in compagnia di una pluralità di soggetti che alla fine non sono per niente pochi. A creare l’isolamento è la prevalenza degli altri.
Allora lo sport ha questo merito di riuscire a far sentire meno soli i numeri primi perché i numeri primi grazie alle dinamiche dello sport si girano e si rigirano, si incontrano e si accorgono di non essere soli e come per incanto sconfiggono il senso di solitudine. In tal senso con la mia blasfemeria che atterra tutto avrei consigliato un po’ di sana attività fisica sia al protagonista “A” del romanzo che al protagonista “B” solo che se dopo questi due disgraziatamente trovavano un buon equilibrio psichico non si poteva più scrivere il romanzo.
“Ma perché te ne vieni fuori con queste uscite? Leggiti un bel saggio sullo sport nella DDR e stattene zitto…”
No, potrei difendermi, è stato lui a cominciare con la storia della ragazzina che non ha nessuna voglia di sciare (lo so che sto spifferando troppo…) e dunque tocca la mia professione…
Se la ragazzina non ha voglia di sciare deve fare un altro sport altrimenti viene fuori un romanzo difficile, bello da leggere ma triste perché, accidenti la solitudine e l’incomprensione sono sempre tristi.
Non solo ma il mio monito a tutti i numeri primi che fanno un’attività fisica che non è gradita è: “Ribellatevi!”. Altrimenti dopo ci tocca scrivere il seguito de “La solitudine dei numeri primi”.
Sono sicuro che lo scrittore del noto romanzo se leggerà questo articolo non avrà nulla da obiettare se non che non ho capito nulla della sua opera.
L’ho semplicemente capita a modo mio e con una punta di invidia ho proposto un titolo senza speranza che è appunto “La salute dei numeri primi” che è un’altra storia e non scalfirà nemmeno la popolarità del suo romanzo di successo. Anche perché penso proprio che “La salute dei numeri primi” avrà molti ma moolti meno lettori de “La solitudine dei numeri primi”.