LA RIVISTA “ATLETICA STUDI” IERI E OGGI

Riprende a pubblicare la rivista “Atletica Studi” ed ho un moto di nostalgia. Ricordo quando quasi mezzo secolo fa, emarginato fra i miei coetanei in tal senso, perdevo ore sulla rivista con interesse disincantato e prendevo per oro colato tutto quanto pubblicava una rivista che ancora oggi ritengo di buona qualità.

Solo qualche anno dopo mi resi conto di una grossa lacuna di quella rivista che era quella che poi, scoperta anche dagli altri tecnici, ha fatto in modo che arrivasse un periodo di buio. Quella rivista non poteva pubblicare nulla che riguardasse il doping per evidenti problemi politici.

Arrivò il tempo che la maggior parte dei tecnici si rese conto che il progresso delle tecniche di allenamento era semplicemente irrisorio e che invece il progresso, stordente, macroscopico e che si susseguiva senza soluzione di continuità era quello della medicalizzazione dello sport. Tale progresso risultò purtroppo soffocante per lo studio delle tecniche di allenamento e così la rivista “Atletica Studi” andò nel dimenticatoio, vecchio cimelio di un’ epoca di pionieri.

Adesso l’hanno riesumata e l’intento mi pare più che pregevole anche se un po’ anacronistico.

La leggo e mi vengono fuori subito delle considerazioni spontanee, senza pensarci.

L’articolo sulla pliometria. Potrebbe essere stato scritto 50 anni fa, è ancora attuale ma dimostra che in campo strettamente tecnico siamo rimasti fermi al palo. Dai russi in poi non è successo praticamente nulla, pare che lo sport sia stato studiato solo dai russi.

Poi, con un balzo incredibilmente in avanti, tratta un argomento che è decisamente attuale e che forse, se fosse stato trattato mezzo secolo fa non ci avrebbe portato a questa situazione. Ma mezzo secolo fa non c’era la cultura per portare in campo un argomento del genere e adesso… non c’è ancora. Almeno iniziamo a parlarne, a discuterne.

L’argomento è centrale nello sport italiano, su tutto lo sport, non riguarda certamente solo l’atletica leggera: lo chiamano drop out ed a me spiace che lo chiamino così perché siamo in Italia, il problema è tipicamente italiano e andrebbe chiamato in italiano anche se è più lungo che dire semplicemente “Drop out”. Si chiama “abbandono precoce dell’attività sportiva”.

Tanto per non tediarvi e per venire subito al sodo nello studio, sincero e non commissionato da nessuna multinazionale, si dice chiaro e tondo che la colpa dell’abbandono precoce dell’attività sportiva da parte dei giovani dipende essenzialmente da due fattori: in primo luogo della scuola che non incentiva assolutamente l’attività sportiva, non la organizza, la ignora ed anzi, di fatto la ostacola, promuovendo impegni scolastici sempre più pressanti che nulla hanno a che fare con l’attività sportiva, In sintesi per la scuola attuale lo sport non è un onere ed un impegno come dovrebbe essere ma un fastidio, possibilmente da dribblare.

Il secondo fattore di abbandono dell’attività sportiva (o Drop out, come vogliono chiamarlo), udite udite, siamo noi. Noi tecnici che facciamo finta di niente e crediamo di vivere in un’ altra era senza capire che questa scuola non lascia spazio a giovani che non abbiano un talento infinito e che riescono a fare risultati altisonanti praticamente senza quasi allenarsi. Per gli altri non c’è spazio, per chi non ha 15 ore di tempo la settimana per allenarsi magari mettendoci giustamente dentro la preparazione la pliometria di 50 anni fa perché non abbiamo scoperto un metodo di allenamento che ti dia gli stessi risultati con la metà del tempo impiegato, non c’è possibilità di emergere. O fai quello che ti dicono a scuola o fai quello che dovresti fare al campo sportivo per rendere bene nello sport considerando che non sei un fenomeno, improvvisando non combini proprio nulla ed hai bisogno di molto tempo e pazienza per maturare sportivamente.

Atletica studi di un tempo non aveva la possibilità di sviscerare le cause che hanno portato al congelamento delle tecniche di allenamento, era un problema politico. Adesso c’è un altro problema politico, forse ancora più importante per la salute dei ragazzi. Il problema è che è inutile che ci mettiamo a studiare nuove tecniche di allenamento se i ragazzi non hanno tempo per provarle. Dobbiamo fidarci di quello che facevano gli atleti di un tempo, sperare che funzioni ancora e soprattutto trovare qualche eroe che si presta a dedicare a queste metodiche di allenamento tutto il tempo necessario come se vivessimo in un’altra era e con l’ipotesi molto concreta di confliggere con la scuola che non guarda in faccia nessuno.

E’ indubbiamente un problema politico, se “Atletica Studi” ha la forza di affrontarlo complimenti, vuol dire che per certi versi è più attrezzata di quella romantica ma politicamente inesistente di mezzo secolo fa.