Il bonus biciclette non è stato adeguatamente pubblicizzato, probabilmente perché si temeva che finisse per diventare un problema più che un bonus. Diciamo subito che gli italiani in un primo momento avevano reagito bene affollando i negozi di biciclette e dimostrando che nonostante una rete ciclabile da paura (è proprio il caso di dire da paura: la rete ciclabile italiana fa paura nel senso che non esiste un tratto decente senza interruzioni e senza pericoli) avrebbero anche voglia di usare questo mezzo del futuro che è la bicicletta.
In un secondo momento poi, giustamente, si è cominciato a dire che forse non ci sarebbe stato per tutti perché la copertura finanziaria era per un numero limitato di bonus e così c’è stata un po’ una frenata dei consumatori che si sono divisi in due sullo stile di quelli che “Beh, io la bici la compro lo stesso poi se arriva il bonus bene, altrimenti amen” e sullo stile meno stiloso di quelli che purtroppo: “Eh, no se non ho la garanzia del bonus purtroppo di questi tempi non posso permettermi nemmeno la bicicletta”.
Allora, siccome la bicicletta è importantissima per le nostre abitudini io avrei fatto un’ integrazione al bonus non fatta a caso ma proprio per venire incontro alle esigenze di chi non ce la fa: bonus per chi può documentare una situazione di necessità tale per la quale non ha per le tasche nemmeno i soldi per acquistare la bicicletta.
Al di là di questi dettagli è scesa in modo drastico la pubblicità al bonus perché non aveva più senso farla visto che stava diventando un problema e parallelamente è salita la critica al bonus che tutto sommato è stata l’unica ulteriore forma di pubblicità.
La critica è stata l’unica ultima forma di pubblicità e poteva essere la pubblicità decisiva se fosse stata sfruttata in modo opportuno ma non è stato così.
La critica. portata avanti da certe forze politiche (e lasciamo stare chi che non conta proprio nulla) era che “In un momento così difficile invece di pensare alle cose serie si pensa a dare l’incentivo agli italiani per acquistare il monopattino…!” E praticamente si è fatto leva su un punto un po’ curioso e discutibile fin che si vuole del bonus che consente di utilizzarlo non solo per biciclette e bici elettriche ma anche per i famosi monopattini in quanto si è ritenuto che in un modo o nell’altro servano anche questi a decongestionare il traffico pazzesco dei nostri centri urbani. Non entro nella disputa, fondamentalmente dei monopattini non me ne frega niente, se ci sono i soldi anche per quelli ben vengano, se non ci sono personalmente ritengo che deva essere data la priorità a bici e bici elettriche.
Da una critica così ci si poteva difendere in modo splendido facendo un’ ulteriore pubblicità alla questione molto importante e dimostrando che la faccenda bici, bici elettriche e, eventualmente, anche monopattini non è una questione da nulla ma è una questione che dopo il corona virus può cambiare le nostre vite molto più del corona virus perché l’utilizzazione sistematica nel traffico urbano della bicicletta cambia la vita anche di chi non la usa e non è molto difficile capire perché.
Tale pubblicità non è stata fatta perché evidentemente chi ha inventato il bonus si sentiva in colpa del fatto di non poterlo garantire a tutti, ma quella non è una colpa bensì un limite.
A far da sfondo a tutto ciò arriva un presunto nuovo bonus rottamazione auto e quella è una botta pazzesca per tutta la manovra perché a parte i soldi spesi male (altro che monopattini, qui si parla di mezzi fortemente inquinanti non monopattini…) tale mossa recita un po’ così: “Italiani state tranquilli, resta tutto come prima, si continua ad usare l’auto come prima, se ci sono problemi vi diamo pure il contributo per cambiarla, con le biciclette abbiamo solo scherzato ma in fondo non ce ne frega niente”.
E quello è il messaggio devastante che sta passando in questi giorni, è la peggior pubblicità che si potesse fare e non c’entra nessuna forza politica in particolare perché sono tutti assolutamente d’accordo e nessuno di sogna di chiamare il bonus rottamazione “bonus petrolio” come potrebbe anche essere chiamato perché viene sommerso di critiche.
Le politiche verdi non esistono, quando si fa qualcosa di verde passa solo come rottura di scatole e come potenziale perdita di posti lavoro. L’economia verde non si fonda sul licenziamento di chi lavora in posti che fanno a cazzotti con la sostenibilità ambientale ma sulla riconversione delle industrie non al passo con i tempi. Non si perde il lavoro, si trasforma e se si lavora bene ce n’è più di prima, sempre che si abbia la voglia di metterlo al passo con i tempi.