Se devo citare un libro sulla corsa senza paura di offendere nessuno ed anzi felice di ricordare un grande studioso della corsa cito “Correre è bello” di Enrico Arcelli. Quel libro, scritto nel lontano 1978 segna una linea di confine su quanto scritto sulla corsa in Italia. Con una definizione un po’ strana e che ne rinforza il mio apprezzamento lo considererei “l’ultimo dei testi attendibili in materia di corsa scritti in Italia”.
Quell’aggettivo “attendibile” è un po’ una mannaia con riferimento a tutto quanto pubblicato dopo sulla corsa in Italia e lo stesso Arcelli potrebbe rivoltarsi nella tomba reclamando il gran valore di altri suoi testi pubblicati dopo di quello.
Purtroppo non si può più discutere con Arcelli, scomparso 5 anni fa ma sono convinto che capirebbe il mio punto di vista legato anche all’enorme successo che ha avuto “Correre è bello”. Dopo la pubblicazione di “Correre è bello” scrivere di corsa in Italia non è più la stessa cosa. Se prima un testo poteva andare a bersaglio su poche decine di migliaia di lettori dopo “Correre è bello” potenzialmente può trovare anche una platea di milioni di lettori. La corsa è diventato un fatto di costume, tutti si sono interessati alla corsa. E forse è proprio per quello che non si è più riusciti a pubblicare un libro del valore di “Correre è bello”.
Il mercato ha condizionato in modo irrimediabile la letteratura sulla corsa che è diventata un vero e proprio business con numeri colossali.
C’è una frase, forse passata un po’ inosservata nella prefazione di “Correre è bello” che ne avrebbe potuto far produrre una seconda parte se il flagello del mercato non si fosse abbattuto sul fenomeno corsa. Arcelli scrive chiaro e tondo “Per corsa su queste pagine intendo solo quella di lunga durata, quella dove il podista percorre svariati chilometri”. Solo un paio di pagine dopo un bel disegno a matita tradisce un po’ quell’intento perché ritrae un podista chiaramente impegnato in una corsa di mezzofondo visto che sta producendo il gesto tecnico di una corsa presumibilmente molto rapida in base gli angoli di lavoro degli arti inferiori. Nella copertina stessa, che pure è un disegno è chiaramente stilizzata l’immagine di una nota scarpa da mezzofondo dell’epoca, non è una scarpa da corsa su strada e poi anche la serie di consigli che si trovano all’interno del testo sono chiaramente utili anche a chi vuole avvicinarsi alla corsa di mezzofondo oltre a chi vuole prendere parte alle corse su strada.
Ebbene il buon Arcelli non ha mai pubblicato un seguito di “Correre è bello” dedicato anche alle corse non trattate sul libro, quel libro non è mai stato scritto, io sono convinto che era in grado di scriverlo anche Arcelli ottimo conoscitore di tutte le problematiche inerenti al mezzofondo ma non l’ha mai scritto né lui né nessun altro per il semplice motivo che il mercato è andato in un’unica direzione.
Un lavoro qualitativamente paragonabile a “Correre è bello” sul mezzofondo sarebbe stato un sasso nello stagno con effetti non gradevoli per il mercato.
A tutt’oggi, oltre 40 anni dopo esiste una dicotomia, della quale il buon Arcelli non è assolutamente responsabile, secondo la quale esistono due tipi di corsa : una lunga e lenta che è quella che va distribuita alle masse, che fa bene alla salute e che è giusto e sacrosanto che ogni cittadino provi a praticare, per le strade della sua città se possibile, nei parchi o nelle strade meno trafficate per sfuggire allo smog ed un altro tipo di corsa, che è quella di mezzofondo, (per non parlare di quella di velocità, ancora più elitaria) che si può praticare solo se si è giovani agonisti e che non è assolutamente indicata per fini salutistici.
Ora che i giovani siano più inclini all’agonismo e anche per doti di elasticità e reattività muscolare portati per le discipline del mezzofondo veloce è pur una verità, infatti bisogna ammettere che purtroppo (o per fortuna a seconda dei punti di vista) ci sono pochi giovani che si specializzano subito sulle lunghe distanze fin dall’età di sedici-diciassette anni, ma che le distanze del mezzofondo, breve e prolungato siano riservate solo agli agonisti e possibilmente giovani e non abbiano nessuna funzione salutistica è una bufala insostenibile.
Il problema è squisitamente pubblicitario e di mercato. Non c’è nessun interesse di mercato a pubblicizzare un evento sportivo che possa far correre al massimo 10 – 12 o 15 atleti alla volta. In una corsa stracittadina sulla distanza di 21 chilometri possono partecipare tranquillamente anche 10.000 persone. In una competizione sui 1500 metri in pista si possono ospitare al massimo 200 persone se non si vuole fare notte o se non si vuole far competere sui 1500 gli atleti all’alba per lasciare spazio a tutti. La corsa di mezzofondo che pur potrebbe essere pubblicizzata per arrivare a numeri decisamente diversi da quelli attuali non potrà mai offrire occasioni di mercato veramente appetibili perché può muovere in una singola manifestazione solo poche centinaia di persone.
La letteratura sulla corsa si è fermata a “Correre è bello” del quale dobbiamo ringraziare Arcelli, lo stesso Arcelli o altri tecnici avrebbero potuto spingersi un po’ più in la nell’illustrare con la stessa maestria anche la corsa di mezzofondo e, perché no, anche quella di velocità che, pur se con problematiche più complesse può avere una grande funzione salutistica a tutte le età.
Manca un autore del calibro di Arcelli che scriva un libro del tipo “Correre è bello… a tutte le andature e su tutte le distanze”. Io ci provo in modo un po’ maldestro su questo sito a sviscerare il concetto ma non ho certamente i requisiti tecnici ne la splendida capacità espositiva che caratterizzavano il grande Arcelli. Certo se tutti quelli che riprovano a fare il verso a quel famoso testo provassero anche ad immaginare una potenziale diffusione della corsa veloce per tutti oltre che della corsa su strada per tutti forse potremmo ampliare gli orizzonti della corsa ma probabilmente è più conveniente che la discussione resti limitata su binari dove il mercato si muove meglio più che trasbordi su problematiche nuove, insondate e dove non si sa che cavolo si potrebbe vendere per farci qualche soldino.