LA DECRESCITA FELICE NELLO SPORT

Secondo alcuni la decrescita felice è l’unica possibilità che abbiamo per riequilibrarci un po’ ed andare avanti in qualche modo nonostante il collasso abilmente mascherato ma ormai inequivocabilmente conclamato del sistema capitalista.

Abbiamo prodotto troppo, abbiamo inquinato il pianeta in un modo insostenibile ed il fatto che i sistemi di informazione siano fortemente controllati per nascondere le cause di tutto ciò non è che ci ripulisca il mondo e che ci consenta di andare avanti così come se nulla fosse.

La politica si disinteressa di tutto ciò ed invece si divide sui nuovi e vecchi business. Un po’ più tradizionalista la destra che insiste sul petrolifero negando gli innegabili danni di questo sistema, un po’ più innovatrice, ma non nei metodi, la sinistra che punta molto sul farmaceutico ignorando il fatto che il settore farmaci non può essere un business altrimenti la popolazione sta peggio invece di stare meglio.

In un panorama del genere l’unica speranza sono le menti libere che ci dovrebbero illuminare alla ricerca di un futuro che al momento non si vede.

Verrebbe istintivo pensare come le menti libere siano i giovani, non condizionati dalle dinamiche dei vecchi, ed invece i giovani sono invischiati nelle problematiche della scuola, che sono problematiche di vecchio stampo e non aiutano certamente a progettare un futuro nuovo.

Lo sport è immerso in tale contesto perché lo sport, checchè se ne dica, non può essere un’ isola felice e, per esempio, se un personaggio lavora dieci ore al giorno non ha tempo di fare sport e pertanto non ha accesso a questa isola felice che rischia di diventare un’ isola di paraculati che probabilmente potrebbero essere felici anche senza praticare lo sport.

Paradosso dello sport: serve per far sta meglio la gente ma per praticarlo occorre tempo libero e il maggior problema di salute di tanta gente in questo sistema irrazionale è che alla faccia di una meccanizzazione esasperata il tempo libero è sempre meno. Pertanto occorrerebbe una disciplina che ti permetta di trovare il tempo libero e che conseguentemente ti permetta di poterti accostare allo sport. Lo sport senza tempo libero non l’hanno ancora inventato ed è proprio opportuno che non lo inventino.

Ipotizzare una decrescita felice dello sport è esercizio un po’ funambolico di progettazione dell’utopia ed implica una fantasia mica da ridere.

Praticamente, visto che tempo libero ce n’è sempre meno ma che la necessità di fare sport è sempre più impellente, nell’impossibilità di inventare lo sport senza tempo libero, che nessuno di noi vuole inventare, inventiamoci lo sport che ci include anche se siamo potenzialmente tagliati fuori.

Mi spiego. Non sto dicendo che chi non ha tempo libero deve venire lì a dettare legge ed imporre lo stile per chi vuole fare sport ma non riesce a trovarne il tempo. Al contrario, deve essere chi ha tempo libero che deve essere inclusivo nei confronti di chi fa fatica a trovare il tempo libero e deve lanciare un salvagente per chi sta annegando nel sistema dello stress.

Ha ragione chi il tempo libero lo trova, non c’è dubbio, ma bisogna fare in modo che questa ragione, questo privilegio, non vada a tagliar fuori chi, per motivi diversi, fatica a restare attaccato al gruppo di chi ha ragione.

Siamo nell’era dei gruppi, con i telefonini si fanno gruppi per centomila stronzate diverse. Ecco, allora facciamo in modo che nel gruppo metaforico dello sport possa restare agganciato anche chi è un po’ assente e non risponde puntualmente alle mille menate dei componenti del gruppo.

La decrescita felice dello sport vuol dire che nel sistema dello sport ci entri anche se sei un’autentica pippa ed anche se hai pochissimo tempo libero, deve essere un’isola sulla quale si approda senza alcuna difficoltà, poi è evidente che chi riesce a vivere nell’isola con un certo stile può essere più integrato di chi ci vive gran poco ma se vogliamo che lo sport faccia davvero bene a tutti e ci possa salvare dalla civiltà dello stress bisogna fare in modo che sia inclusivo anche nei riguardi di chi offre prestazioni meno altisonanti.

Dunque l’obiettivo non è più solo fare un record del mondo sempre più clamoroso (quello sarà sempre uno degli obiettivi dello sport ed è impensabile che non lo sia) ma anche fare in modo che una certa prestazione per niente eccezionale acquisisca un valore sempre più elevato.

Potrebbe sembrare una contraddizione questa: se la gente fa sport sempre di più il livello medio dei risultati si innalza e dunque un certo risultato che in un certo momento storico poteva avere un certo significato in un momento successivo non ne ha più perché il buon livello è passato ad uno scalino superiore. La realtà di fatti non è questa, se il tempo libero è sempre meno dobbiamo accettare per buoni anche risultati sempre inferiori e questa è l’unica possibilità che abbiamo per tenere agganciate allo sport persone, che, altrimenti rinunciano facilmente motivando il fatto che ormai sono pesci fuor d’acqua. In uno sport inclusivo e rispettoso delle istanze della decrescita felice nessuno è un pesce fuor d’acqua, nessuno è escluso, nessuno è emarginato. Questa è l’utopia di un mondo migliore che hanno fatto respirare da bambino a chi è vecchio come me e su questo punto, scusatemi se sono presuntuoso, sono contento di essere vecchio. Rinnoviamo l’utopia di un mondo migliore anche se siamo immersi nella cloaca dell’iperproduzione. Se non ci riusciamo condizionando la politica bloccata e non sbloccabile, facciamolo partendo dallo sport che ha il vantaggio di offrire grandi spunti di riflessione.