Non c’è bisogno di essere Sebastian Coe e Steve Ovett per essere rivali. I due mezzofondisti inglesi segnarono un’ epoca del mezzofondo in atletica e la loro rivalità è diventata leggenda. Le gesta dell’uno hanno ingigantito la grandezza dell’altro.
Personalmente ritengo che le grandi storie di sport siano più storie di scontri diretti che storie di record’s pur provenendo da uno sport dove il record, la “cifra” è essenziale, ma anche la cifra diventa importante nel momento in cui è inserita in un contesto di sfida con altri. Pietro Mennea è stato reso grande anche dal confronto diretto con Valery Borzov, il record del mondo durato 17 anni è servito a procurargli la sfida indiretta anche con campioni che hanno dominato la scena in tempi successivi ma la scena che lo suggella campione olimpico lo vede impegnato con un altro suo grande rivale: Alan Wells che di record’s del mondo non ne ha mai fatti ma deve essere comunque essere considerato un grande se non altro per… aver impegnato fino all’ultimo centimetro di quella memorabile finale olimpica il mitico Mennea.
Nel mio piccolo ho sempre amato costruirmi grandi rivali e questi rivali sono stati grandi per quanto sono riusciti ad impegnarmi e a costruire sfide imprevedibili più che per il loro valore assoluto di atleti. Ho battuto anche atleti di un certo valore. Ne ricordo uno da 1’48” sugli 800 che ha avuto la brutta idea di prendermi in giro con cattivo gusto pochi istanti prima di una gara di scarso significato. L’ho battuto quasi irridendolo lasciandogli un vantaggio di quasi 30 metri nel primo giro. Probabilmente nel subconscio ho deciso di batterlo così, rischiando di perdere il confronto diretto pur di riuscire a batterlo in modo abbastanza umiliante. Ma anche se era un forte atleta, decisamente superiore al sottoscritto, non l’ho mai sentito un mio “vero” rivale.
I miei autentici rivali sono stati (e… sono!) personaggi simpatici e sinceri con i quali ho fortemente cercato la rivalità per dare colore alle nostre gare e non necessariamente i più forti contro i quali ho gareggiato. E’ chiaro che dovevano crearsi delle situazioni di sfida incerta.
Mi piace raccontare di un crossista master che gareggia ancora, tale Antonio, che mi ha fatto gustare le campestri anche in momenti nei quali proprio di fare le campestri non ne avevo voglia. Antonio ha qualche anno più di me e adesso gareggia in una categoria di età superiore che rende impossibile lo scontro diretto, non è da escludere che quando entro nuovamente nella categoria dove gareggia lui riprenda a correre anche le campestri. Senza offesa per gli altri io mi annoio ad infangarmi le scarpe senza competere con Antonio.
Ricordo un giorno, a San Giovanni, al top delle sfide, che mi gridò dietro verso fine gara: “Adesso ti vengo a prendere!”. Senza voltarmi mi produssi in un’accelerazione allo stremo delle forze per scappare, salvo scoprire poi che aveva oltre cento metri di distacco e aveva approfittato di una zona di percorso dove era vicino a me “in linea d’aria” per farmi prendere paura. All’arrivo quando reclamai che mi aveva fatto fare una volata del tutto inutile mi rispose: “Ma tu, in campestre, devi sempre avere paura di me, anche quando hai cento metri di distacco!”. Ed era così perché anche se in pista non c’era storia perché io andavo meglio di lui, in campestre c’era un’altalena alquanto imprevedibile di risultati che rendeva la sfida imprevedibile e gustosa.
Così nelle corse su strada mi sono “costruito” un rivale che è un mio ex compagno di studi al quale è capitato, un giorno, di andare a correre una mezza maratona nello stesso identico tempo nel quale, lo stesso giorno, io ne ho corso un’altra a 200 chilometri di distanza. Da quel giorno non l’ho più mollato ed ho continuato a torturarlo chiedendo informazioni sul suo stato di forma e preannunciando con grande anticipo le eventuali sfide fra me e lui. Praticamente in tre anni ci siamo sfidati due volte. Come Sebastian Coe e Steve Ovett. Non è necessario che la sfida sia molto reiterata per essere efficace, al contrario se è diradata crea ancora più attesa e può essere gonfiata meglio.
Poi il caso riesce a giocare con grande maestria la sua parte ed allora nella prima sfida sono riuscito a vincere solo grazie ad una breve pausa che ha fatto lui ad un rifornimento che mi ha consentito di prendere un leggero vantaggio, mantenuto con gran fatica fino alla fine, come a testimoniare che fra due “formula 1″(teniamoci su!…) che si equivalgono anche un solo pit stop può essere decisivo per condizionare l’esito della gara.
Nella seconda sfida, di pochi giorni fa, il caso ha recitato ancora meglio la sua parte perché è praticamente impossibile stabilire chi dei due abbia vinto la sfida.
Ci si è messa di mezzo pure l’elettronica. In classifica finale sono davanti io. Ma dalle fotografie si vede una situazione di dubbia interpretazione che io ho giustamente sollevato già pochi istanti dopo la conclusione della gara per lealtà sportiva. In realtà, per conto mio, sulla linea bianca del traguardo è primo lui per qualche frazione di secondo. Poi il fattaccio è che sulla banda magnetica che rileva elettronicamente il piazzamento transito prima io per il semplice motivo che questa banda magnetica è posizionata un po’ dopo la striscia bianca. Io, che sono in rimonta, in quei brevi attimi scavalco effettivamente il mio rivale. La rivalità va alimentata anche con la lealtà sportiva e per conto mio quella sfida lì è come minimo dubbia. Insomma va rifatta. C’è un piccolo problema: che per rifarla io devo recuperare bene quella gara lì e allora mi sa che se ne riparla… fra un anno o due, più o meno come Coe ed Ovett.