Sì, però… E dietro a quel però ci può stare una serie di libri dedicati alla tecnica si corsa ed io, che sono di natura prolisso, faccio un po’ fatica a concentrare la spiegazione di quel “però” in poche righe. Diciamo che farebbe più comodo rispondere alla domanda se la corsa sia o meno una successione di salti con un secco “no” punto e basta. Puntualizziamo che, almeno, la corsa non è solo una successione di salti.
Guardiamo un attimo un salto triplo per capire questo. Tutta l’esecuzione del salto triplo, se vogliamo è una corsa. E’ una corsa dove per i primi metri è importante andare veloce ma poi, improvvisamente, sull’arrivo dell’asse di battuta, l’obiettivo cambia, l’obiettivo non è più andare veloce ma andare più distante possibile con gli ultimi tre passi. Non conta se questi ultimi tre passi li fai in mezz’ora, l’importante è che siano molto lunghi. E’ talmente importante che siano lunghi che addirittura non puoi più dire che stai correndo, negli ultimi tre passi non corri, salti. E c’è tutta una tecnica, che è quella del salto triplo, che ti indica come affrontare questi ultimi tre passi che se anche assomigliassero solo di poco alla corsa ti impedirebbero di andare molto distante.
C’è una esercitazione in atletica, che è quella del salto decuplo (non esiste come gara, sono salti multipli che si adottano come strumento allenante) che per certi versi è molto più semplice tecnicamente dell’esecuzione del salto triplo. Nel decuplo non hai rincorsa e salti per dieci passi più distante possibile, alternando lo stacco con destro e sinistro, proprio come nella corsa. Se cronometriamo un atleta mentre esegue il salto decuplo vediamo che procede ad una velocità decisamente inferiore a quella che lo stesso atleta produrrebbe in un normale sprint sulla stessa distanza percorsa nel decuplo. Nel triplo stesso la velocità di entrata nel primo salto è decisamente superiore alla velocità di esecuzione del salto stesso. Se l’atleta arriva sull’asse di battuta ad una velocità che può essere vicina, se non superiore, ai 10 metri al secondo dopo salterà ad una velocità che probabilmente non supera nemmeno gli 8 metri al secondo. E’ una perdita di velocità netta e repentina che avviene immediatamente in soli tre appoggi.
Tutto questo per dire che, sì, tecnicamente la corsa è una successione di salti, ma la cosa importante di questi salti è che devono essere rapidi e non necessariamente lunghi, o meglio, lunghi compatibilmente con il mantenimento della caratteristica più importante che appunto è la rapidità.
Spostiamoci per un momento dal salto triplo alla marcia e pare che non vogliamo affrontare direttamente l’argomento ma è solo pigliandolo da distante che possiamo inquadrarlo con una certa precisione. Anche la marcia è una successione di salti ed i puristi della marcia saranno inorriditi di fronte a questa affermazione. Guardate che io non sono assolutamente un denigratore della marcia e ne sono invece un appassionato anche se come marciatore sarei semplicemente disastroso perché non ho forse neanche mezza (un po’ di resistenza sì) delle innumerevoli doti che occorrono al marciatore per eseguire correttamente il complesso gesto della marcia. E’ proprio perché sono un appassionato di marcia che mi sono infuriato per il pressapochismo con il quale la Federazione nazionale di atletica ha trattato in campo internazionale la vicenda Schwazer e si è solo occupata di tutelare l’immagine di tutti gli altri atleti invece che di salvare il sedere dell’atleta che è stato letteralmente preso in giro dalla Federazione mondiale di atletica.
La marcia, checchè se ne dica, è una successione di salti, con delle sue regole ben precise ma inevitabilmente una successione di salti. Chiaro che se questi salti sono troppo evidenti (visibili anche a velocità naturale e non solo al rallentatore) l’atleta può essere passibile di squalifica. Ma poi marciare è molto difficile perché anche se non salti (o salti poco…) devi comunque avere una tecnica di marcia che non può prescindere da certe regole ed il buon giudice è li a romperti le scatole per una serie di cavilli che sono più che sufficienti per buttarti fuori prima del termine della gara.
Perché si salta anche nella marcia? Perché, e questa è finalmente la risposta che ci fa capire cosa succede nella corsa, ormai si marcia a ritmi talmente elevati che è praticamente impossibile marciare “camminando”, marciare senza evitare anche una minima fase di volo. Ad essere pignoli (e qui i puristi veramente si infuriano) la marcia moderna è una corsa con delle regole ben precise molto difficili da eseguire ma comunque una corsa perché essendoci una minima fase di volo non è una camminata. La differenza fra cammino e corsa è che nel cammino non esiste fase di volo, nella corsa sì. La differenza fra marcia e corsa oltre che dalle insieme di norme che regolano il gesto della marcia per quanto riguarda la fase di volo (e dunque il “salto” perché di salto si tratta anche se la fase di volo è minima) è che mentre nella marcia questa fase di volo deve essere assolutamente invisibile ad occhio nudo (pena la squalifica) nella corsa la fase di volo è visibilissima e, al contrario, è già tanto se non ti squalificano se ti metti a camminare (comunque, ad alto livello, l’atleta che si mette a camminare viene “osservato” per capire che non sia in una situazione pericolosa per la sua salute, l’atleta di alto livello che “cammina” in una corsa è certamente in una situazione anomala…).
Accettiamo la marcia con una fase invisibile di volo (visibile solo al rallentatore) e, per convenzione, continuiamo a definirla una “camminata” con delle regole ben precise, in realtà sappiamo tutti che non è una vera e propria camminata, l’importante è che i marciatori sappiano marciare bene poi se c’è una minima fase di volo non c’è niente da scandalizzarsi (io, ripetitivo in modo ossessionante, continuo a dire che mi scandalizzo per ben altre cose e, tanto per stare in argomento, è quasi come se avessero squalificato Schwazer, che è un marciatore correttissimo, perché al rallentatore si vede che ha anche lui una fase di volo come tutti gli altri ma… invece hanno trovato tutt’altro sistema per eliminarlo).
A questo punto senza troppa fantasia, abbiamo capito cosa succede nella corsa. Il salto nella corsa non è l’obiettivo ma il risultato della velocità. Nella corsa c’è una successione di passi talmente rapida che si finisce per saltare, da tanto veloce che è questa successione di passi si “vola”. Ma la fase aerea della corsa non è un obiettivo ma una conseguenza della velocità. Non è che corre meglio chi ha una fase aerea più marcata, corre meglio chi va più veloce e se riesce a correre veloce anche con una fase aerea ridotta vuol dire che ha grandi doti coordinative e capacità di economizzare il gesto tecnico. Se poi per correre da record del mondo fa anche grandi salti complimenti, vuol, dire che ha il fisico per produrre quei grandi salti ma quelli non sono ricercati nella sua corsa perché il “saltare” è la cosa che rende dispendiosa la corsa. Ricordo il magico caballo cubano Alberto Juantorena che andava a ritoccare il record del mondo degli 800 metri saltando letteralmente per 800 metri con un’ampiezza di passo da due metri e trentacinque o giù di lì. Erano passi spropositati per una gara di 800 metri ma lui in quel modo ci ha fatto il record del mondo. Siamo liberi di pensare che con una corsa un po’ più economica, meno elegante e meno “saltata” forse avrebbe potuto correre gli 800 metri in 1’40”, tempo che nemmeno dopo 40 anni riescono a fare ma questa è solo una supposizione perché qualcun altro può anche sostenere che Juantorena, con quel tipo di fisico, poteva correre solo che in quel modo e magari cambiando il tipo di corsa, con appoggi più rapidi, si sarebbe infortunato subito.
Il mitico “Alza le ginocchia!” che andava tanto di moda sui campi di atletica molti anni fa, prima che troppi allenatori cominciassero a dire “Corri a 160 battiti al minuto…” era un po’ fuorviante su questa fase di volo inevitabile ma non da esasperare, però aveva un vantaggio, che concentrava l’attenzione dell’atleta e del tecnico sulla tecnica di corsa. Forse non ha senso alzare molto le ginocchia per ottimizzare la tecnica di corsa in molti casi, non almeno dove la fase di volo è già molto accentuata ed alzare ancora di più le ginocchia può portare ad aumentare questa fase di volo e quindi il costo energetico della corsa, però è giusto ragionare in termini di efficienza della corsa. Diciamo pure che si sbagliava ma si sbagliava in modo meno clamoroso di adesso. Si sbagliava perché si riteneva che la corsa dovesse essere soprattutto “bella” e c’era un modello di corsa proposto con lo stampino a tutti i tipi fisici però stavamo analizzando le cose che era giusto analizzare. Adesso che avremmo anche capito alcune cose importanti, che non siamo fatti tutti con lo stampino e che, per esempio, se per qualcuno ha senso correre per tratti prolungati anche a 180 battiti al minuto per qualcun altro questa cosa può avere senso solo ad un numero di battiti inferiore non riusciamo a trasferire questa ampia visione sulle cose veramente determinanti per la corsa. Mentre prima vedevamo male la scena giusta adesso vediamo benissimo una scena che non è determinante e non è importante come quella di prima. Invece che mettere a fuoco abbiamo spostato il punto di osservazione.
Non si tornerà a dire “alza le ginocchia” speriamo che si torni a valutare con interesse i temi legati alla tecnica di corsa magari con la pedanteria con la quale abbiamo perso decenni a rovinarci la vista su splendidi quanto inutili cardiofrequenzimetri. La miopia si affronta anche alzando lo sguardo.