Se fosse per me, a Scienze Motorie prevederei l’introduzione di un corso chiamato “Smarketing”, inventato per poter affrontare in modo razionale la realtà attuale.
Nella realtà attuale un soggetto con un qualche problema fisico, dopo aver fatto un certo intervento, viene indirizzato da un fisioterapista che fa un buon lavoro, lo rimette in carreggiata, ed alla fine di questo percorso il soggetto in questione è pronto per affrontare il buio totale perché il fisioterapista a meno che non abbia la pazienza di dare delle indicazioni di massima da dare al suo ex-paziente perché resti un “ex-paziente” e non torni, invece ad essere un “paziente” a tutti gli effetti, non sa assolutamente da chi spedirlo e il massimo che riesce a dire è: “Mi raccomando non finisca in un supermercato dell’attività motoria che la fracassano di nuovo…”.
Ho sempre sostenuto che i supermercati vanno benissimo per le scatolette di tonno per le quali riescono a praticare prezzi che il dettagliante non riesce a sostenere ma per l’attività motoria proprio non funzionano, anzi causano autentici disastri.
La mancata collaborazione fra medici ed insegnanti di educazione fisica non è colpa di nessuno. E’ inutile stare lì a pensare di chi può essere la colpa, dei medici troppo presuntuosi o degli insegnanti che abboccano alle proposte dei grandi imprenditori svilendo la loro professionalità e contribuendo a costruire un’ immagine dell’insegnante di educazione fisica legata a stereotipi quanto meno discutibili.
Io insegnerei “Smarketing” perché il vero problema dell’insegnante di educazione fisica è collocarsi professionalmente nel giusto posto. Ho scritto “collocarsi professionalmente” e non “piazzarsi sul mercato” perché quello è il punto. Al giorno d’oggi l’insegnante di educazione fisica che non lavora a scuola pensa a “piazzarsi sul mercato”. Già a scuola fa fatica a lavorare come si deve perché i terribili limiti della scuola italiana lo costringono a fare i miracoli per poter lavorare in modo razionale, fuori da scuola è ancora peggio.
Praticamente fuori da scuola l’insegnante invece di lavorare nel modo ottimale è costretto a valutare bene ciò che il mercato chiede a lui. Deve principalmente valutare le esigenze del mercato e si arriva addirittura ad insegnare “Marketing” a Scienze Motorie perché quella è la tendenza, quando invece a mio parere bisognerebbe insegnare “Smarketing” per proteggere la professionalità dell’insegnante dalle insidie del mercato.
La “non-collaborazione” fra medici ed insegnanti di educazione fisica va a danno di entrambe le categorie. I medici non sanno dove mandare gente che deve solo praticare attività motoria e non ha nessun bisogno di essere spennata da nessun imprenditore che vende mode inventate per il mercato ma non per far stare meglio la gente. Gli insegnanti di educazione fisica non sanno dove cercare una clientela che non è istruita dai medici e va a finire proprio dove non dovrebbe andare a finire.
La creazione di un vero rapporto fra medico ed insegnante di educazione fisica forse è un fatto politico più che organizzativo, senza un intervento istituzionale tale rapporto non può essere creato perché il medico non può assumersi la responsabilità di indirizzare il paziente da un certo professionista ed il professionista, nella legislazione attuale praticamente non esiste perchè non è stata ancora inventata la figura di esperto di attività motoria al servizio della cittadinanza.
A “Smarketing” bisogna insegnare agli allievi come fare per demolire quel sistema che impedisce la creazione di un rapporto diretto fra medico ed insegnante di educazione fisica. Se si vuole avere la speranza di creare quel tipo di rapporto bisogna avere i numeri per scardinare quel sistema per il quale “Mentre il medico ti ricostruisce, l’istruttore, alle dipendenze del mercato, è pronto per proporti qualcosa che dopo un po’ possa tranquillamente rispedirti dal medico”.
Questa mi pare un po’ una logica perversa assimilabile a quella dei business cibo-diete che sono strettamente correlati e secondo i quali con una pubblicità spropositata verso il cibo si creano i potenziali fruitori di diete e con la distribuzione di diete impraticabili si creano i presupposti per aumentare i consumatori di cibo spazzatura. Un business alimenta l’altro. Qui in effetti c’è un business e per spezzarlo basta mettersi a mangiare in modo normale oppure, molto più semplicemente, finirla con le diete assurde ma nel campo dell’attività motoria non c’è alcun business alimentato dall’attività motoria che non funziona che possa alimentare il numero di soggetti che intasano l’ambulatorio del medico di base.
Non esiste nessun business di ortopedici che hanno bisogno di lavorare, fidatevi, gli ortopedici purtroppo hanno molto da lavorare anche se gli insegnanti di educazione fisica lavorano benissimo, anzi forse lavorano ancora di più perché se aumenta davvero la quota di popolazione che si serve dell’attività fisica per restare in salute forse aumenta pure il numero di persone che prima o poi hanno bisogno del consiglio di un ortopedico.
Se la salute generale aumenta è nell’interesse di tutti. Non oso pensare che le case farmaceutiche riescano ad interferire nel rapporto medico-insegnante di educazione fisica per scongiurare il pericolo di una contrazione dell’uso dei farmaci, quella è fantascienza del mercato. Forse un settore che può beneficiare di questa situazione è quello degli integratori alimentari. L’ignoranza patologica nel settore in effetti ha portato ad un uso indiscriminato degli integratori alimentari ma lì il business è quello riconducibile al sistema cibo-diete che è un sistema che continuerà ad esistere perché fortemente alimentato da pubblicità e televisione.
Per quanto riguarda il rapporto medico-insegnante di educazione fisica invece non vi sono grandi circuiti, non c’è la televisione, non c’è la pubblicità. No, io non vedo alternative se non, appunto, la creazione di un corso di “Smarketing” a Scienze Motorie. Attendersi che qualche politico lungimirante ponga mano alla materia tentando di disciplinarla in modo razionale (follia del tipo “un insegnante a diposizione ogni 5.000 abitanti…) è pura utopia.
Al momento attuale il paziente fa la cura o l’intervento che deve fare poi va a farsi trattare da un buon fisioterapista e poi va a fare le cose in inglese perché nel momento in cui il paziente è riabilitato cose in italiano non ne esistono più. Smarketing.