Le neuroscienze ci stanno dicendo che la motivazione nell’attività sportiva e nel movimento in genere è determinante e qualifica il movimento in modo decisivo. Forse l’era del muscolo stupido sta finendo. Da decenni sappiamo che un atleta che sa quello che deve fare riesce a farlo certamente meglio di uno dotato di doti condizionali strepitose ma che non sa come muoversi in campo. Però è proprio scientificamente che ci siamo un po’ fermati alle certezze della semplificazione dell’allenamento condizionale supportato dall’integrazione alimentare. Il muscolo è abbastanza stupido, non è poi difficile da allenare, non da grosse sorprese, risponde più o meno sempre nello stesso modo. La strada delle neuroscienze, vista per un lungo periodo come futuribile, è ormai accettata come un qualcosa di appartenente al presente, solo si ha un po’ paura a percorrerla perchè la scelta dell’allenamento condizionale viene ancora vista come la scelta sicura e laddove ci sono fior di investimenti per costruire un’atleta non si vuole rischiare di fare un buco nell’acqua. Il rischio è solo di non avere gli incrementi di rendimento sperati, di non arrivare al risultato di livello assoluto perchè rischi a livello di salute la via indicata dalle neuroscienze non ne comporta, anzi probabilmente ci può consentire di stare anche un po’ più leggeri con l’integrazione farmacologica se è vero che potrebbe anche prevedere una riduzione dei volumi totali del carico di allenamento.
Le neuroscienze ci costringono ad indagare sulla motivazione perchè è da lì che parte l’informazione al movimento. Grazie alle neuroscienze vogliamo anche tentare di capire la motivazione e se possibile tentare di costruirla per orientare nel modo migliore il processo di allenamento. La motivazione è connessa in modo inequivocabile all’informazione, la condiziona e ne è condizionata in una interrelazione che non ci fa capire se è nato prima l’uovo o la gallina. E’ vero che la motivazione dipende molto dall’insieme delle informazioni delle quali siamo in possesso ma è anche vero che dalla motivazione dipende l’istinto a cercare nuove informazioni che andranno a condizionare nuovamente la motivazione in una girandola senza fine.
Se secondo i canoni dell’allenamento condizionale l’atleta doveva semplicemente trovare la motivazione per affrontare la fatica necessaria a gonfiare i muscoli, secondo le neuroscienze l’atleta deve studiare sé stesso per capire cos’ha nel profondo e tentare di migliorare quelle motivazioni che più che portarlo a gonfiare a muscoli possono portarlo a scoprire nuove informazioni per migliorare il suo rendimento sportivo. Nella vecchia concezione l’atleta era un soggetto che pensava poco o meglio in modo abbastanza semplice e volto soprattutto alla semplificazione dei compiti inerenti la preparazione sportiva. Nella nuova concezione, illuminata dalle neuroscienze, l’atleta cerca la massima consapevolezza nel suo essere atleta e nello scorgere tutti quei limiti che di fatto possono ostacolarlo verso l’ottenimento di risultati sportivi di alto livello. L’infortunio, sempre in agguato in preparazioni condizionali un po’ esasperate, purtroppo è eventualità di facile accadimento anche nell’atleta che regola in modo fine la sua motivazione. L’atleta molto motivato è soggetto ad infortuni anche se non esagera con i carichi di allenamento per il semplice motivo che una motivazione evoluta è certamente poco dispersiva e può comunque portare a grandi carichi di allenamento anche in presenza di volumi di carico abbastanza inferiori a quelli adottati comunemente nelle preparazioni di tipo tradizionale.
E’ vero che l’atleta, soprattutto al giorno d’oggi, tende ad infortunarsi molto in palestra in fase di costruzione ma è anche vero che una grande qualità di allenamento qual’è quella suggerita ad un atleta fortemente motivato può aumentare le probabilità di infortunio. Da questo punto di vista la scelta di un metodo anzichè di un altro non ha questa grande differenza di esito, in un modo si rischia per la proposizione di grandi volumi di allenamento nell’altro si rischia per la proposizione di alte qualità di carico.
Se negli atleti di alto livello la diffusione dello studio delle neuroscienze è legata ai risultati che potranno ottenere gli atleti che si allenano seguendo quei criteri, nel basso livello dello sport e nel movimento di massa la diffusione dei principi delle neuroscienze è quantomeno auspicabile perchè ci può portare a fare quel salto di qualità decisivo per evolvere a livello culturale la concezione del movimento per tutti.
E’ difficile capire se abbiamo numeri strepitosi di pseudo atleti rintanati in palestra ad addestrarsi con sovraccarichi e con macchine concepite essenzialmente per la riabilitazione per un fatto di mercato, per motivi di informazione o per un fatto meramente motivazionale.
Molto probabilmente tutte e tre queste cause concorrono a formare il quadro attuale della fruizione del movimento di massa. Il mercato ha la necessità di tenere alta la vendita di macchinari per le sale attrezzate che procurano grandi entrate e muovono notevoli flussi finanziari. L’informazione è mediata dagli attori di questo circo che in collaborazione con manager che non hanno particolari interessi ad ampliare l’offerta di possibilità di movimento di qualità trovano i canali per far rimbombare in un tam tam mediatico che richiama all’essenzialità delle macchine da palestra. In tale contesto gli insegnanti di educazione fisica sono quasi delle figure di contorno che si prestano a tenere in piedi in qualche modo un mondo che non è stato creato da loro che però ha bisogno della loro complicità per sopravvivere. Così, più o meno gli insegnanti di educazione fisica si dividono in due categorie: quelli che accettano di cavalcare l’onda e si sono specializzati a lavorare essenzialmente solo in sale attrezzate e quelli che invece resistono a portare avanti il punto di vista della libertà di movimento rischiando di perdere clienti, proponendo attività apparentemente arcaiche quali la ginnastica a corpo libero e le varie attività praticabili all’aperto senza l’impiego di strutture molto onerose. Inutile dire che i primi sono la stragrande maggioranza e trovare un preparatore che ti prepari senza proporti il passaggio in una sala attrezzata sta diventando una cosa sempre più ardua.
La motivazione infine è costruita sulla base di queste informazioni e pertanto molto spesso non è più la motivazione ad un miglioramento del rendimento sportivo bensì la motivazione a finalità di carattere estetico come ridefinizione delle proporzioni corporee e quindi essenzialmente alla riduzione o all’incremento delle masse muscolari. Talvolta si cerca l’aumento della definizione muscolare come pretesto per liberarsi del grasso in eccesso ma la vera motivazione non è la ricerca di una nuova capacità muscolare quanto la riduzione del grasso appunto. Ed è su questo punto che si gioca tutto l’equivoco della motivazione di chi attrezza le palestre e quella di chi esegue l’attività fisica. Molto spesso queste sono coincidenti. L’allievo non va per migliorare le capacità motorie, va solo per un intervento estetico che potrebbe anche essere solo fino a sé stesso senza comportare alcun miglioramento del rendimento sportivo. In tal caso trova nelle sale attrezzate un possibile ausilio nel raggiungimento di quel tipo di obiettivi. Altre volte va con altre motivazioni un po’ più complesse e vorrebbe per esempio avere un miglioramento delle sue capacità motorie e magari anche degli input per poter mettere in campo queste nuove capacità motorie in qualche disciplina sportiva e per provare un certo entusiasmo verso l’attività fisica. In tal caso fatica a trovare riscontri oggettivi in palestre che al di la della scheda per una nuova definizione muscolare non sanno darti altre idee.
Se facciamo partire tutto dal mercato il gioco finisce in un qualcosa che non ha nulla a che fare con le neuroscienze, che si limita a considerare ancora l’allenamento condizionale con finalità strutturali e dove la motivazione può e anzi “deve” essere confinata a quella che permette di svolgere senza affanno determinate esercitazioni. “Deve” essere confinata a ciò perchè una motivazione più evoluta e matura ti porta ad uscire dalla palestra, ti porta distante dal mondo delle sale attrezzate, e ti porta a scoprire l’attività fisica in tutte le sfaccettature e non solo in quelle utili al mercato per piazzare i suoi prodotti. Secondo questa logica l’incremento delle capacità prestative, a qualsiasi età è la cosa più spontanea che si possa volere mentre il rimodellamento dei volumi corporei passa decisamente in secondo piano. Non siamo più schiavi del nostro corpo bensì padroni del nostro corpo del quale ci serviamo per avere più possibilità di movimento. A quel punto siamo decisamente interessati a scoprire e ad evolvere la nostra motivazione al movimento ed in quello ci possono venire in soccorso le neuroscienze e pure un tecnico evoluto che va un po’ al di là delle quattro acche che si fanno nelle sale attrezzate.
E’ chiaro che la diffusione delle neuroscienze non fa comodo a tutti, amplia decisamente la capacità di pensare e di conoscere sé stessi e nella società attuale porta come minimo a richiedere un tessuto sociale che offra più libertà di movimento per tutti. Il cittadino che prende consapevolezza delle proprie capacità di movimento per certi versi è un cittadino scomodo, è meglio tenerlo rinchiuso in palestra ma, se questo è l’obiettivo, non ha senso scomodare le neuroscienze.
Non penso che si arriverà a bloccare lo sviluppo delle neuroscienze applicate al movimento per limitare le richieste dei cittadini e pertanto la strada è già tracciata. Bisogna solo attendere con pazienza perchè l’informazione corretta viaggia molto lentamente, molto spesso soffocata e mal veicolata da quella deviata. Attendiamo fiduciosi i responsi delle neuroscienze. Difficilmente ci diranno che la motivazione si costruisce pedalando in palestra.