Oggi sono andato a Trento a correre una mezza maratona. Risultato disastroso ma mi sono divertito. Mi sono divertito perché essenzialmente mi diverto a correre ma c’è una cosa che nettamente mi ha tirato su il morale. Il pubblico di Trento, i cittadini di Trento. La gara in sé per sé non ha brillato per capacità organizzative, ci sono delle lacune tipiche delle gare che si stanno evolvendo e che devono prendere un po’ le misure con le nuove dimensioni che acquistano di volta in volta. Buona volontà ma qualche errore di valutazione dovuto proprio alla “crescita” della manifestazione. Dunque se l’organizzazione arriva alla sufficienza per la buona volontà, la manifestazione nel complesso va ben oltre la sufficienza e, a mio parere, si prende un “sette” pieno per il comportamento dei cittadini di Trento. Non che ci fosse una folla oceanica a vedere la gara anche per colpa di una mattinata climaticamente incerta ma quelli che c’erano li ho visti decisamente attrezzati ad ospitare una signora manifestazione. Cominciamo dal pubblico per arrivare poi su quello che è uno dei tormentoni nella mia analisi delle manifestazioni podistiche. Al pubblico non si chiede molto ma si chiede che proprio non ti ignori del tutto. L’indifferenza è peggio dell’odio. Il pubblico di Trento non è assolutamente indifferente e, anche se non urla a squarcia gola, dimostra comunque di avere interesse per la manifestazione ed ha parole di conforto per chi sta facendo la faticaccia (oggi 21 chilometri, sono più che sufficienti per una discreta sudata). Anche per gli ultimi e lo può testimoniare il sottoscritto che non ha certamente bazzicato per le posizioni migliori della competizione. Il pubblico vuol dire tanto, eccome. Sentirsi accettati è importante. Vedi la città (che io, fra l’altro, apprezzo molto ma la conoscevo già perché non era certamente la prima volta che ci andavo) ma senti anche i cittadini, i suoi abitanti. I monumenti possono essere belli o meno belli, ma insomma sono muti. Il pubblico proprio lo senti e cambia tantissimo il suo peso se è coinvolto. Dicono che con il sole vedi le città molto più belle. Ecco con il pubblico presente (dove per presente si intende che non è concentrato solo sullo shopping ma è interessato alla manifestazione) i cittadini li vedi decisamente più belli. Per cui già per il pubblico ero contento. Poi c’è uno dei miei tormentoni che io ingigantisco a dismisura e che dico che è la cosa che ti fa capire il grado di civilizzazione di una città, addirittura di una “nazione”, perché ovviamente una città è inserita in un contesto culturale che è nazionale. Il tormentone è quello sul pubblico… in automobile. Sono quei cittadini che non avevano deciso di dedicare la mattinata a quella manifestazione ma ci si sono trovati dentro. Il pubblico “occasionale”, il pubblico “costretto”. Con una bruttissima definizione io lo chiamerei il pubblico “passivo”, quello che invece di andare a vedere la gara la “subisce” perché se la trova sotto casa o su un suo percorso stradale. Ebbene con queste persone, che non erano poche proprio per qualche lacuna organizzativa che il comitato organizzatore può migliorare, Trento ha preso dieci e lode. Non ho sentito un automobilista protestare. Non uno che fosse uno e, ripeto, erano tanti e non viaggiavo certamente come un missile da non sentire eventuali commenti cattivi e non ero decisamente fra i keniani che ti lasciano a bocca aperta da quanto corrono bene. Pur correndo nelle retrovie e bloccando decisamente la città perché sono quelli come me che bloccano la città, non quelli che corrono ai 20 chilometri all’ora, non ho sentito neanche da parte degli automobilisti nessun commento cattivo volgare e/o scocciato. Ero perfino incredulo e per alcuni momenti, riprendendo la mia proverbiale polemicità, arrabbiato del fatto che tale atteggiamento nei confronti di queste manifestazioni non sia così in tutta Italia. Non sono riuscito a stare zitto e durante la gara ho fatto questo commento e un podista simpatico ma concreto mi ha redarguito: “Oggi non pensiamo alle altre città, pensiamo a Trento che ce l’abbiamo qui!” Praticamente questo mi ha ripreso perchè invece di sottolineare l’educazione dei trentini ho evidenziato il vuoto culturale di tanti altri cittadini italiani che quando si corre nella loro città riescono a rendersi protagonisti di episodi incresciosi.
Trento al limite dell’utopia, pubblico attento ed automobilisti molto educati, quasi un sogno. A riportarmi alla realtà la mia prestazione piuttosto disastrosa e le lacune organizzative alle quali accennavo prima che però in un contesto simile si possono assolutamente rimediare. Un esempio quella delle lunghe colonne di auto: se studi il percorso un po’ meglio puoi evitarle, chiaro che se poi si formano perché hai fatto male i conti ed i cittadini te la perdonano sei in una botte di ferro e puoi andare alla correzione per l’anno successivo in tutta tranquillità. Un po’ più evidente e clamoroso il problema docce. La doccia fredda per quelli che arrivano nelle retrovie come il sottoscritto non è una novità (a tal proposito devo fare i complimenti a Ferrara dove miracolosamente anni fa riuscii a fare la doccia calda arrivando fra gli ultimi e pure in ritardo perché ormai mi ero disilluso sul fatto di poterla trovare calda e me l’ero presa proprio con comodo) ma la coda chilometrica per fare la doccia non si può sostenere. Ci sarà senz’altro rimedio.
Questo episodio della doccia sofferta ma necessaria abbinato ad una eccezionale pizza consumata a Rovereto un po’ dopo mi ha fatto volare sulle solite considerazioni pseudo filosofiche che io elaboro un po’ troppo spesso.
Ho fatto tre fatiche oggi con tre conseguenti godurie notevoli. Una gara abbastanza faticosa dove mi sono divertito perché mi sono sentito accolto da un bel pubblico (e poi, ovviamente, perché a me piace correre) una doccia molto faticosa (coda eterna e poi pure ghiacciata) ma assolutamente gradita perché era impensabile farne a meno ed una pizza notevolissima che mi è costata fatica pure quella perché praticamente avevo già pranzato sul luogo di gara ma ho avuto l’intuizione che lì mi facevano una gran pizza e, anche se ho fatto fatica a farcela stare, è stata una fatica che ho fatto molto di gusto.
Mi chiedevo (e qui si scatena il mio tarlo filosofico) se la corsa per me è stata più “Una doccia fredda e scadente ma assolutamente inevitabile” o “una gran pizza che si poteva assolutamente evitare ma insomma era così buona che bisognava approfittarne”.
Andando per esclusione mi tocca dire che non può essere stata una gran pizza e dunque è più assimilabile ad una doccia fredda ma necessaria. Dopo oltre quarant’anni di corsa non riesco ad ottenere prestazioni esaltanti (nessuna gran pizza) ma correre è diventato necessario, più di un tempo. E così, anche se la prestazione di oggi è assimilabile ad una doccia fredda (in genere però le docce fredde sono impreviste, quelle di oggi erano abbastanza previste sia quella vera con l’acqua che quella metaforica del risultato scadente…) mi tocca dire che oltre che necessaria mi sembra pure una gran pizza. Forse il discorso si completa dicendo che, nonostante che sia una gran pizza faccio fatica a finirla perché ho già mangiato prima. Insomma dopo 40 anni di corsa sei sazio ma non riesci comunque a fare a meno di correre. La corsa da assuefazione, se chi ti vede correre ti sopporta è molto più divertente altrimenti più che uno che si da da fare per restare in salute rischi di sentirti un problema sociale. Ma il vero problema sociale sono i sedentari, non gli atleti un po’ (un po’…) rallentati che bloccano il traffico delle splendide città italiane.