Potrebbe sembrare essenzialmente un qualcosa che riguarda la psicologia un confronto fra illusione e realtà ma siccome l’accostamento è con gli obiettivi sportivi mi ci metto di impegno e provo a formulare delle ipotesi.
Ipotesi senza ambizione di giungere a nessuna conclusione. Illusione e realtà sono già difficili da definire di per sé e facciamo pure fatica a capire quale sia l’una e quale sia l’altra. A volte la realtà è solo illusione, altre volte l’illusione è realtà. Siamo già sul difficile subito all’inizio. Se la realtà è solo illusione poco male se in questa realtà ci viviamo bene. Se l’illusione è realtà ancora bene fin che riesce a stare in piedi e a condizionare in modo positivo la realtà. Il problema è quando viviamo una realtà scomoda che non possiamo nemmeno chiamare illusione ma non è autentica anche se ci fa male come se fosse autentica (alcune fobie assolutamente insensate) oppure quando un’illusione forte ci sostiene per un po’ ma poi presenta il conto con una grande delusione che guasta notevolmente la realtà.
Allora, scendendo all’ambito sportivo, si tratta di vedere se il gioco vale la candela. L’illusione può essere anche un buon motore nella ricerca a risultati sportivi di un certo livello, poi o si trasforma in realtà o presenta il conto nel momento in cui ci si rende conto che non potrà diventare realtà.
L’analisi fredda della realtà può anche andare bene come l’illusione e forse anche meglio nel momento in cui tutto funziona a dovere ma non va più tanto bene quando è una realtà difficile, troppo difficile per non necessitare di uno stacco mentale su qualcosa di meno razionale ma più fantastico.
Come sempre ci vuole un buon equilibrio fra le cose ma, in ambito sportivo mi permetto di segnalare come a volte una sana illusione sia essa stessa una bella realtà.
E’ molto facile che l’atleta faccia dei programmi anche più ambiziosi di quanto si possa pensare razionalmente ma questi programmi possono calare in un atmosfera di entusiasmo che è decisamente concreta e per un certo periodo riesce a dare una spinta molto energica.
Possiamo tranquillamente ammettere che la maggior parte degli atleti, soprattutto nelle categorie giovanili, sono spinti da questo tipo di motivazione che si fonda sostanzialmente su una valutazione più che positiva di tutti i fattori di prestazione. Basta che anche uno solo di questi non vada come previsto che il risultato non arriva o magari arriva non nei termini previsti.
Nel tentare di bilanciarsi fra questa utilizzazione dell’illusione per fini motivazionali e analisi della realtà per porsi al riparo da sorprese negative è opportuno valutare un po’ i pro ed i contro di questi atteggiamenti.
L’eccesso di illusione può portare a dinamiche psicologiche di tipo complesso direi al confine con il rischio di nevrosi. C’è un grande investimento emotivo iniziale che poi può non far tornare nulla. Per certi versi è un investimento ad alto rischio a livello psicologico e direi che sia una delle maggiori cause di abbandono precoce (verso i vent’anni ma talvolta anche prima) dell’attività sportiva. Praticamente l’atleta vive con grande entusiasmo l’attività solo all’ombra del fatto che potrà ottenere grandi risultati ed è questa la molla che lo fa partecipare con assiduità a tutti gli allenamenti, se questa molla salta l’atleta può essere portato ad interrompere del tutto la carriera sportiva coadiuvato in questa scelta scellerata da una serie di circostanze che possono costituire anche vincoli oggettivi ad un’agevole prosecuzione dell’attività.
L’analisi della realtà, della quale sono un sostenitore non accanito ma un po’ sorprendente in uno sport dove io decanto sempre la grande importanza di una vena romantica, ha ovviamente anch’essa svantaggi vantaggi e lo svantaggio principale è, manco a dirlo, che fa sognare poco a meno che l’atleta non abbia una grande capacità di differimento di scindere cioè fra ciò che può accadere fra pochi mesi rispetto a ciò che può accadere fra qualche anno. In sintesi deve essere più lungimirante l’atleta che analizza freddamente la realtà di quello sognatore, perché il primo non può obiettivamente sperare di fare cose miracolose in breve tempo.
Il vantaggio dell’analisi obiettiva ed attenta della realtà è che ti può portare a vedere la fine di chi ha sognato troppo e questa cosa anche se da un punto di vista sportivo è triste, dal punto di vista del risultato è quella che ti può premiare. Non fai i miracoli ma mentre gli altri non resistono all’urto di una realtà con la quale non sono abituati a confrontarsi tu resisti e piano piano sali la scala che porta al risultato veramente interessante e non frutto di una fiammata di gioventù.
Insomma bisogna saper miscelare una buona dose di fantasia per non stressare troppo la psiche e dare ossigeno al sogno con una buona dose di razionalità per non cascare nella voragine del giovane disilluso che vuole a tutti i costi entrare a far parte del mondo professionistico dello sport ma quando capisce che non ce la farà crolla perché sotto non c’è un’altra motivazione importante.
In ogni caso la carriera sportiva affrontata con spregiudicatezza o anche con razionalità è sempre un percorso leggendario che purtroppo non può durare troppo a lungo perché tende inevitabilmente e tramontare ben prima di aver raggiunto un certo tipo di maturità.
Ecco, la mia osservazione finale, che non è certamente una conclusione ma solo un auspicio, è che visto che la carriera di un atleta termina attorno ai 30-35 anni e comunque quasi mai prima dei 25, e appurato il fatto che invece nella maggior parte dei casi schianta già verso i 18/19 anni scegliere un bel mix di approccio fantastico con obiettiva analisi della realtà sia il presupposto migliore per sognare una carriera che arriva a destinazione invece che interrompersi molto prima. E quello è già un gran bel sogno che forse dobbiamo avere il coraggio di illustrare meglio ai nostri allievi, altrimenti pare davvero che lo sport sia destinato solo ai primi quando in realtà fa bene alla salute a tutti e la salute deve essere a disposizione sia dei primi che degli ultimi. Non si sogna di arrivare ultimi, ma di resistere agli ostacoli che si incontrano sul percorso e riuscire a passarli per andare avanti, se ci riescono in pochi vuol dire che purtroppo non è per niente facile.