IL SITO ELITARIO

Da più parti mi giunge il monito: “Buttati in politica! Trovi le parole giuste per esprimere le istanze dei  ciclisti repressi che pedalano su una cyclette in palestra e vorrebbero pedalare in sicurezza per le vie della propria città. Ormai sono tanti ed hai un bacino di voti potenzialmente interessante…”.

Mi tocca stroncare con poche parole questa fiducia ma tento di non essere disfattista e non smorzare ogni entusiasmo. Non posso entrare in politica, materialmente e pragmaticamente per il semplice motivo che non ho i pacchetti di voti. O meglio potrei entrate in politica facendo l’iter che fanno più o meno tutti gli aspiranti politici e pertanto la vera e propria gavetta dove il politico dimostra al partito di essere portatore di voti e poi pian piano il partito riconosce questa capacità e premia il politico aspirante con i pacchetti di voti e questo pian piano, un po’ con le proprie capacità e un po’ con l’appoggio del partito, sale la scalata a posizioni sempre più importanti nel contesto politico.

Non ho queste capacità e penso che seguendo l’iter potrei diventare un politico effettivamente operativo all’incirca nel maggio del 2054 data nella quale, tutto sommato, mi auguro di essere catapultato in una realtà meno concreta e più impalpabile di questa.

Quello che posso fare è la politica di tutti i giorni, quella che noi tutti facciamo anche quando decidiamo di prendere la nostra automobilina come al solito oppure di inforcare in modo temerario la bicicletta alla faccia dei pericoli e delle scomodità che sono riservate al ciclista al giorno d’oggi.

Quando scrivo così dimostro chiaramente di sapere qual’è il trattamento “politico” riservato al ciclista al giorno d’oggi. Diciamo pure che tutti i ciclisti “normali” nelle nostre città “normali” potrebbero normalmente dichiararsi prigionieri politici in una situazione che a ben pensarci di normale non ha veramente nulla e continua invece ad avallare in modo allucinante e assurdo il maltrattamento più inconcepibile della categoria dei ciclisti.

Questo e un sito elitario, è inutile nasconderlo. Chi mi vuole attaccare dice semplicemente che è radical chic ed io non so se respingere al mittente il mezzo attacco perché non so nemmeno se sia un attacco o un complimento. Quasi quasi, bluffando vorrei dire che sono effettivamente radical chic ma con questa ammissione farei trapelare una gigantesca balla perché per essere radical chic bisogna essere anzitutto ricchi. Hai poco da fare il radical chic se non sei ricco e pertanto se fai finta di esserlo vuol dire che vuoi atteggiarti a persona agiata senza esserlo. Non è così, navigo anch’io nella ‘mmerda come la maggior parte degli italiani e, per dirvi, sto pure attendendo di capire se il governo attuale non si è inventato qualcosa per limitarmi il ristoro come collaboratore sportivo perché, come avrete ben capito almeno dal mio italiano, io non sono un giornalista, mestiere “non mestiere” per il quale non percepisco il becco di un quattrino, e da quel punto di vista dovrei essere tranquillo  sull’elargizione del ristoro, perché purtroppo sopravvivo solo con quello.

Però, dopo questa parentesi che mi fa essere più vicino ai miei lettori e quindi potenziale raccoglitore di miliardi di voti, devo comunque ribadire che il sito anche se non radical chic è comunque terribilmente elitario. Lo è proprio per il motivo opposto. Navigando nella mediocrità non posso nemmeno permettermi quei trucchetti di evidenziazione del sito che ti permettono di passare nella diffusione da zero a poco più di zero. Trucchetti con i quali il vero “radical chic” dice: “Io ho un sito che mi leggono un sacco di persone, ben più di tutti i miei parenti…” Ecco io non posso scrivere nemmeno che mi leggono tutti i parenti ed è meglio che sia così perché qualcuno potrebbe pure dire: “Accidenti che inguaiato che stai… potevi pure dirlo…”.

Il problema non è questo perché il mio istinto (stavo per scrivere il mio “compito” come avrebbe scritto un vero politico ma mi sono corretto) è quello di far capire a chi è interessato a certi argomenti quale sia la portata della posta in gioco. Non mi interessa portare dalla mia tanti lettori per avere i “voti”, mi interessa semplicemente disquisire di attività motoria (perché alla fine di questo si tratta) senza dover nascondere nulla e scrivendo davvero di quelle che dovrebbero essere le necessità di movimento di un qualsiasi cittadino.

Allora è un sito elitario perché i ciclisti, anche se potenzialmente tanti, sono ancora relativamente pochi e la maggior parte sono quelli che pigliano la bicicletta per fare un po’ di movimento e non per andare a lavorare e/o nei normali spostamenti di tutti i giorni.

Quando scrivo che la rivoluzione ciclabile è la base della rivoluzione ecologica e dunque è la base di una rivoluzione culturale che potrebbe davvero portare ad un nuovo sistema economico pare che faccia lo scienziato pazzo che teorizza scenari apocalittici e soluzioni drastiche futuribili. Scommetto che molta gente mi immagina un po’ come “Doc” di “Ritorno al Futuro”. No, non ho la DeLorean e nemmeno un centesimo delle capacità recitative del leggendario Cristopher Lloyd ma quando spiego perché anche uno straccio di corsia ciclabile ha implicazioni che sconvolgono il mondo mi rendo perfettamente conto di somigliargli e mi pare che la sua DeLorean sia un pochino parente della mia fantastica bici elettrica che non dico assolutamente di che marca è altrimenti tutti dicono che sono il classico venduto che si inventa un sacco di storie solo per fare pubblicità ad un certo prodotto.

Non possiamo pensare a compartimenti stagni, immaginare che si possa incentivare la mobilità del futuro favorendo pedoni e ciclisti senza influire su cose che hanno radici enormi e di una stabilità incommensurabile. Non è difficile tirare quattro righe per terra, si può fare senza problemi. E’ stato fatto praticamente in tutta Italia, dicendo che era anche per il Covid (e questo è un po’ un limite perché ci sono motivi che vanno ben oltre il Covid per queste cose e dicendo che è per il Coivid pare un po’ come dire “Tranquilli che poi tornerà tutto come prima…”) ma non c’è stato un cambio di passo perché non c’è stata la volontà politica di volerlo fare. Essenzialmente si è sprecata un po’ di vernice perché eravavamo obbligati a farlo e devo ancora capire se per direttive europee o per cosa perchè nessun “controllore” di questa vernice sprecata ha obiettato nulla sull’inefficacia delle soluzioni adottate.

Se pensiamo che si possa aumentare il numero dei ciclisti senza tirarli giù dall’automobile evidentemente non abbiamo presente elementari teoremi della fisica. Ce n’è uno che recita che: “Un automobilista non può provare la sua splendida bicicletta nuova mentre sta andando a lavorare in automobile, al più può provarci nel fine settimana quando non lavora e può fare quel cavolo che vuole del suo tempo libero.”

Ora io non sono un buon politico perché tutti sono a dirmi che questo teorema della fisica me lo sono inventato io ed invece io mi soffermo sul fatto che la bici come strumento per un buon impiego del tempo libero non può essere il nostro impegno di cittadini responsabili. Arrivo a dire che se nei giorni feriali usiamo davvero la bici nel fine settimana possiamo pure a metterci ad usare l’auto anche con l’entiusiasmo degli automobilisti degli anni ’60 girando questa moda dell’utilizzo della bici nel fine settimana per la gita fuori porta. Non è usando la bici in quella gita che salviamo le città italiane.

Pertanto il problema politico complesso è tirare giù l’italiano medio sano (o “quasi” sano perché siamo più o meno tutti mezzi malati d’auto e c’è pure chi non si ricorda più come si fa ad andare in bici) dall’auto per metterlo in bici e per questo compito ciclopico non è certamente sufficiente tirare quattro righe per terra a fianco delle strade per le auto. Ora, i costi economici di tale operazione lo capisce anche un bambino dell’asilo che non sono solo quelli derivanti dalla ristrutturazione dell’assetto urbano ma sono quelli ben più gravosi derivanti da un sostanziale cambiamento della abitudini della maggior parte dei cittadini. Dire che una rivoluzione simile, nel lungo periodo ci porta a rivedere l’intero sistema economico non è azzardato perché se ammettiamo che solo il Covid ha già avuto ripercussioni decisive sul sistema economico non possiamo negare che il passaggio all’economia dell’ecologia ne avrebbe di ancora più consistenti.

C’è chi sostiene che l’attuale economia, proprio perché è stata sconquassata dal Covid non può permettersi il lusso di affrontare la questione ecologica.

E’ come dire che un paziente ammalato di cancro, siccome c’è in giro il Covid deve rinunciare alle terapie per tentare di sconfiggere il cancro.

Capite che io non ho il lessico, i numeri, la “statura politica” se mi ritenete davvero un politico per contrastare le istanze di chi la pensa così.

Pertanto ammettiamo che qui sopra si fa pure politica ma è politica spicciola, legata alle questioni di tutti i giorni ed il mio credo politico si risolve nell’aprirvi gli occhi sul fatto che, se potere scegliere, senza rischiare la vita, fra pedalare in palestra o pedalare nelle vie della vostra città c’è una differenza umanamente e politicamente colossale.

Rilancio la proposta, voi dite che sono un politico? Io vi dico che lo sono solo se vi convinco a parlare di questo cose, con chiunque, parente, amico, vicino di casa, non necessariamente con i vostri referenti politici. I vostri referenti politici, come tutti i referenti politici vanno dove ci sono i voti, altrimenti sono costretti a smettere di fare politica. Se il discorso base è come rilanciare l’economia allora sapete già che dovete attendervi un certo tipo di scelte, se invece è cambiarla sappiate che per tale progetto non è pronto proprio un bel niente e che tale progetto può nascere solo da nuovi punti di vista delle persone comuni.

Le quattro righe per terra possono avere anche un fortissimo impatto politico nel momento in cui la gente, invece di ignorarle, decide che quella è la goccia che fa traboccare il vaso, la firma per la quale è opportuno tentare di farsi prendere un po’ di meno per i fondelli.