Questo articolo non esiste perché qualsiasi cosa scriva non ha senso che venga scritta se va in contrasto con quanto da voi provato sul campo, in breve è un articolo che può essere scritto solo sul campo e non da un punto di vista teorico.
Il perché è presto detto. Un atleta professionista che si allena circa 600 volte l’anno è probabile che vada a marcare specificamente ed in modo vincente le mappe cerebrali che hanno direttamente a che fare con la competizione che prepara circa 7-8 volte in un anno. Un atleta che si allena normalmente 200 volte in un anno (4 volte la settimana) è facile che riesca in tale intento anche solo due o tre volte l’anno. La questione è piuttosto disorientante e c’è di più: c’è qualche professionista che riesce pure nel miracolo di non riuscire a migliorare il rendimento sportivo pur essendo nell’età del massimo rendimento anche con una preparazione che prevede 600 o 700 sedute di allenamento all’anno. La questione è a dir poco imbarazzante e ci fa chiedere se questi atleti li prepariamo alla competizione o se in realtà li distruggiamo e basta.
La stragrande maggioranza delle sedute di allenamento servono da “contorno” per creare i presupposti perché alcune sedute altamente specifiche, collocate nel giusto momento, possano risultare azzeccate e vadano effettivamente a marcare le mappe cerebrali fornendo nuove informazioni per un miglioramento del rendimento sportivo. Non serve a nulla costruire i presupposti organici e biochimici per una certa prestazione sportiva se poi non acquisiamo le esatte informazioni motorie per produrre un tale gesto sportivo. E’ come avere fra le mani una Formula uno senza saper guidare, tanto vale andare in bicicletta, facciamo prima.
Istintivamente ci si può chiedere se vale la pena sprecare tanto tempo in lunghe esercitazioni di allenamento spesso molto aspecifiche se poi le sedute che veramente provocano il miglioramento decisivo sono così poche.
La risposta è obbligata perché se non vogliamo che le sedute decisive siano ancora meno dobbiamo comunque indugiare su un gran numero di sedute di allenamento che pare che con l’obiettivo finale non abbiano nulla a che spartire.
Tali osservazioni probabilmente sono di ammonimento a restare particolarmente concentrati nel periodo di trasformazione della preparazione in quello che è il vero momento del perfezionamento sportivo e al tempo stesso può fornire gli elementi per restare un po’ rilassati nel periodo di costruzione, Per assurdo può anche essere che fra svolgere 400 sedute di allenamento di periodo di costruzione o svolgerne solo 200 non cambi poi molto. Non è la prima volta che un’atleta anche di alto livello giunga al record personale sulla propria gara avendo saltato quasi completamente la preparazione invernale per colpa di qualche infortunio. Ciò non vuol dire che la preparazione invernale sia del tutto inutile ma che, almeno con riferimento ad alcuni risultati della stagione agonistica, può avere anche meno significato di quella che è la vera e propria messa a punto estiva.
Viene in mente il tormentone sull’utilità di correre le corse campestri per i mezzofondisti che gareggiano in pista sugli 800 metri e sui 1500 metri. Alcuni di loro, soprattutto millecinquecentometristi, si prodigano nella partecipazione ad un buon numero di corse campestri anche su chilometraggi che nulla proprio hanno a che vedere con la distanza dei 1500 e dopo ottengono buoni risultati sui 1500 metri e sugli 800 metri. Altri di loro proprio non si sporcano nemmeno le scarpe e non prendono parte a nessuna campestre nemmeno per sbaglio e poi nella stagione agonistica all’aperto ottengono risultati anche migliori di quelli che hanno partecipato alle campestri.
Insomma anche se la preparazione di un atleta di buon livello può essere semplicemente colossale come numero di sedute di allenamento e volume delle esercitazioni affrontate è opportuno tenere presente che poi i dettagli che vanno a determinare la qualità finale del risultato agonistico è determinata molto spesso dalle modalità esecutive di poche sedute di allenamento di alta qualità svolte nel periodo immediatamente prima delle gare o anche addirittura nel periodo agonistico vero e proprio.
Inutile precisare come il livello di concentrazione durante queste sedute deva essere elevatissimo per poterne massimizzare gli effetti e su questa osservazione mi viene da chiudere con una nota massima di un mio amico lanciatore che già una trentina di anni fa vagava per i corridoi dell’Isef (allora si chiamava così) dicendo: “La qualità del processo di perfezionamento sportivo dipende dalla somma dei gradienti di concentrazione delle singole sedute di allenamento…”. In sintesi voleva dire “Non conta nulla che ti alleni come un disperato se ti alleni con lo spirito di un lavoratore che sta timbrando il cartellino, se vuoi migliorare in modo decisivo devi essere terribilmente concentrato su ciò che fai per migliorare la qualità delle sedute di allenamento.”
Che poi “qualità” non sia sinonimo di “intensità” quella è un’altra storia e allora io a ciò che diceva il mio amico già trent’anni fa aggiungo che “L’importante non è far fatica ma capire ciò che si sta facendo, e se c’è una fatica da fare è proprio questa perché per assurdo, nel mezzofondo bisogna proprio restare concentrati per capire come fare meno fatica possibile…”. Discorso apparentemente contraddittorio ma evidentemente in uno sport dove esiste concretamente il rischio di fare troppa fatica chi fa troppa fatica non va da nessuna parte, si stressa e basta e crea i presupposti per infortunarsi o comunque per interrompere la carriera sportiva anzitempo.