Siamo portati a credere che il grande campione sia quello allenato a sopportare stati di fatica sempre più elevati, al contrario il grande campione è quello che riesce ad ottenere un grande rendimento agonistico facendo meno fatica degli altri. Nel finale di una gara di mezzofondo la maggior parte delle volte vince la gara l’atleta che si presenta nel tratto finale avendo fatto meno fatica degli altri e pertanto può giocare una volata finale quasi come se stesse partendo da fermo per una gara di 400 metri o di 200 o 100 metri quanto à lunga la volata che decide di fare.
Anche lì si crede che il campione sia quello che vale tempi eccezionali sui 100 o sui 200 metri e pertanto, partendo da queste basi non fa molta fatica a giocare un grande 100 metri finale. Tutt’altro, la maggior parte dei mezzofondisti le prendono da tutti i velocisti, anche quelli di medio livello, e probabilmente non centrerebbero una qualificazione ad una finale sui 100 metri neanche in un campionato regionale. Però anche un mezzofondista di livello mediocre è in grado di battere negli ultimi 100 metri di una gara di mezzofondo anche il migliore dei velocisti in circolazione. Perché? Perché il migliore dei velocisti in circolazione, se è davvero un velocista, alla fine di una gara di 800 metri o peggio ancora di 1500 metri ci arriva massacrato anche se non è condotta a ritmi stratosferici e così rischia di perdere 4 o 5 secondi sulla sua capacità prestativa massimale mentre lo specialista di mezzofondo sulla sua capacità prestativa massima perde poco più di un secondo se arriva nel tratto finale senza aver fatto troppa fatica. Dando i numeri il velocista di fama internazionale capace di 9″0 sui 100 metri lanciati alla fine di un 800 è già tanto se ti gioca 14″ mentre l’ottocentista mediocre, capace di un modesto 11″0 lanciato sui 100 (fa poco meno di 12″ netti sui 100 con partenza da fermo) é capace di correre senza problemi in 13″ gli ultimi 100 di un normale 800 tattico.
Allora si capisce come il problema della fatica sia centrale nelle gare di resistenza e l’atleta che riesce a fare poca fatica aumenta di molto le sue possibilità di giungere al successo finale.
Il buon allenatore non è quello che insegna al suo atleta a sopportare sempre meglio la fatica bensì quello che gli da tutti i numeri per fare meno fatica possibile.
Non ci si allena alla fatica e molto spesso sono proprio i giovani che non si sono sottratti a fatiche troppo elevate a mollare anzitempo la carriera agonistica perché le fatiche troppo elevate lasciano il segno, non solo da un punto di vista psicologico ma anche da un punto di vista fisico. Il primo segnale di un sovraccarico funzionale è proprio la fatica, se si resiste a quella il passo successivo è il classico infortunio da sovraccarico funzionale che generalmente non arriva se l’atleta ha avuto un sano rispetto ed una sana paura della fatica.
Dunque la fatica negli sport di resistenza non è un nemico ma quell’alleato che ti dice se in allenamento (e per certi versi anche in gara) stai facendo le cose fatte bene o stai esagerando. Io dico sempre a chi mi chiede consigli in proposito: “lasciate perdere il cardiofrequenzimetro ed imparate ad interpretare bene le sensazioni di fatica, se non siete cardiopatici è quella a stroncarvi, non la frequenza cardiaca che può anche salire senza portarvi a sensazioni di fatica insopportabili”. Al contrario, quando la fatica sale anche se la frequenza cardiaca è più che fisiologica, lasciate perdere cosa dice il cardiofrequenzimetro: una fatica troppo elevata è un motivo più che sufficiente per variare l’intensità di un allenamento anche se il cardiofrequenzimetro vi dice che state viaggiando a ritmi assolutamente sopportabili.
Dunque una grande capacità di sopportazione della fatica non è quella della quale deve vantarsi un grande atleta, al contrario è quella di cui è capace il principiante perché essendo “nuovo” non è assolutamente logorato dalla fatica e dunque è anche capace di sopportarla abbastanza bene, ma poi evolvendosi capisce quali sono le fatiche inutili dalle quali è bene scappare perché non fanno bene alla salute e se non capisce questo rischia di mollare la carriera sportiva anzitempo magari dando la colpa alla scuola se è ancora uno studente quando la realtà è che magari sul banco di scuola fa meno fatica che al campo sportivo (e questo è un vero capo d’accusa per alcuni allenatori che pretendono troppo).
La leggenda che gli stimoli allenanti a bassa intensità non producono effetti è una vera e propria leggenda se questi stimoli sono ben mirati, come la leggenda che gli stimoli allenanti molto elevati che provocano una gran fatica sono sempre molto allenanti. Lo possono essere se sono anch’essi ben mirati altrimenti sono solo fonti di fatica e come tali potenzialmente deleteri nel contesto della preparazione. Non è il grado di faticosità della preparazione ma la sua specificità e la precisione delle scelte metodologiche a determinare gli effetti allenanti della stessa e pertanto, a parità di risultato, è sempre più opportuno scegliere la soluzione addestrativa meno faticosa.
Non è che dobbiamo inculcare nell’atleta il terrore della fatica, altrimenti non va da nessuna parte, ma dobbiamo solo valutare che non ha senso sprecare fatica e che tutto ciò che ci aiuta ad evitare fatiche esagerate deve essere visto di buon occhio in una preparazione dove l’atleta si trova a tu per tu con il problema della fatica praticamente tutti i giorni.
Viviamo nella società che ha mitizzato e demonizzato la fatica al tempo stesso. Di molti telecomandi che ci evitano di alzare il culo dalla sedia probabilmente possiamo anche fare a meno ma di rincorrere fatiche esagerate pensando che ci possano temprare il fisico e la psiche ne possiamo fare altrettanto a meno. L’atleta prova anche gusto a fare una certa fatica fisiologica e razionale, non si diverte a fare troppa fatica perché non deve certamente punirsi di nulla anche se mentre lui si allena magari ci sono altri ragazzi che stanno faticando su una professione insopportabile senza trovare il tempo per fare sport. Ma questo è ancora un altro discorso, dove ancora di più bisogna dire che le fatiche esagerate non fanno bene a nessuno.